Quando il legislatore abroga senza abrogare veramente: la Corte e la tecnica della normazione in una sentenza sul “caso Ilva” (2/2018)

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Sentenza n. 58/2018 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 23/03/2018 – Pubblicazione in G. U. 28/03/2018  n. 13

Motivo della segnalazione


La sentenza segnalata ha ad oggetto questioni vertenti su disposizioni del decreto-legge n. 92/2015 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) e su disposizioni della legge 6 agosto 2015, n. 132 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), nelle quali, in relazione all’attività dello stabilimento ILVA di Taranto, è stabilito che «l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro […] quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori».


Va premesso un breve cenno al merito della decisione, che ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni impugnate, rilevando che «il legislatore ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.)», potendosi quindi affermare che «la normativa impugnata non rispetti i limiti che la Costituzione impone all’attività d’impresa la quale, ai sensi dell’art. 41 Cost., si deve esplicare sempre in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (punto 3.3. del Considerato in diritto).
Ad interessare in questa sede è però il contenuto dell’eccezione di inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, presentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che adduce, come fondamento della stessa, l’avvenuta abrogazione della disposizione censurata.
Il rigetto da parte della Corte dell’eccezione di inammissibilità si fonda sulla constatazione che la disposizione in questione è stata abrogata, prima della scadenza del termine per la conversione del decreto-legge n. 92/2015, ad opera della legge di conversione di un altro decreto-legge, il n. 83/2015, ovvero la legge n. 132/2015, legge la quale ha contestualmente provveduto espressamente a salvare gli effetti giuridici nel frattempo prodottisi e a reintrodurre la previsione abrogata, nella sua letterale identità, con una nuova disposizione.
Di conseguenza, la norma impugnata – afferma la Corte – ha continuato a vivere ininterrottamente, esplicando i suoi effetti: non è dunque fondata, per questa ragione, l’eccezione di inammissibilità. A supporto delle sue argomentazioni il giudice delle leggi richiama il precedente costituito dalla sent. n. 84/1996, le cui argomentazioni hanno trovato conferma nella sent. n. 44/2018.
Nella sentenza n. 84/1996, che verteva su un caso di reiterazione di un decreto-legge dopo la scadenza del termine per la conversione, con contestuale salvezza degli effetti pregressi ad opera di disposizione su cui si era poi concentrato il giudizio della Consulta, la Corte, sottolineando la «funzione servente e strumentale» della disposizione rispetto alla norma, aveva affermato che «la norma contenuta in un atto avente forza di legge vigente al momento in cui l’esistenza della norma stessa è rilevante ai fini di una utile investitura della Corte, ma non più in vigore nel momento in cui essa rende la sua pronunzia, continua ad essere oggetto dello scrutinio alla Corte stessa demandato quando quella medesima norma permanga tuttora nell’ordinamento – con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio – perché riprodotta nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità precettiva essenziale, da altra disposizione successiva».
Nel caso specifico la tecnica normativa adoperata è stata diversa, avendo il legislatore seguito un iter che ha arrecato «pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità dell’ordinamento». Per il tramite di un’abrogazione solo apparente della disposizione impugnata, si è ottenuto l’effetto di «assicurare, pur nel succedersi delle disposizioni, una piena continuità normativa della disciplina oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale», cosa che ha fatto perdurare la rilevanza della questione di costituzionalità, senza pregiudicarne l’esame nel merito, dal momento che – si afferma – «diversamente, si consentirebbe al legislatore di dilazionare, ostacolare o addirittura impedire il giudizio di questa Corte, in contrasto con il principio di economia dei giudizi (sent. 84 del 1996) e a scapito della pienezza, tempestività ed effettività del sindacato di costituzionalità delle leggi, compromettendo in modo inaccettabile la tutela di diritti fondamentali, specie se connessi, come nel caso in esame, alla tutela della vita» (punto 2.2. del Considerato in diritto).
Pare opportuno notare, da ultimo, che, secondo la Corte, in ragione dell’iter «tortuoso e del tutto anomalo», non trattandosi, nel caso di specie, «né di una semplice mancata conversione, né di una reale abrogazione e neppure di una abrogazione con successiva diversa regolamentazione seguito dal legislatore», «la norma oggetto del giudizio vive nell’ordinamento in forza di una inscindibile combinazione di disposizioni strettamente interconnesse tra loro» (punto 2.3. del Considerato in diritto). Ed è questa combinazione di disposizioni che risulta perciò oggetto della dichiarazione di incostituzionalità pronunciata dal giudice delle leggi.