La sentenza I.M. contro Italia della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (1/2023)

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Con sentenza del 10 novembre 2022, la prima sezione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato all’unanimità l’Italia per violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per aver costretto i figli minorenni di I.M. a vedere il padre in incontri settimanali programmati nonostante questo fosse drogato e alcolizzato e fosse accusato di violenza domestica nei confronti della madre, I.M., ed esercitasse comportamenti violenti e minacciosi durante gli stessi incontri con i figli.

 

Nel luglio 2014 la madre, I.M., prima ricorrente, lasciava il tetto familiare insieme ai suoi due figli minorenni, secondo e terzo ricorrente, a causa della violenza esercitata dal padre di questi ultimi (G.C.) nei suoi confronti. La madre presentava quindi denuncia penale nei confronti dell’uomo (al momento del ricorso ancora pendenti). Nel febbraio 2015, il tribunale minorile di Roma constatando che il padre non vedeva i figli dal luglio 2014, autorizzava G.C. a incontrarli una volta a settimana sebbene in un ambiente altamente protetto e alla presenza di uno psicologo. Gli incontri, tuttavia, venivano organizzati in vari luoghi che non garantivano affatto tale ambiente, come la biblioteca comunale, la piazza principale del paese e una stanza del municipio, senza la presenza di alcuno psicologo. Da marzo 2016 in poi le sedute erano caratterizzate dal comportamento molto aggressivo del padre. Poiché la madre aveva deciso di non portare i bambini alle udienze che erano state fissate, il tribunale per i minorenni stabiliva nel maggio 2016 che la donna doveva essere considerata ostile alla ripresa del rapporto tra i bambini e il padre. Il tribunale sospendeva così la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Le sedute proseguivano e i bambini erano occasionalmente lasciati soli con il padre, sebbene la situazione non fosse migliorata e nonostante le diverse segnalazioni all’autorità giudiziaria in merito al comportamento sempre più aggressivo di G.C. Il Tribunale per i minorenni sospendeva le sessioni di incontro solo nel novembre 2018, un anno e nove mesi dopo il primo verbale. Nel 2019 ripristinava la responsabilità genitoriale della madre e privava il padre della sua.

La Corte ha constatato la violazione dell’art. 8 CEDU sia nei confronti dei figli che nei confronti della madre.

Per quanto riguarda i figli, secondo e terzo ricorrente, la Corte risponde al quesito se lo Stato italiano, nonostante l’ampio margine di apprezzamento di cui gode in materia, abbia bilanciato correttamente tutti gli interessi in gioco nel caso di specie, tenuto conto del fatto che l’interesse superiore del minore dovrebbe essere sempre la considerazione preminente in fase di bilanciamento. Secondo la Corte, gli incontri tra i bambini ed il padre non si sono svolti in un ambiente strettamente protetto così come ordinato dal tribunale minorile. Inoltre, lo psicologo è stato nominato soltanto tardivamente nel dicembre del 2015. Quindi durante tutto quel periodo, i figli sono stati costretti ad incontrare il padre in un ambiente instabile che non favoriva la loro crescita serena, nonostante il tribunale fosse stato avvertito che il padre non seguiva più il suo percorso riabilitativo e che il procedimento penale a suo carico per maltrattamenti era in sospeso. Il tribunale minorile era stato anche informato che i bambini avevano bisogno di sostegno psicologico, ma non sembra aver tenuto conto del loro benessere, tanto più che le sessioni di contatto esponevano i bambini alla testimonianza della violenza commessa contro la madre così come alla violenza che subivano direttamente a causa dell’aggressività del padre. Questi incontri – protrattisi per circa tre anni – hanno disturbato l’equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini. La Corte non ha compreso perché il Tribunale per i minorenni, cui erano pervenute denunce già nel 2015, ne avesse consentito la prosecuzione. Il tribunale non ha evidentemente valutato il rischio a cui erano esposti i bambini e non ha soppesato gli interessi contrastanti in modo corretto, pur chiarendo che l’interesse superiore dei bambini doveva avere la precedenza sull’interesse del padre a mantenere i contatti con loro. Pertanto, nonostante gli sforzi delle autorità per mantenere il contatto tra i bambini e il loro padre, è stato disatteso il superiore interesse dei bambini a non essere costretti a incontrarlo in condizioni che non fornissero un ambiente protettivo.

Per quanto riguarda la violazione dell’art. 8 CEDU nei confronti della madre, la Corte risponde al quesito se la decisione di sospendere la potestà genitoriale della ricorrente costituisce una indebita ingerenza nell’esercizio del suo diritto al rispetto della vita familiare, se inoltre tale ingerenza era conforme alle disposizioni di legge e perseguiva le finalità legittime di tutela della salute dei minori e di tutela dei loro diritti e delle loro libertà.

La Corte non è stata persuasa che le autorità nazionali avessero fornito motivi pertinenti e sufficienti per giustificare la sospensione della potestà genitoriale della madre per tre anni. I tribunali non avevano esaminato con cura la sua situazione e avevano preso le loro decisioni sulla base del suo presunto atteggiamento ostile alle visite e alla genitorialità condivisa con il padre dei bambini, senza prendere in considerazione tutti i fattori rilevanti nel caso.

La sospensione della responsabilità genitoriale non ha costretto i figli a cambiare casa, in quanto sono rimasti con la madre. Tuttavia, secondo la legge italiana, essa ha comportato la privazione del diritto di prendere decisioni nell’interesse dei figli, di rappresentarli legalmente e quindi di influenzare il loro sviluppo personale.

La Corte di Strasburgo, facendo propri i rilievi del GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence)[1] nel rapporto sull’Italia del 13 gennaio 2020 (par. 137 e 138 della sentenza), afferma che la sicurezza del genitore non violento e dei bambini deve essere un elemento centrale nella valutazione dell’interesse superiore del minore in materia di custodia e diritti di visita, come previsto dall’art. 31 della Convenzione di Istanbul.[2] La Corte ha condiviso le preoccupazioni del GREVIO circa l’esistenza di una pratica diffusa da parte dei tribunali civili italiani in base alla quale le donne che hanno sollevato la questione della violenza domestica come motivo per non partecipare agli incontri tra i loro figli e il loro ex partner e non hanno accettato l’affidamento condiviso o diritti di visita, erano considerate genitori “non collaborativi” e quindi “madri inadatte” meritevoli di sanzioni (par. 185 del rapporto GREVIO).

Nel rapporto GREVIO sull’Italia, nella parte concernente l’art. 31 della Convenzione di Istanbul, il Comitato sottolinea che a seguito dell’emanazione della Legge n. 54/2006, i tribunali civili italiani sono vincolati dal principio dell’affidamento condiviso come soluzione predefinita nei casi di separazione o divorzio. Non vi è un obbligo esplicito per gli enti istituzionali di garantire che nelle procedure di affidamento si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della Convenzione, come richiesto invece dall’Articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione. Tuttavia, alcune disposizioni del codice civile (artt. 330, 333, 337-quater) nonché legislazione successiva (quale il d.l. n. 93/2013 e la Legge n. 69 del 19 luglio 2019) garantiscono la possibilità per il giudice civile di derogare al criterio generale disponendo l’affidamento esclusivo. Ciò nonostante, secondo il rapporto, “di fatto, queste disposizioni vengono raramente utilizzate per proteggere i bambini testimoni di violenze nei confronti delle proprie madri, anche nei casi in cui la violenza ha portato alla condanna e/o altre misure, compresi ordini di protezione, nei confronti degli autori di violenza. Il GREVIO esprime particolare preoccupazione sulle informazioni fornite dalle ONG secondo cui il meccanismo in vigore, piuttosto che permettere la protezione delle vittime e dei loro bambini, ‘si ritorce contro’ le madri che tentano di proteggere i loro bambini denunciando la violenza e le espone ad una vittimizzazione secondaria” (par. 181).

Un altro punto su cui si sofferma il rapporto del GREVIO è il rischio sotteso all’utilizzo della nozione di ‘alienazione parentale’ e dei relativi concetti, utilizzati da alcuni tribunali civili e dai CTU (consulenti tecnici d’ufficio) per rigettare denunce di abuso e per ‘incolpare’ le madri per la riluttanza dei figli ad incontrare il padre violento. Queste ‘sindromi’ che non hanno una base scientifica riconosciuta dalla comunità internazionale, non permetterebbero di indagare la reale motivazione del rifiuto del minore di incontrare uno dei genitori, rifiuto che potrebbe avere la sua radice proprio nella esposizione alla violenza domestica (par. 182). Ciò porterebbe alcuni tribunali civili e CTU non solo a non riuscire a individuare i casi di violenza, ma addirittura a ignorarli. Nel nome della “friendly parent provision” (norme a favore del genitore ben disposto), procedimenti penali paralleli a quello di affidamento del minore sono spesso fatti cadere dalla stessa vittima di violenza poiché in caso contrario sarebbe impossibile rappacificare la famiglia e raggiungere un accordo sull’affidamento e la visita (par. 183). Tuttavia, il rapporto evidenzia: “un sistema basato sul raggiungimento di accordi da parte dei genitori nel miglior interesse del bambino, potrebbe evitare difficoltà a molti genitori

separati. Tuttavia, si rivela inadeguato per le coppie la cui relazione è stata viziata dalla violenza” (par. 184); tale sistema è inoltre contrario all’art. 48 della Convenzione di Istanbul.[3] Come già anticipato, il rapporto del GREVIO, sul punto esplicitamente condiviso dalla prima sezione della Corte EDU, fa poi riferimento alla preoccupante tendenza dei tribunali civili italiani di considerare una donna che solleva questioni di violenza domestica come motivi per opporsi alle visite o all’affidamento congiunto dei figli con il padre violento, come “non-collaborative” o “madri inadatte” che meritano di essere sanzionate. Pertanto, il GREVIO sottolinea “come sia necessario che i tribunali civili indaghino su tutte le denunce di violenza e abuso, assieme ai tribunali penali qualora vi siano procedimenti penali in corso contro il padre del bambino della vittima, o cercando attivamente informazioni da altre fonti, come le forze dell’ordine, le autorità locali, i servizi sanitari, educativi e di supporto specializzato per le donne” (par. 185).

Quanto sopradetto sarebbe alla base, secondo il GREVIO, della vittimizzazione secondaria e degli abusi post-separazione subiti dalle donne. Contrariamente a quanto richiesto dall’art. 31 par. 2 della Convenzione di Istanbul – secondo cui l’esercizio dei diritti di visita e di affidamento non deve mettere a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o del bambino – l’obbligo di rispettare le ordinanze di applicazione del diritto di visita potrebbe sfociare in ulteriori manifestazioni di violenza, fino a provocare alle volte la morte della donna e/o del bambino (par. 186). In conclusione, quindi, il rapporto “sollecita le autorità italiane affinché adottino le misure necessarie, comprese eventuali modifiche legislative, per garantire che i tribunali competenti abbiano il dovere di esaminare tutte le problematiche legate alla violenza contro le donne al momento di stabilire l’affidamento ed i diritti di visita, nonché di valutare se tale violenza legittimi una richiesta di limitazione dei diritti di affidamento e di visita” (par. 188).[4]

Interessante, notare, a riguardo, che la sentenza della Corte EDU, fa riferimento, nella parte relativa al diritto interno, a due ordinanze della Corte di Cassazione (la n. 13217 del 2021 e la n. 9691 del 2022) (par. 68 e 69), e all’art. 1 comma 23 della legge delega n. 206 del 26 novembre 2021 (par. 70), quasi a voler indicare che la problematica evidenziata dalla sentenza è già oggetto di adeguata attenzione da parte dell’Italia. In particolare, nell’ordinanza n. 13217 del 2021, la Corte di cassazione ha affermato che i giudici sono tenuti a verificare le accuse di comportamenti dannosi per i minori e che non possono limitarsi a fare affidamento sugli esiti delle perizie. Nell’ordinanza si prendono le misure rispetto alla criticata sindrome dell’alienazione parentale, laddove il giudice deve verificare la fondatezza e la validità delle conclusioni contenute nel rapporto del consulente tramite metodi ordinari di prova. Nell’ordinanza n. 9691 del 2022, la Corte di cassazione, richiamando l’ordinanza n. 13217/2021, ha ribadito che i provvedimenti relativi alla potestà genitoriale non possono fondarsi su teorie prive di fondamento scientifico come la sindrome d’alienazione parentale. Infine, si prende in considerazione la legge n. 206 del 2021, con quale il Parlamento ha conferito delega al governo sulla riforma del processo civile (c.d. riforma Cartabia). All’art. 1 comma 23, lett. b della suddetta legge, il governo dovrà introdurre delle disposizioni specifiche prevedendo che “presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere siano assicurate: su  richiesta,  adeguate  misure   di   salvaguardia  e protezione, avvalendosi delle misure di cui all'articolo 342-bis  del codice civile; le necessarie modalità  di  coordinamento  con  altre autorità giudiziarie, anche inquirenti; l’abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria. Qualora un figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, prevedere che il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto ed assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore, considerando ai fini della determinazione dell’affidamento dei figli e degli incontri con i figli eventuali episodi di violenza”.

Il tema della vittimizzazione secondaria e dell’affidamento dei figli di donne che subiscono violenza è stato anche oggetto di indagine da parte della ‘Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere’, la quale in data 20 aprile 2022 ha approvato la “Relazione sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”.[5]

In ambito giudiziario, è da segnalare che il Consiglio Superiore della magistratura, con le delibere del 9 maggio 2018, del 4 giugno 2020 e del 3 novembre 2021, ha evidenziato la necessità di una adeguata formazione e specializzazione dei giudici per la trattazione dei procedimenti relativi ai reati di violenza di genere e per rendere di conseguenza la risposta giurisdizionale più efficace.

In conclusione, la sentenza I.M. contro Italia pone l’accento su problemi legati a violenza di genere, vittimizzazione secondaria e affidamento dei figli, che sebbene siano stati recentemente presi in considerazione dalla giurisprudenza interna e dalla riforma del processo civile, ad oggi non hanno ricevuto una risposta esaustiva. In tal senso l’Italia è chiamata ad attuare le disposizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, in particolare l’art. 31.

La sentenza ribadisce che sebbene la regola generale sia il rispetto del diritto del bambino a mantenere un legame con entrambi i genitori[6], l’interesse superiore del minore può comportare, in particolari, gravi circostanze di violenza domestica, l’allontanamento dei figli dal genitore violento. La sentenza, inoltre, si segnala per la condanna delle forme più ricorrenti di vittimizzazione secondaria nei procedimenti civili che disciplinano l’affidamento dei minori e la responsabilità genitoriale, dovuta alla mancanza considerazione degli episodi di violenza negli stessi procedimenti.

 

[1] Il GREVIO è il Gruppo di esperti/e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica costituito dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, conclusa a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, nota come “Convenzione di Istanbul”.

[2] Art. 31 Convenzione di Istanbul – Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza:

“1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini” (corsivo aggiunto).

[3] Art. 48 Convenzione di Istanbul – Divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie:

“1. Le parti devono adottare le necessarie misure legislative o di altro tipo per vietare il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione (corsivo aggiunto).

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo destinate a garantire che, se viene inflitto il pagamento di una multa, sia debitamente presa in considerazione la capacità del condannato di.adempiere ai propri obblighi finanziari nei confronti della vittima.”

[4] La Corte EDU richiama poi anche il terzo rapporto generale del GREVIO del 14 giugno 2022, avente ad oggetto la custodia dei minori, il diritto di visita e la violenza domestica, redatto sulla base delle valutazioni effettuate in diversi Stati. Descrivendo i punti di forza e di debolezza degli Stati per quanto riguarda l’attuazione degli articoli 26, 31 e 45 della Convenzione di Istanbul, per quanto riguarda le vittime di violenza domestica e le decisioni relative alla custodia e alla visita dei minori, il rapporto sottolinea che, sebbene tutti gli Stati parti hanno adottato misure soddisfacenti, «c’è ancora molta strada da fare».  Secondo il GREVIO, permangono carenze nella mancata considerazione degli atti di violenza domestica nei procedimenti in materia di affidamento dei minori e di diritto di visita e nella mancanza di garanzia di visite sorvegliate e sicure.

[5] Senato della Repubblica, Doc. XXII-bis n. 10, al link: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/372013.pdf. La Commissione è stata recentemente ricostituita per la XIX legislatura, v. Legge del 9 febbraio 2023, n. 12 (GU Serie Generale n.41 del 17-02-2023).

[6] Diritto previsto, tra gli altri, dall’art. 9 comma 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991, con la legge n. 176.