La proposta PD di modifica del regolamento della Camera. Un netto passo avanti nel dibattito sulle riforme regolamentari (2/2021)

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  1. Introduzione

La proposta avanzata dal Partito democratico alla Camera (A.C., Doc. II, n. 22), a prima firma del deputato (e costituzionalista) Andrea Giorgis, è il più recente tra i testi presentati per la riforma dei regolamenti. Rispetto ai precedenti, offre una versione a spettro assai più ampio delle modifiche da apportare al regolamento della Camera dei deputati: non si limita infatti a un mero adeguamento quantitativo delle soglie numeriche previste per l’attivazione di istituti e procedure in ragione della prospettiva di riduzione del numero dei deputati, ma interviene anche su alcuni ambiti che, nel periodo più recente hanno mostrato limiti applicativi e problematiche di vario genere. Così facendo, le finalità della proposta paiono agire sia in funzione prospettica, rispetto alla nuova numerosità della Camera che troverà applicazione a partire dalla prossima legislatura, sia in coerenza con lo spirito dell’art. 16 del regolamento, che inquadra il ruolo della Giunta nel proporre quelle modifiche del regolamento “che la esperienza dimostri necessarie”.

I contenuti della proposta possono essere riassunti in una serie di ambiti tematici omogenei, che saranno di seguito affrontati separatamente.

 

  1. La nuova disciplina della formazione e il funzionamento dei gruppi parlamentari (e l’introduzione dello status di deputato non iscritto)

L’innovazione strutturale potenzialmente più impattante è il superamento della necessità che ciascun deputato faccia parte di un gruppo parlamentare, creando, anche alla Camera e con portata generale[1], lo status di deputato non iscritto, pensato soprattutto come “sanzione” per la mobilità parlamentare nel corso della legislatura (v. le modifiche proposte agli artt. 14 e 15) dando seguito anche agli intendimenti del segretario del Partito democratico, Enrico Letta, annunciati sin dal momento della presentazione della propria candidatura[2].

I criteri per la formazione dei gruppi parlamentari sono modificati profondamente dalla proposta, inserendo un aggancio necessario alla lista di elezione. Si priva quindi il deputato della libertà di scelta del gruppo al quale aggregarsi (e quindi, indirettamente, si nega l’idea che i gruppi parlamentari siano “libere”[3] associazioni di deputati), rendendo necessaria l’adesione al gruppo «corrispondente alla lista o alle liste in collegamento alle quali sono stati eletti»[4]. Permane l’esistenza del gruppo misto (e, al suo interno delle componenti politiche) ma, a quanto pare a prima lettura, anch’esso con la possibilità di raccogliere membri solo all’inizio della legislatura, tra coloro i quali sono risultati eletti in liste che non in grado di raggiungere il nuovo requisito numerico (quindici deputati) per la formazione di un proprio gruppo parlamentare. Le componenti politiche possono essere costituite al raggiungimento di almeno 3 membri, ma comunque corrispondenti a un partito o movimento politico presentatosi alle elezioni. Per le minoranze linguistiche riconosciute è possibile formare una componente politica rispettando lo stesso requisito numerico, anche se le liste di elezione erano distinte ma comunque espressione di tali minoranze nei territori in cui sono tutelate.

La disciplina così proposta mira a ridurre in maniera significativa la mobilità parlamentare. L’intenzione dei proponenti è quella di rendere pressoché impraticabile il cambio di gruppo in corso di legislatura e comunque impossibile a seguito di una scelta individuale, lasciando al singolo l’unica opzione tra la permanenza nel gruppo originario o l’adozione dello status di non iscritto. In altri termini, gli unici casi in cui nuovi gruppi possono formarsi sono le fusioni tra gruppi esistenti[5] e la “scissione” da un gruppo formato nel momento iniziale della legislatura, scissione ammissibile al raggiungimento di tre precondizioni non facilmente realizzabili: il fatto che tutti i deputati che aderiscono al nuovo gruppo provengano da un solo gruppo preesistente; dal punto di vista numerico, è necessario che la scissione sia portata avanti da non meno di un quinto dei componenti del gruppo di origine (e comunque da non meno di 10 deputati); dal punto di vista politico, il nuovo gruppo deve rappresentare «in forza di elementi certi ed inequivoci, un partito o un movimento politico organizzato nel Paese[6]».

Sembra evidente che una tale disciplina sia stata elaborata anche sulla base della (negativa) esperienza della omologa norma presente nel regolamento del Senato a seguito della sua modifica nel 2017, che ha dato discutibile prova di sé in occasione della costituzione del gruppo Italia Viva-PSI (e, poi della ulteriore vicenda del gruppo Europeisti-MAIE-Centro Democratico[7]). I meccanismi previsti dalla proposta in commento appaiono assai più stringenti nella possibilità di creare nuovi gruppi in corso di legislatura, lasciando tuttavia aperta la possibilità a replicare in Parlamento eventuali scomposizioni del quadro politico e partitico.

L’introduzione dello status del deputato non iscritto appare ancor più finalizzato a disincentivare la mobilità parlamentare nel corso della legislatura alla luce della ulteriore previsione, di stampo organizzativo, di cui all’art. 15, comma 3, come in ipotesi novellato. In sede di determinazione dei contributi finanziari erogati a carico del bilancio della Camera, nonché per quanto riguarda la messa a disposizione di locali e attrezzature, si tiene infatti conto del numero dei deputati «originariamente appartenenti al gruppo», includendo i deputati successivamente fuoriusciti e al momento risultanti non iscritti. In pratica: lo status di deputato non iscritto comporta il venir meno non solo del legame politico con il gruppo di origine, ma anche l’indifferenza per quest’ultimo rispetto alle dotazioni finanziarie e strumentali, dotazioni che invece divengono inaccessibili al singolo deputato al momento della sua dis-iscrizione. A tal proposito, si comprende meglio il vincolo previsto nella proposta per gli statuti dei gruppi parlamentari di prevedere la maggioranza assoluta per la deliberazione di espulsione di propri membri, in modo da offrire meccanismi di garanzia della gestione della membership (ed evitare così derive strumentali delle espulsioni, specie alla luce dei profili finanziari richiamati.

Non viene meno per i deputati non iscritti ad alcun gruppo l’obbligo di far parte di una Commissione. Tuttavia, la disposizione circa la loro distribuzioni tra le Commissioni permanenti pare enfatizzare l’assenza di qualsiasi possibilità di coordinamento e organizzazione tra i deputati non iscritti, che vengono distribuiti dal Presidente «in egual numero in ciascuna Commissione», con effetti incerti sul rapporto numerico tra maggioranza e opposizione, specie alla luce dell’aumento del “peso specifico” del singolo deputato in una Camera a numerosità ridotta.

  1. Gli interventi di contrasto ai maxi-emendamenti: l’introduzione del voto a data certa e le nuove modalità di discussione della questione di fiducia

Se gli interventi sui gruppi parlamentari appaiono determinati per ridisegnare una nuova “statica” della Camera dei deputati nella XIX legislatura, quelli sulla questione di fiducia e sui maxi-emendamenti appaiono invece potenzialmente decisivi rispetto alla dimensione “dinamica” dello stesso ramo del Parlamento.

La strategia per il contrasto all’abuso dei maxi-emendamenti risulta alquanto composita, comprendendo sia strade alternative a tale pratica – che è certo risultata il principale modo di approvazione delle leggi nelle ultime legislature – sia misure più direttamente restrittive.

In questo senso, la proposta in commento appare far propria la logica già avanzata nella XVI legislatura con la ipotesi di modifica regolamentare presentata da Zanda e Quagliariello[8], affinandone ulteriormente dettagli e contenuti. Da ultimo, l’idea di un voto a data certa per un provvedimento indicato dal Governo per ciascun mese di lavori era stata avanzata in una autonoma proposta di modifica regolamentare precedentemente presentata dal deputato Ceccanti[9].

Nella proposta Giorgis la certezza dei tempi verrebbe data dalla previsione di un termine per la deliberazione finale da parte dell’Assemblea, da porsi a non più di 40 giorni dalla dichiarazione di urgenza[10]. Tale dichiarazione non può essere inoltrata, in sintesi, per più di un progetto di legge al mese. Da approfondire è proprio questa limitazione quantitativa dei provvedimenti ascrivibili a tale procedura in un arco di tempo considerato. Il rischio è che – in assenza di una qualche strutturazione dei meccanismi di ammissibilità delle proposte governative da inserirsi in questa corsia preferenziale – si addivenga a una serie di veicoli periodici omnibus. Inoltre, è interessante che dal novero dei provvedimenti su cui attivare tale meccanismo siano esplicitamente esclusi quelli in relazione ai quali è richiedibile il voto segreto (nonché quelli di amnistia e indulto, oltre che quelli di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali), per massima parte quindi incidenti sui diritti fondamentali di cui alla Parte I della Costituzione.

Quanto invece alla parte più immediatamente limitativa dei maxi-emendamenti, si agisce anzitutto modificando l’art. 89 del regolamento al fine di conferire al Presidente di Assemblea il potere di dichiarare irricevibili gli emendamenti modificativi di più articoli in assenza di una «evidente consequenzialità logico-normativa», come pure gli emendamenti «sostitutivi di un articolo e contestualmente soppressivi di altri». Questo principio, fissato in termini generali nella disposizione cardine dei poteri presidenziali di ammissibilità delle proposte emendative, è poi richiamato nell’ambito della profonda riformulazione della procedura di votazione della questione di fiducia[11], rendendo quindi non percorribile l’ipotesi della posizione della questione di fiducia su proposte modificative di riscrittura dell’intero testo (c.d. «maxi-emendamenti innovativi»). Simmetricamente, si riconosce esplicitamente la possibilità di porre la questione di fiducia «sul mantenimento di uno o più articoli»[12], in modo da confermare l’esito dei lavori della Commissione in sede referente[13]. La possibilità di porre la questione di fiducia su un complesso di articoli (o sull’intero progetto di legge) è una ulteriore innovazione interessante, ma per evitare che conduca a degenerazioni ancor peggiori dello status quo dovrebbe essere accompagnata da una disciplina ancor più garantista della gestione dei tempi e dei voti in Commissione.

La parte più articolata e “sofferta” (e, tuttavia, quella dalla quale dipenderà l’efficacia della modifica proposta) è quella relativa alla profonda modifica della disciplina della discussione della questione di fiducia, per la quale si eliminano gli automatismi presenti nel testo vigente (come la sospensione di 24 ore), rimettendo la decisione alla Conferenza di Capigruppo (o al Presidente) in maniera analoga a quanto avviene per le decisioni generali di programmazione dei lavori. Tuttavia, l’innovazione proposta reitera – sebbene in altra forma – alcune rigidità presenti nel testo vigente, che ne hanno da sempre limitato l’effettività. È noto infatti che il testo oggi vigente dell’art. 116 del regolamento non sia mai stato davvero applicato. Anzi, ancor prima della sua entrata in vigore a seguito della modifica nel 1971, era parso già chiaro a chi aveva partecipato alla sua redazione che quella formulazione fosse velleitaria e che difficilmente una tale rigidità avrebbe potuto trovare facile applicazione[14]. La proposta in commento, invero, non sembra offrire garanzie di tipo davvero diverso, richiedendo che la questione di fiducia sulla approvazione di un progetto di legge nel suo complesso possa essere votata soltanto «dopo l’esaurimento dell’esame degli articoli e degli ordini del giorno». Insomma, si recupera in altra forma quel compromesso in parte discutibile del c.d. “lodo Iotti”, per il quale si dedica (non poco) tempo alla discussione di partizioni e documenti non oggetto di specifica votazione. Questo paradosso è, invece, esplicitamente evitato nel caso in cui il progetto di legge consista in un solo articolo, eventualità in cui – in maniera condivisibile – si procede alla sola «votazione finale fiduciaria» (sic!), senza procedere all’esame degli ordini del giorno[15].

  1. Ulteriori interventi di razionalizzazione della discussione; contingentabilità dei ddl di conversione e garanzia dei tempi di discussione delle iniziative popolari e regionali

Le modifiche alla disciplina della discussione comprendono poi una serie di interventi finalizzati alla riduzione dei tempi di parola, in modo da razionalizzare la gestione delle sedute, anche in ragione della partecipazione alle sedute dei deputati non iscritti ad alcun gruppo (v. le modifiche proposte agli artt. 50, 83, 85, 88, 118-bis, 125).

Particolare significatività assume la proposta di esplicita abrogazione dell’art. 154, comma 2, del regolamento, ponendo fine alla convenzione interpretativa che ne era conseguita circa l’impossibilità di contingentamento dei tempi di discussione dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge[16]. Si tratta di una innovazione potenzialmente dirompente, non solo nella gestione parlamentare del procedimento di conversione ma, forse, in generale nella ridefinizione dei rapporti tra Governo e Parlamento (e, in particolare, maggioranza). La possibilità di prevedere il contingentamento dei tempi di discussione, e quindi di applicare ordinariamente la “ghigliottina”, disattiva da una parte la minaccia di superare i 60 giorni richiesti per l’analisi del decreto-legge e, dall’altra, disinnesca la necessità – vera o presunta[17] – di ricorrere alla questione di fiducia per l’approvazione dei disegni di legge di conversione, con effetti di portata rilevantissima sulla conseguente gestione degli strumenti di programmazione anche in relazione agli altri provvedimenti in esame.

Analogamente ad altre proposte presentate negli ultimi anni, si prevedono garanzie nei tempi di esame delle iniziative legislative popolari. In particolare, viene aggiunto al regolamento l’art. 100-bis che per queste proposte (e per quelle avanzate dai Consigli regionali) reintroduce l’istituto della “presa in considerazione”, ossia di un voto preliminare all’esame condizionante ai fini del suo inizio. La deliberazione di presa in considerazione determina l’attivazione di una serie di conseguenze, quali il termine di due mesi per la conclusione dell’esame in Commissione e, comunque, l’iscrizione del progetto al calendario dei lavori dell’Assemblea.

  1. Le (asimmetriche) modifiche regolamentari conseguenti alla riduzione del numero dei deputati

Contrariamente a quanto operato dalle prime proposte[18] di modifica dei regolamenti finalizzate all’adeguamento alla riduzione del numero dei parlamentari, gli interventi sui quorum quantitativi non sono lineari, ma diversificati per ambiti di attività, con l’intento di modulare in maniera differenziata l’accesso a istituti e procedure che richiedono il concorso di più deputati.

Più limitato è invece l’intervento di riorganizzazione delle Commissioni permanenti. Si procede infatti a piccole modifiche finalizzate alla riduzione a 10 del loro numero complessivo. In particolare, si accorpano le commissioni: III e IV (creando la Commissione Affari esteri, comunitari e difesa); V e VI (Bilancio, tesoro, programmazione e finanze); VIII e IX (Ambiente, territorio, lavori pubblici, trasporti, poste e telecomunicazioni); X e XIII (Attività produttive, commercio, turismo e agricoltura). Non sembra prevedersi un ulteriore intervento di rimodulazione delle competenze tra le Commissioni, lasciando anche nella denominazione qualche ambiguità (v. appunto la perduranza del riferimento agli «affari comunitari» presso la III Commissione, rispetto alla XIV Commissione Politiche dell’Unione europea).

  1. Ulteriori interventi di manutenzione regolamentare

Sono poi presenti nella proposta una serie di interventi di “manutenzione” regolamentare che appaiono condivisibili e anzi necessari. In particolare, la previsione esplicita della prorogatio degli organi di autodichia nella legislatura successiva a quella nella quale hanno operato, fino alla nomina dei nuovi componenti. Benché possa apparire una norma distonica rispetto all’ordinaria durata del mandato parlamentare e dello svolgimento delle funzioni nel periodo determinato dalla legislatura, si tratta di un intervento necessario alla luce della specifica funzione degli organi di autodichia. Se è vero che mediante essi la Camera svolge una funzione quanto più possibile vicina alle caratteristiche proprie della giurisdizione[19], risulta del tutto inammissibile l’ipotesi di “vuoti” determinati dall’assenza del soggetto chiamato a svolgere quella funzione.

  1. Conclusioni. Cosa ancora manca e cosa serve per la piena funzionalità delle modifiche proposte.

La proposta nel suo complesso è certamente migliorabile, ma segna un avanzamento deciso nella riflessione sulle modifiche da apportare ai regolamenti parlamentari. Come si è visto, non si tratta di interventi limitati a una risposta alla riduzione del numero dei parlamentari, ma ci si preoccupa più a fondo di “far funzionare” la Camera, agendo anche sulla base dell’analisi dell’esperienza recente.

Proprio da questo punto di vista, però, ci si sarebbe aspettato qualche ulteriore intervento di razionalizzazione e di scioglimento di alcuni nodi presenti nel regolamento vigente, specie in quelle parti che sono state pressoché superate dall’evoluzione della prassi. Solo per accennare ad alcuni elementi, colpisce l’assenza di interventi relativamente al meccanismo di segnalazione degli emendamenti, rispetto al quale si è ormai sviluppata una consuetudine interpretativa a partire da una completa eterogenesi dei fini dell’art. 85-bis, che ha dato luogo alla pratica per cui, anche in assenza di riduzioni del numero delle votazioni disposte dal Presidente, si procede comunque alla votazione dei soli emendamenti segnalati. O rispetto al funzionamento del Comitato per la legislazione, la cui struttura e le cui funzioni sono ormai da anni rette da pareri della Giunta del regolamento e da discipline sperimentali. Analogo discorso potrebbe essere fatto in relazione a procedure finanziarie, di collegamento con l’Unione europea e con le Regioni, quanto mai bisognose di “aggiornamenti” alla luce delle numerose novità ordinamentali degli ultimi vent’anni, che non sono state adeguatamente seguite da novelle regolamentari, alla Camera. Sarà certamente possibile intervenire su questi ambiti in sede di Giunta per il regolamento, certo con il rischio di allargare notevolmente il perimetro dell’intervento proposto.

In conclusione, preme rimarcare come, al fine di una buona riuscita della revisione regolamentare, sarà determinante anche quanto accadrà nell’altro ramo del Parlamento. È notizia degli ultimi giorni che lo stesso Partito democratico ha depositato anche al Senato una proposta di modifica regolamentare[20], il cui testo non risulta al momento ancora disponibile. Infatti, al di là della funzionalità della singola Assemblea, quello che conterà davvero sarà il coordinamento con l’altro ramo e l’idea di Parlamento che emergerà dai nuovi regolamenti, contribuendo così a ridefinire il ruolo della rappresentanza politica a partire dalla XIX legislatura, alla luce della nuova numerosità, così ridotta, delle due Assemblee.

 

[1] Al Parlamento europeo, alla luce dei criteri più stringenti per la formazione dei gruppi politici (transnazionalità, affinità politica), lo status di non-iscritti è sempre esistito. Al Senato è stato introdotto, per i senatori di diritto e per i senatori a vita, con la riforma del regolamento del 2017 (v. l’art. 14, comma 1, reg. Sen., come modificato in quella occasione).

[2] Il video integrale dell’intervento è accessibile al seguente link: https://www.partitodemocratico.it/partito/lintervento-di-enrico-letta-candidato-alla-segreteria-nazionale-del-partito-democratico/

[3] Del resto, tale qualificazione non è recata dalla definizione contenuta nel comma 01 dello stesso art. 14, inserito nel regolamento della Camera con la modifica del 2012 e non intaccata dalla presente proposta.

[4] Art. 14, comma 4, come in ipotesi modificato.

[5] Art. 14, comma 2, ultimo periodo, come in ipotesi modificato.

[6] Art. 14, comma 2, primo periodo, come in ipotesi modificato.

[7] Sul punto v. G. Maestri, Patologie nella genesi delle componenti politiche interne al gruppo misto (e dei gruppi): riflessioni dopo la riduzione dei parlamentari, in Rivista AIC, 2020, spec. p. 61 s.

[8] A.S., Doc. II, n. 29, XVI leg., su cui v. G. Savini, Primissime osservazioni sulla proposta Quagliariello/Zanda di riforma organica del regolamento del Senato, in Amministrazione in cammino, 2012.

[9] A.C., Doc. II, n. 20, XVIII leg.

[10] Art. 69-bis, come in ipotesi introdotto.

[11] Art. 116 r.C.

[12] Così la modifica proposta all’art. 116, comma 1, r.C.

[13] Sul tema, v. le riflessioni di. 4 Cfr. D. De Lungo, Tendenze e prospettive evolutive del maxiemendamento nell’esperienza della XV e XVI legislatura, in Rivista AIC, 2013, spec. p. 11 s.

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[14] Cfr. F. Cosentino, Regolamento della Camera e prassi parlamentare, in L’indirizzo politico del nuovo regolamento della Camera dei deputati. Seminario di Cagliari 1-2 aprile 1971, Milano, 1973, p. 55 s., spec. p. 58: «nel nuovo regolamento questo problema della fiducia è stato regolato in un modo che personalmente non condivido […] perché si stabilisce esattamente il contrario di quello che la prassi […] aveva assodato sulla base di un’ottica ferrea Stabilisce cioè che quando il Governo pone la questione di fiducia […] non è modificato l’ordine degli interventi e delle votazioni stabilite nel regolamento […]. Si immagini un governo che pone la questione di fiducia su un testo e poi aspetta un mese». Sulla genesi dell’art. 116 e sulla sua natura compromissoria v. anche A. Manzella, Le origini dei regolamenti parlamentari, a quarant’anni dal 1971, in I regolamenti parlamentari a quarant’anni dal 1971, a cura dello stesso A., Bologna, 2012, p. 11 s.

[15] Art. 116, comma 4, come in ipotesi modificato.

[16] Cfr. F. Castaldi, Norme ed usi in materia di contingentamento dei tempi di discussione presso la Camera dei deputati, in Rassegna parlamentare, 2005, p. 934 s.

[17] Sul tema si vedano le opinioni, di segno diverso, di R. Perna, Tempi della decisione ed abuso della decretazione d’urgenza, in Quaderni costituzionali, 2010, p. 59 s., e C. Decaro, Ostruzionismo e maxi-emendamenti, in Maxi-emendamenti, questioni di fiducia, nozione costituzionale di articolo. Atti del seminario svoltosi presso la LUISS “Guido Carli” il 1° ottobre 2009, a cura di N. Lupo, Padova, 2010, p. 39 s.

[18] V. spec. A.S., Doc. II, n. 6, XVIII leg.

[19] Si considerino le argomentazioni a questo proposito fatte proprie dalla Corte EDU in occasione della pronuncia sul caso Savino et aal. c. Italia, 28 aprile 2009, ricorsi nn. 17214/05, 42113/04, 20329/05.

[20] http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/docnonleg/42795.htm