Editoriale 1/2012

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La recente sentenza n. 13/2012 sulla ammissibilità dei referendum abrogativi della legge elettorale vigente per le elezioni della Camera e del Senato è il tema più trattato in questo numero (Carnevale, Fusaro, Merlini, Morrone), ma non è l'unico: sono affrontati anche il tema della legittimità costituzionale dei poteri normativi delle autorità indipendenti (De Minico) e della modifica dei regolamenti parlamentari (Lupo e Perniciaro).

1. Sulle autorità (amministrative) indipendenti è intervenuto di recente il decreto legge c.d. "salva Italia" (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) prevedendo non solo la riduzione dei componenti delle varie autorità, ma estendendo la regolazione per autorità indipendenti ai settori dell'acqua, delle poste e dei trasporti. Abbandonata l'idea di una legge quadro che riduca la proliferazione delle varie autorità, si è dunque tornati ad utilizzare uno strumento organizzativo che, nelle intenzioni, migliora la qualità dell'azione amministrativa e la garanzia nei confronti del cittadino ma che, come è già stato segnalato in questa rivista (v. la stessa A. in questo numero e Caretti, La crisi della legge parlamentare, n. 1/2010) necessita di un rapporto diverso tra Parlamento e Autorità.

Il pericolo dal quale le Autorità ci vogliono proteggere, si legge nel saggio, cioè una disciplina sulle libertà obbediente al dictat della politica, non è meno grave del rischio di una regolazione sostanzialmente primaria, svincolata dal comando politico, autoreferenziale e quindi inidonea a comporre l'oggetto di un giudizio di responsabilità politica. I regolamenti delle Autorità, in assenza di una legge contenente la disciplina sostanziale della materia, hanno una secondarietà solo virtuale, perché non si è secondi se manca chi deve venire per primo. Il deficit di legittimazione non è colmato né dalla tecnicità della decisione, né dalla partecipazione dei regolati, né dal diritto comunitario e rimedio adeguato non sarebbe una modifica della Costituzione ex art.138, perché riconoscere alle autorità una funzione normativa pseudo-primaria va contro l'art. 1 della Costituzione, secondo il quale il circuito politico-rappresentativo è il solo ad abilitare alla decisione politica.

Il rimedio è un altro, conclude il saggio, senza bisogno di cambiare la Costituzione: alla Assemblea parlamentare la decisione politica sulle libertà, come impone la riserva di legge, e all'Autorità neutrale una regolazione puntuale entro un quadro predefinito dalla legge. 

Il problema esiste, e il merito del saggio è quello di farlo emergere con chiarezza perché la bontà dei risultati in termini di efficacia e imparzialità dell'agire amministrativo è solo uno dei valori della nostra Costituzione, di problematico raggiungimento, fra l'altro, con i criteri di nomina attuali, anche alla luce della loro applicazione.

2. Nel saggio sui regolamenti parlamentari gli Autori espongono i contenuti di una recente proposta di modifica del regolamento del Senato (2 febbraio 2012), ambiziosamente denominata "Riforma organica del Regolamento del Senato", presentata dai due vice capogruppo di PDL e PD. I quali, nella relazione, parlano di "circostanze finalmente idonee a realizzare quel processo di riforma tante volte annunciato" perché, a seguito dell'assoluta incertezza sull'esito della prossima consultazione elettorale, vi sarebbe quel "velo di ignoranza" grazie al quale nessuno dei due protagonisti è in grado di valutare se le riforme proposte determineranno un vantaggio o uno svantaggio per la propria parte politica. 

Sembra però difficile parlare di organicità quando non si affrontano i problemi del numero delle commissioni permanenti, rimasto invariato anche dopo il passaggio di rilevanti funzioni legislative alle Regioni a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione e quando nulla si dice né sui rapporti tra Parlamento nazionale e Parlamento europeo che, dopo Lisbona, sono coinvolti nella formazione delle norme comunitarie, né sui rapporti Parlamento - Regioni che la riforma del Titolo V della Costituzione voleva disciplinati, appunto, dai regolamenti parlamentari.

Gli argomenti affrontati riguardano: a) il rafforzamento dell'efficacia dell'azione parlamentare del Governo; b) il rafforzamento delle prerogative delle opposizioni e degli strumenti di democrazia diretta; c) l'aumento del grado di efficienza e trasparenza delle decisioni parlamentari.

Sul primo tema si contrappongono, come ci dicono gli Autori, due orientamenti: il dilagare di decreti-legge, decreti legislativi, maxi-emendamenti e questioni di fiducia sono il segno della debolezza del Governo, di qualsiasi Governo, in quanto sprovvisto di strumenti per attuare il suo programma, o invece sono comodi opportunismi di chi si trova a gestire posizioni di potere.

La proposta in esame sposa la prima tesi e offre al Governo garanzie sui tempi di approvazione delle sue proposte, non dissimili da quelli della conversione dei decreti-legge e, soprattutto, prevede un meccanismo di votazione degli emendamenti, volto ad escludere i maxi-emendamenti (art. 18).

L'altra modifica "organica" riguarda la istituzione, anche al Senato, del Comitato per la legislazione con, opportunamente, qualche potere in più rispetto a quello della Camera e la previsione che i suoi pareri sono resi "sulla base dei principi derivanti dalla Costituzione, dalle leggi e dal Regolamento" (art.10, quarto comma). Formula che gli Autori definiscono un po' sibillina, ma che sta ad indicare la esclusione di qualsiasi valutazione di merito in quanto spettante alle commissioni permanenti, giacché la qualità della normazione è un interesse pubblico aggiuntivo e diverso dalla valutazione della opportunità delle nuove norme. Contrasta però con tale previsione la competenza del Comitato sui disegni di legge che definiscono i principi fondamentali della legislazione nelle materie di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché dei principi fondamentali non esiste un'unica definizione e variano a seconda degli interessi nazionali sottostanti, cosicché in materia di sanità potremo avere principi molto limitativi della competenza legislativa regionale, per garantire il rispetto del diritto sociale alla salute, esigenza evidentemente assente in materia di fiere o navigazione e porti lacuali. Ne consegue, che la fissazione dei principi fondamentali è scelta politica, diversa da settore a settore e quindi da affidare alle varie commissioni di merito. 

Come sottolineano gli Autori del saggio, a differenza del regolamento della Camera dove è prevista una composizione paritaria tra maggioranza e opposizione, la proposta in esame prevede che i dieci componenti del Comitato siano scelti dal Presidente del Senato in modo da garantire la rappresentanza proporzionale tra i gruppi e tra la maggioranza e le opposizioni. La relazione non ne dà alcuna spiegazione: può essere figlia della volontà di "occupazione" di ogni spazio da parte della maggioranza (anche le commissioni di garanzia come le giunte per il regolamento, per le elezioni e per le immunità non sono paritetiche) o, invece, consapevolezza che anche la qualità della normazione è un interesse pubblico passibile di diverse valutazioni.

Gli altri due argomenti affrontati dalla proposta in esame (rafforzamento delle prerogative delle opposizioni, strumenti di democrazia diretta e aumento del grado di efficienza e trasparenza delle decisioni parlamentari) hanno ripreso alcune delle "Quarantaquattro modeste proposte per far funzionale il Parlamento" (ASTRID 2007) ma, da un lato, ne hanno tralasciate tante e, dall'altro, ne hanno introdotte alcune di molto dubbia utilità come, per esempio, la pubblicità delle sedute delle commissioni che, come rilevano gli Autori, fa perdere l'informalità che caratterizza l'attività in commissione la quale consente il raggiungimento di accordi e compromessi, abbandonando le posizioni di bandiera.

3. Dei quattro saggi sulla sentenza n. 13 di quest'anno che ha dichiarato inammissibili i due referendum abrogativi sulla legge elettorale n. 270 del 2005, uno la definisce "lineare" e abbastanza convincente sulla base di coordinate già fornite e tracciate nel pregresso percorso giurisprudenziale (Carnevale); secondo il promotore Morrone "non era una decisione scontata"; secondo Fusaro la sentenza è l'insostenibile conseguenza di una deriva giurisprudenziale iniziata trent'anni fa e, infine, per Merlini i promotori hanno confidato nella straordinaria rilevanza della "political question" per indurre la Corte ad accogliere una tesi che era in sé estremamente discutibile.

Posizioni diverse, dunque, che non è certo possibile nemmeno riassumere nei loro articolati e complessi percorsi argomentativi, che si aggiungono a quelli pubblicati altrove. Per invogliare alla lettura, vediamo i passaggi fondamentali della sentenza, tralasciando i problemi di contorno (inammissibilità per mancanza di pregiudizialità delle questioni di legittimità costituzionale della legge oggetto del referendum e manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, terzo comma, della legge n. 352 del 1970 sui referendum: entrambi i problemi sono ampiamente trattati da Carnevale).

I due referendum chiedevano l'abrogazione, totale o parziale, della legge n. 270 del 2005 che ha modificato i testi unici relativi alle elezioni della Camera e del Senato (e abrogato i due decreti legislativi che determinavano i relativi collegi uninominali). Quindi, il quesito non riguardava la legge elettorale di Camera e Senato, ma le modifiche apportate a tale legge. Circostanza, questa, considerata irrilevante dalla Corte perché l'abrogazione referendaria della legge n. 270 del 2005 non avrebbe potuto far rivivere la normativa preesistente, giacché la lacuna legislativa conseguente all'esito positivo del referendum su legge elettorale, che pure può essere manipolativo, può essere colmata solo da disciplina compresente e co-vigente con quella oggetto del referendum.

La reviviscenza cioè, dice la Corte, non opera in via generale ed automatica e può essere ammessa solo in ipotesi tipiche e molto limitate, come in caso di incostituzionalità di norma abrogatrice, o di abrogazione di norma solo abrogatrice (ipotesi diversa da quella in esame, in cui la legge oggetto di referendum ha introdotto una nuova e diversa normativa in materia) o quando il legislatore ne assume per relationem il contenuto normativo: fatto eccezionale che deve essere disposto in modo espresso. Ma tale volontà di far rivivere norme abrogate non può essere attribuita al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo.

La reviviscenza, conclude la Corte, presuppone una visione stratificata dell'ordine giuridico, con sola quiescenza delle norme abrogate per cui l'abrogazione della norma abrogante avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con ricadute negative in termini di certezza del diritto, principio essenziale per il sistema delle fonti.

Carnevale è grato alla Corte per le sue parole molto chiare, paventando, altrimenti, "un ordinamento che si riproduce reinvecchiandosi, manifestando così una evidente vocazione retro nel prediligere una normazione "allora per ora". Morrone, invece, parte dalla considerazione che la reviviscenza non è vietata da alcuna norma di diritto positivo e che non si realizza in via automatica ma può essere riconosciuta, caso per caso, in via di interpretazione: costituirebbe, quindi, petizione di principio far discendere dalla ammissibilità del referendum elettorale la reviviscenza come fenomeno generale, con conseguenze imprevedibili per la certezza del diritto. Secondo Merlini, con la reviviscenza si dà al referendum abrogativo quella capacità normativa in positivo che l'Assemblea costituente gli volle invece negare. Fusaro lascia ai filosofi del diritto e delle fonti il problema se, nel caso in esame, c'era o non c'era reviviscenza e riflettendo sugli esiti di questa sentenza segnala l'insufficienza della vigente disciplina legislativa sui referendum e quelli che lui chiama i paradossi della situazione attuale: una distorsione dell'essenza del referendum abrogativo con la sua manipolatività imposta, ma limitata, nonché il massimo dell'abbandono alla discrezionalità politica del legislatore, che rimane il dominus delle formule elettorali. E, aggiunge Morrone, non era impossibile evitare la sostanziale insindacabilità delle scelte del legislatore sulle formule elettorali dando rilevanza al diritto politico dei cittadini di promuovere un referendum abrogativo e conseguente interpretazione stretta dei limiti posti ai diritti fondamentali.

Concludendo, nessuno sostiene la reviviscenza come istituto di carattere generale ed ordinario conseguente all'effetto abrogativo ma, dato il carattere "parziale" del referendum proposto contro il porcellum e l'ammissibilità delle reviviscenza per volontà del legislatore, non era impossibile consentirlo anche al referendum abrogativo di legge elettorale in quanto necessariamente manipolativo. Ed invece, secondo la Corte, la manipolazione è limitata alla disciplina compresente e co-vigente con quella oggetto del referendum: affermazione chiara, ma non persuasiva.