Fonti delle Regioni ordinarie

Autonomie regionali e (over) turismo: il Testo unico della Regione Toscana al vaglio della Corte costituzionale (2/2025)

1. Oggetto e finalità della legge regionale toscana

Con la Legge regionale n. 61/2024, la Regione Toscana ha adottato un nuovo Testo unico in materia di turismo, configurandolo come un intervento normativo di ampio respiro e di portata sistemica, volto al riordino, alla razionalizzazione e all’aggiornamento complessivo della disciplina regionale del settore turistico. La scelta di procedere alla completa sostituzione del previgente Testo Unico del 2016 si inserisce in un contesto di profonde trasformazioni del fenomeno turistico segnato, da un lato, dall’emersione di criticità, tra i quali l’overtourism e la diffusione delle locazioni turistiche brevi, e, dall’altro, dalla necessità di dotare gli enti territoriali di strumenti normativi più coerenti e capaci di rispondere alle sfide attuali.

Particolare rilievo assume anche l’intervento normativo sulle strutture ricettive, oggetto di una disciplina ampliata e maggiormente articolata, nonché l’introduzione di criteri più stringenti per la regolazione delle locazioni brevi, in un’ottica di riequilibrio tra le esigenze di attrattività turistica e la tutela della coesione sociale e della sostenibilità urbana.

 

La riforma si caratterizza per una revisione organica del sistema di governance del turismo, che si sostanza nell’attribuzione di nuove competenze alle Comunità d’ambito turistico e nell’istituzione di un Osservatorio regionale sul turismo, finalizzato al monitoraggio dei flussi turistici e, quindi, alla produzione di dati utili alla pianificazione territoriale.

In tale prospettiva, il Testo Unico ha inteso offrire un quadro normativo integrato, in grado di disciplinare le plurali dimensioni dell’attività turistica, incluse le attività ricettive alberghiere e extralberghiere, le professioni turistiche e, in particolare, le locazioni turistiche di breve durata, divenute negli ultimi anni oggetto di crescente attenzione pubblica e istituzionale.

Come osserva autorevole dottrina, infatti, la locazione turistica breve è stata a lungo assimilata al modello civilistico della locazione ordinaria (pur senza prestazioni di servizi aggiuntivi); il che ha portato a considerarla estranea alla potestà legislativa regionale in quanto ritenuta attinente all’ordinamento civile. Tale interpretazione ha generato profonde incertezze circa la competenza regionale e comunale, frenando ogni ambizione pianificatoria e paralizzando l’intervento degli enti locali[1]. La legge regionale 61/2024 si è posta in controtendenza rispetto a tale lettura, rivendicando una competenza regionale fondata su esigenze di governo del territorio, tutela del patrimonio culturale e salvaguardia della vivibilità urbana.

La ratio di fondo dell’intervento normativo trova esplicitazione nel Preambolo, dove si coglie la volontà del legislatore regionale di affrontare il fenomeno dell’overtourism, inteso come l’eccesso di presenza turistica in determinati territori o periodi, di intensità tale da generare esternalità negative sul piano della qualità della vita dei residenti, della conservazione del patrimonio urbano e ambientale, e della sostenibilità economico-sociale del territorio[2]. A tal fine, il Testo Unico introduce strumenti di contingentamento e pianificazione dell’offerta turistica, volti a tutelare l’equilibrio socio-residenziale del tessuto urbano. Nondimeno, la proliferazione incontrollata delle locazioni turistiche brevi è individuata come uno dei principali fattori di pressione sul mercato immobiliare e sulla vivibilità dei quartieri, con conseguenze significativamente sfavorevoli in termini di accessibilità abitativa, aumento dei canoni di locazione e progressiva desertificazione commerciale e sociale di intere aree urbane.

Tra gli obiettivi specificamente perseguiti dalla legge – enunciati in modo sistematico all’art. 1, commi 2 e 3, nonché riflessi nelle disposizioni di dettaglio racchiuse nel testo – si annoverano:

  • la qualificazione dell’offerta turistica, promossa mediante l’introduzione di requisiti minimi strutturali e funzionali per le strutture ricettive (artt. 35 ss.), nonché l’obbligo di comunicazione e classificazione delle stesse (art. 41);
  • la promozione della concorrenza leale, perseguita attraverso meccanismi di tracciabilità delle attività, obblighi di registrazione e contrasto all’abusivismo, come previsto in particolare dall’art. 94 in materia di vigilanza e sanzioni;
  • la tutela della sicurezza degli ospiti e dei diritti dei consumatori, garantita tramite prescrizioni igienico-sanitarie e informative (art. 41, comma 5; art. 42, comma 2) e attraverso l’implementazione di sistemi di accreditamento e controlli (art. 93);
  • la salvaguardia della residenzialità urbana, che costituisce uno degli assi centrali della disciplina delle locazioni turistiche brevi, oggetto di una specifica regolazione al Capo IV del Titolo VI (artt. 87–92), in cui si prevede, tra l’altro, la possibilità per i Comuni di individuare zone territoriali omogenee in cui limitare o contingentare tali attività (art. 88);
  • l’incremento della sostenibilità ambientale e sociale, perseguito in coerenza con gli strumenti di pianificazione territoriale e ambientale (art. 7), anche mediante la promozione di modelli di turismo “lento”, rurale e culturale (artt. 21–24);
  • il rafforzamento del ruolo dei Comuni, ai quali è attribuito un ampio ventaglio di competenze amministrative, regolamentari e programmatorie (Titolo VIII, artt. 95–100), tra cui spicca il potere di adottare specifici regolamenti per la disciplina delle locazioni brevi (art. 88, comma 1, lett. c).

L’intervento legislativo in esame si inserisce dunque in una più ampia strategia di governance territoriale integrata, orientata al contemperamento tra le esigenze di sviluppo turistico ed economico con quelle, altrettanto rilevanti, di salvaguardia dell’identità territoriale e di sostenibilità delle comunità locali. Così facendo, il legislatore regionale mira a offrire piena ed effettiva tutela al cosiddetto “diritto alla città[3]. Quest’ultimo, in particolare, si sostanzia nel riconoscimento, per le comunità locali e i residenti, della facoltà di partecipare attivamente alla definizione, alla trasformazione e all’uso sostenibile dello spazio urbano, nel rispetto dei principi di equità, inclusione sociale e funzione abitativa della città[4], che non può annichilirsi e annientarsi nel bilanciamento con altri diritti parimenti garantiti, quali il diritto alla libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.).

La Regione Toscana si propone di intervenire spostando l’ago della bilancia verso una maggiore attenzione ai diritti della persona, che non sono altro che corollari ed espressione di diritti fondamentali, indirizzando la normativa non soltanto in una prospettiva di sviluppo economico, ma soprattutto verso un turismo più responsabile, equilibrato e rispettoso dei territori e delle popolazioni che li abitano.

2. I profili di impugnazione da parte del Governo: le norme contestate

Due distinti ricorsi per questione di legittimità costituzionale sono stati promossi in via principale dal Governo nei confronti della legge regionale Toscana n. 61/2024.  Il ricorso n. 15 del 2025, depositato il 20 marzo 2025, riguarda l’art. 2 della legge regionale Toscana n. 7/2025, che modifica l’art. 144, co. 2, del Testo Unico, per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 117, co. 2, lett. l, Cost., in relazione all’art. 832 c.c. L’impugnazione ha ad oggetto la disciplina transitoria prevista dalla modifica normativa, ossia le norme che regolano il passaggio dal precedente regime agli obblighi di adeguamento introdotti dal nuovo Testo Unico, con effetti sugli operatori e sulle autorizzazioni già rilasciate.

Il ricorso n. 14 del 2025, depositato in data 10 marzo 2025, investe invece disposizioni di carattere sostanziale, contestando nel merito le nuove regole introdotte in materia di governance del turismo.

Con tale ricorso sono stati impugnati:

  • 22, comma 6, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 41 Cost.;
  • 41, commi 3 e 4; 42; 43; 44; 45; 144, per violazione degli artt. 3, 41, 42, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. l), nonché dell’art. 832 c.c.;
  • 59, per violazione degli artt. 3, secondo comma, e 117, secondo comma, lett. l) e s), dell’art. 832 c.c., del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 4;
  • 76, comma 4, per violazione degli artt. 3, secondo comma, e 117, commi primo, secondo, lett. e), e terzo, nonché dell’art. 20 d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, e del d.m. turismo 5 agosto 2021, n. 1432;
  • 95–110, per violazione degli artt. 3, secondo comma, e 117, commi primo, secondo, lett. e), e terzo, dell’art. 6 e dell’Allegato 1 d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, e dell’art. 1, comma 3, d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30;
  • 111–118, 123–124, per violazione degli artt. 3, secondo comma, e 117, commi primo, secondo, lett. l), e terzo, nonché degli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 10, 12 e 1 l. 8 marzo 1991, n. 81;
  • 125, 126, 127, 130, 131, 134, 136, 137, per violazione dell’art. 117, commi primo, secondo, lett. e) ed l), e terzo, nonché degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 13, 14, 15 e 17 l. 2 gennaio 1989, n. 6, e del d.lgs. 9 novembre 2007, n. 206.

Con questo ricorso, quindi, il Governo denuncia la violazione di molteplici parametri costituzionali, contestando, l’invasione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, Cost.), per l’introduzione di limiti e requisiti incidenti sui contratti di locazione e sul diritto di proprietà; la compressione ingiustificata della libertà di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), derivante da restrizioni quantitative, requisiti autorizzatori e contingentamenti per le locazioni turistiche brevi; la violazione della libertà di concorrenza (art. 117, secondo comma, lett. e), Cost.), a causa di poteri regolatori comunali suscettibili di alterare le condizioni di parità tra operatori economici; la lesione dell’autonomia regolamentare dei Comuni (art. 114 Cost.), per l’imposizione di vincoli che ne riducono la discrezionalità nella pianificazione urbanistica e turistica; nonché profili di irragionevolezza e disparità di trattamento (art. 3 Cost.), a fronte di discipline differenziate tra le diverse categorie di operatori – in mancanza di un ragionevole motivo – e per il rischio di frammentazione applicativa tra territori diversi.  

Si procederà, di seguito, all’analisi dei profili di maggiore rilievo sollevati dal ricorso, i quali attengono a questioni centrali e ancora oggi oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in particolare riguardanti la disciplina delle locazioni turistiche e il diritto di proprietà, la libertà di iniziativa economica e l’autonomia normativa dei Comuni. Saranno quindi esaminati gli artt. 41 (commi 3 e 4), 42, 43, 44, e 45 del Testo Unico, riferiti al Capo IV, dedicato alle strutture ricettive extralberghiere con le caratteristiche della civile abitazione, e l’art. 59, riguardante i criteri e i limiti per l’esercizio delle locazioni turistiche brevi.

Anzitutto, l’esecutivo ritiene che l’art. 41 andrebbe ad incidere sull’attuale disciplina dei contratti di locazione, introducendo limiti e requisiti non previsti dalla legge: il comma 3, nello specifico, subordina l’esercizio delle attività ricettive extralberghiere alla sussistenza di una destinazione d’uso turistico-ricettiva dell’immobile, introducendo un requisito che interferisce con il diritto disporre pienamente della proprietà. Peraltro, al comma 4 il Testo Unico limita l’attività svolta da uno stesso soggetto (o da società controllate o collegate) in più strutture presenti nello stesso edificio, stabilendo che essa non possa superare il numero di camere e la capacità ricettiva di una singola struttura. Il rischio è che tali vincoli finiscano per limitare eccessivamente la disponibilità del bene da parte del proprietario, in contrasto con i caratteri tipici del diritto della proprietà (che in quanto diritto reale ha la caratteristica della tipicità), nonché con il principio di autonomia contrattuale. Infine, viene censurata l’eccessiva compressione dell’autonomia comunale in materia di governo del territorio e pianificazione urbanistica, laddove la Regione impone vincoli uniformi e dettagliati in materia di destinazioni d’uso e criteri localizzativi (art. 41, c. 3; art. 42), restringendo l’autonomia regolamentare dei Comuni nella definizione dell’offerta turistica locale.

L’articolo 59 è stato impugnato nella sua interezza dal Governo in quanto ritenuto lesivo di molteplici parametri costituzionali, a partire dall’art. 117, secondo comma, lettere l) ed e), Cost. La disposizione in questione attribuisce ai Comuni a più alta densità turistica, nonché a tutti i capoluoghi di provincia, la facoltà di delimitare aree omogenee all’interno del proprio territorio e, in tali zone, di stabilire criteri e limiti specifici per lo svolgimento delle locazioni turistiche brevi, esercitate anche in forma imprenditoriale. In particolare, ciò che viene censurato è il potere riconosciuto ai Comuni di subordinare l’attività di locazione breve al rilascio di un’autorizzazione quinquennale per ciascuna unità immobiliare, con possibilità di fissare un tetto massimo di autorizzazioni per zona, incidendo così sulla libertà di stipulare contratti di locazione e sulla disponibilità del bene da parte del proprietario. Tali previsioni, secondo il Governo, configurano una disciplina autorizzatoria estranea alla disciplina statale e introducono restrizioni non previste dalla normativa statale, la quale regola l’attività di locazione breve attraverso strumenti di attività amministrativa implicita provvedimentale (come la SCIA, in cui è il privato a dare comunicazione dell’avvio dell’attività autocertificando di possedere i requisiti ex lege) e non, appunto, autorizzativa.

Inoltre, secondo il Consiglio dei Ministri, emergono evidenti profili di irragionevolezza ai sensi dell’art. 3 Cost., riconducibili alla disparità di trattamento tra categorie di operatori e alla disomogeneità degli strumenti applicativi: si contesta infatti la differenziazione ingiustificata di disciplina tra chi esercita attività ricettiva in forma imprenditoriale e chi la svolge in forma occasionale, con possibili effetti distorsivi sulla parità delle condizioni operative. Si osserva inoltre che le disposizioni contenute, in particolare, negli artt. 59 e 41, commi 3 e 4, attribuiscono ai Comuni ampi margini discrezionali nell’adozione di regolamenti volti a disciplinare le locazioni turistiche brevi, senza sufficienti criteri uniformi e vincolanti stabiliti a livello regionale: paradossalmente tale assetto potrebbe determinare una frammentazione del quadro regolatorio e dare luogo a trattamenti diseguali tra operatori attivi in territori differenti, con il rischio di generare effetti discriminatori non giustificati in relazione alla finalità pubblica perseguita.

Alla luce di quanto esposto, in chiave critica si può evidenziare – come sottolineato da Menegus – che in realtà la giurisprudenza amministrativa in alcuni arresti ha affermato la legittimità di limitazioni di locazioni turistiche, e in generale degli affitti brevi nell’ottica di una maggior tutela della vivibilità e della sostenibilità ambientale, dei valori storico-artistici, ritenendo non irragionevole una disciplina che tenga conto del discrimen tra un uso effettivamente residenziale di immobili per soddisfare un bisogno abitativo primario, e un uso residenziale temporaneo, rivolto a interessi turistici ed economici.

Nel complesso, il ricorso configura un’articolata contestazione della legge regionale, accusata di oltrepassare i limiti della competenza concorrente in materia di turismo e di incidere in modo sproporzionato su diritti fondamentali e autonomie locali. La Corte sarà dunque chiamata a valutare la legittimità costituzionale della disciplina adottata, bilanciando le esigenze di regolazione del fenomeno turistico con i principi costituzionali evocati.

3. L’esperienza della Liguria

A titolo comparativo, è utile richiamare l’esperienza normativa della Liguria che, con la L.R. n.1 del 6 febbraio 2024, costituisce un esempio interessante di regolazione della gestione del turismo e degli affitti brevi. Il suo approccio testimonia l’intento della Regione di bilanciare lo sviluppo turistico con la tutela della sostenibilità ambientale ed urbana: tuttavia, a differenza della Toscana, la Liguria ha evitato un’eccessiva limitazione e ha privilegiato strumenti di monitoraggio e trasparenza, senza imporre vincoli rigidi sulla destinazione d’uso o limiti eccessivi, fattori che hanno certamente contribuito a evitare la censura governativa.

Ex multis, tra gli strumenti principali adottati figura l’introduzione del Codice Identificativo Turistico Regionale (CITRA), un sistema di registrazione obbligatoria per ogni unità immobiliare destinata alla locazione breve, che deve essere esposto sia all’esterno dell’immobile sia nelle piattaforme di pubblicità, al fine di assicurare un controllo puntuale e tracciabile dell’offerta turistica. A complemento, la Regione ha sviluppato la banca dati informatica ROSS1000, dove gli operatori devono aggiornare periodicamente le informazioni relative alla disponibilità e all’occupazione degli immobili, facilitando così la pianificazione e il monitoraggio delle attività sul territorio. Inoltre, per le attività svolte in forma imprenditoriale, è prevista la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) al Comune competente, strumento amministrativo che consente l’avvio immediato dell’attività dopo la verifica dei requisiti previsti dalla normativa.

4. Riflessioni conclusive

In attesa della decisione della Corte, rimane irrisolta una criticità di fondo che trascende il singolo giudizio di costituzionalità. Se, da un lato, il legislatore statale continua a mostrare una sostanziale inerzia sul tema, dall’altro, i Comuni italiani si trovano privi di strumenti efficaci per gestire l’impatto del turismo sui territori e non svolgono un ruolo realmente incisivo nell’elaborazione delle politiche turistiche. Questo squilibrio istituzionale genera, in concreto, un vuoto di governance che limita la possibilità di interventi mirati ed effettivi.

In tale contesto, si è spesso ipotizzato l’utilizzo di strumenti fiscali come leve di regolazione indiretta dei flussi turistici, quale alternativa praticabile in attesa di interventi organici che rischiano l’impugnazione per i noti problemi di riparto di competenze. È il caso, ad esempio, del contributo d’accesso introdotto a Venezia, concepito come una sorta di tassa di sbarco “atipica”, applicata anche a chi raggiunge la città dalla terraferma. Pur rappresentando un esperimento innovativo, questa misura solleva interrogativi non solo dal punto di vista costituzionale, ma anche sul piano etico, in quanto rischia di comprimere la libertà di circolazione, trasformando la città da spazio vivo e relazionale in un museo a cielo aperto, accessibile solo dietro pagamento di un biglietto d’ingresso[5].

Ma il nodo più profondo, che emerge con chiarezza, riguarda la prospettiva con cui viene affrontato il fenomeno turistico. Ad oggi, l’approccio appare ancora prevalentemente ancorato alla sola tutela e valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio culturale, trascurando la dimensione sociale e abitativa delle città. Secondo parte della dottrina, sarebbe invece alquanto opportuno rovesciare questa impostazione, guardando al turismo non solo come fonte di valorizzazione economica ma anche – e soprattutto – come ambito in cui garantire quello che Lefebvre definiva il “diritto alla città”. Non si tratta di rivendicare un diritto soggettivo individuale, ma di affermare la necessità di restituire agli abitanti la capacità di orientare le trasformazioni urbane, superando una visione della città come merce e riconoscendo a chi la vive quotidianamente un ruolo attivo e partecipativo nei processi decisionali. Solo un simile cambiamento di paradigma potrà consentire di affrontare il fenomeno dell’overtourism in un’ottica di sostenibilità sociale [6].

 

[1] G. MENEGUS, Appunti per un governo della città turistica, in Italian Papers on Federalism, p. 89; v. anche Corte cost. n. 84/2019 – con nota di G. MENEGUS, Locazioni per finalità turistiche: il codice identificativo lombardo supera lo scrutinio di costituzionalità, in Le Regioni, n. 3, 2019, pp. 825-837 – la quale ha riconosciuto la competenza regionale ad intervenire sugli “aspetti turistici” delle locazioni turistiche (ossia a dettare la disciplina amministrativa della materia).

[2] G. MENEGUS, Appunti per un governo della città turistica, in Italian Papers on Federalism, p. 79: «L’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influisce eccessivamente, in modo negativo, sulla percezione della qualità della vita dei cittadini e/o sulla qualità delle esperienze dei visitatori»

[3] H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, Ombre corte, Verona, 2014, trad. it di Le droit à la ville, Anthropos, Paris, 1968.

[4] V. CGUE, C‑724/18, Airbnb c. Ireland, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto che gli Stati membri e le autorità locali possono sottoporre le locazioni turistiche a regimi autorizzatori, purché giustificati da esigenze imperative di interesse generale, come la tutela dell’accesso alla casa e del patrimonio abitativo.

[5] Segnala il rischio di “museificazione” dei luoghi P. CARPENTIERI, Il decoro urbano: il problema degli usi e della conservazione dei centri storici, cit., pp. 5-6.

[6] G. MENEGUS, Appunti per un governo della città turistica, in Italian Papers on Federalism, p. 100 ss.

Osservatorio sulle fonti

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