La Regione Calabria interviene sulla disciplina della fusione dei Comuni con la l.r. 26 maggio 2023, n. 24 (2/2023)

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L’art. 4 della legge regionale 26 maggio 2023, n. 24 recante Interventi normativi sulle leggi regionali n. 19/1986, n. 28/1986, n. 7/1996, n.19/2002, n. 15/2006, n. 22/2010, n. 45/2012, n. 2/2013, n. 24/2013, n. 30/2016, n. 9/2018, n. 5/2021, n. 8/2023, n. 9/2023 e disposizioni normative, approvata il 22 maggio u.s. dal Consiglio Regionale della Calabria, ha apportato una significativa modifica all’articolo 5, co. 3, della legge regionale 24 novembre 2006, n. 15 (Riordino territoriale ed incentivazione delle forme associative di Comuni).

La previgente formulazione del novellato comma prevedeva che l’istituzione di un nuovo Comune, mediante fusione di uno o più comuni, dovesse essere preceduta da un referendum “sulle delibere consiliari di fusione”. L’intervento normativo in parola sostituisce l’inciso poc’anzi richiamato con la parola “consultivo”, in tal modo specificando la natura del referendum ed espungendo il riferimento alle delibere di fusione dei Consigli comunali.

L’obiettivo politico perseguito dal legislatore regionale sarebbe, secondo alcuni[1], quello di accelerare il progetto di fusione che riguarda Cosenza, Rende e Castrolibero (c.d. “Grande Cosenza”). Si tratta del più recente progetto di accorpamento fra comuni della Regione Calabria, che ha visto concretizzarsi la prima esperienza di fusione nel 1968 – ancor prima della formale istituzione dell’ente regionale – con la costituzione del Comune di Lamezia Terme, in seguito alla soppressione dei comuni di Nicastro, Sambiase e Santa Eufemia Lamezia in provincia di Catanzaro, ad opera della legge 4 gennaio 1968, n. 6.

Prima di esaminare i dettagli della modifica normativa de qua, al di là delle ragioni politiche contingenti, pare opportuno soffermarsi brevemente sul quadro costituzionale – dettagliato in una precedente scheda della presente Rubrica[2] – che, come noto, conferisce alle Regioni, “sentite le popolazioni interessate”, la potestà di istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificarne le relative circoscrizioni e denominazioni. Tale potestà, prevista dall’art. 133, co. 2, Cost., viene esercitata sulla base di una espressa riserva di legge regionale che si sostanzia in una legge-provvedimento regionale caratterizzata da un aggravamento procedurale regolato, quanto all’ambito applicativo e alle modalità attuative, dalla fonte regionale.

La giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che l’adempimento con cui si “sentono” le popolazioni interessate costituisce un preciso vincolo per il modus operandi del legislatore regionale (sentt. n. 94 del 2000 e n. 36 del 2011), il quale è tenuto a disciplinare con legge le forme di tale adempimento, in ossequio all’art. 15, co. 1, del D.lgs. 267/2000 (T.U.E.L.).

Le Regioni hanno individuato nel referendum consultivo lo strumento funzionale all’assolvimento dell’obbligo di consultazione ex art. 133, co. 2, Cost., trovando unanime e positivo riscontro nella giurisprudenza costituzionale (ex multis: sentt. n. 204 del 1981, n. 107 del 1983, n. 279 del 1994, n. 237 del 2004, n. 214 del 2010).

Tuttavia, in punto di disciplina del referendum consultivo de quo e di articolazione della procedura di variazione territoriale, sono state adottate soluzioni differenti da parte dei legislatori regionali.

La normativa calabrese registra l’assenza di una legge regionale organica in materia e proprio tale frammentazione del quadro legislativo genera non poche incertezze sul piano della disciplina dei processi di fusione dei comuni. La Regione Calabria prevede il referendum consultivo ai fini delle variazioni amministrative e territoriali sin dallo Statuto previgente[3], ove, all’art. 46, co. 2[4], veniva affiancato a tale obbligo di consultazione anche l’onere di “sentire” – oltre alle popolazioni interessate – i Consigli comunali.

La l.r. n. 13/1983 (Norme di attuazione dello statuto per l’iniziativa legislativa popolare e per i referendum) ha conseguentemente disciplinato, all’art. 40[5], la procedura attuativa del referendum, prevedendo, all’art. 44, co. 2, che “la proposta referendaria si intende accolta nel caso in cui la maggioranza dei voti [complessivi dell’intero bacino elettorale] validamente espressi sia favorevole alla medesima, anche qualora non abbia partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto”.

Nelle norme di attuazione della previsione statutaria non vi è cenno, però, alla procedura di acquisizione del parere dei Consigli comunali, che – prima della modifica apportata dalla l.r. n. 24/2023 – trovava inveramento soltanto nella l.r. n. 15/2006 (Promozione dell’esercizio associato di funzioni e servizi ai Comuni), ove si prevedeva che il referendum dovesse svolgersi “sulle delibere consiliari di fusione”.

A ben vedere, la consultazione dei Consigli comunali non è prevista neanche dal nuovo Statuto calabrese[6] il quale, all’art. 46, co. 5, dispone (soltanto) che la Regione “favorisce la gestione coordinata e associata delle funzioni da parte dei Comuni, promovendone la fusione e attribuendo alle Province un ruolo di coordinamento sul territorio nelle materie di loro competenza”.

Il suddetto passaggio procedurale, oggi espunto anche dalla l.r. n. 15/2006, per quanto possa apparire di pregio rispetto allo scopo di tutelare “l’autonomia degli enti minori nei confronti delle stesse Regioni per evitare che queste possano addivenire a compromissioni dell’assetto preesistente senza tenere adeguato conto delle realtà locali” (Corte Cost., sent. n. 453 del 1989), non appare necessitato dal punto di vista costituzionale, come confermato dalla stessa Corte la quale, a più riprese, ha precisato che – nell’ambito delle procedure di variazione territoriale – “l’interesse garantito dall’obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non agli enti territoriali” (sentt. n. 94 del 2000 e n. 21 del 2018).

Pertanto, occorre domandarsi se la modifica normativa in esame possa astrattamente limitare un (effettivo) potere d’impulso dei Comuni, atteso che essi sono – e restano – titolari del potere d’iniziativa legislativa, anche con riferimento alle variazioni territoriali, nelle forme e alle condizioni previste dall’art. 39 dello Statuto[7]. Si consideri peraltro che le fusioni comunali recentemente realizzate in Calabria, ossia quella di Casali del Manco (l.r. n. 11/2017)[8] e di Corigliano-Rossano (l.r. n. 2/2018)[9], pur avendo visto gli enti comunali avanzare apposite istanze di fusione, rappresentano l’esito di iniziative legislative assunte da parte di Consiglieri regionali.

Pertanto, ad una prima lettura, la novella legislativa appare coerente con l’intenzione del legislatore regionale di riordinare una materia che risulta disorganica e disallineata rispetto alle evoluzioni normative, anche in ragione dell’importanza crescente che le iniziative di fusione assumono sia sotto il profilo della maggiore consistenza demografica e del dimensionamento urbano – in particolar modo in una Regione che conta 404 enti comunali a fronte di una popolazione residente di 1.841.300 abitanti[10] – sia del favor economico-finanziario che ad esse viene riconosciuto dalla legislazione[11] e che, inevitabilmente, costituisce un significativo incentivo all’unione per gli enti comunali che versano in situazioni di difficoltà di bilancio. Tuttavia, la complessità della questione e il dibattito politico che è scaturito dopo l’approvazione della l.r. n. 24/2023 hanno indotto la maggioranza consiliare a richiedere agli uffici tecnici regionali un approfondimento sul tema, da svolgersi anche attraverso una comparazione con la disciplina vigente in altre Regioni[12], lasciando presagire ulteriori (e più organici) interventi in materia.

 

[1] Si vedano, su tutte, le dichiarazioni del Sindaco di Cosenza: https://www.comune.cosenza.it/archivio10_notizie-e-comunicati_0_20969.html

[2] B. Vimercati, Le recenti modifiche al referendum consultivo (?) nell’ambito delle variazioni territoriali ex art. 133 co. 2 Cost. nella L.R. 20 dicembre 2022, n. 26, Piemonte, in Osservatorio sulle fonti, Rubriche – Fonti delle Regioni ordinarie, 1/2023.

[3] Approvato con legge 28 luglio 1971, n. 519.

[4] Ai sensi dell’art. 46, co. 2, del previgente Statuto: “L’istituzione di nuovi Comuni ed i mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali hanno luogo con legge regionale, sentiti i consigli comunali e previa consultazione mediante referendum delle popolazioni interessate”.

[5] Art. 40 (Referendum consultivo obbligatorio sulla istituzione di nuovi Comuni e sui mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali) della l.r. n. 13/1983 (come modificato dall’art. 1 della l.r. n. 17/2012 e dall’art. 17, co. 1, della l.r. n. 47/ 2018): “1. Prima di procedere all’approvazione di ogni progetto di legge che comporti l’istituzione di nuovi Comuni ovvero mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali, il Consiglio regionale delibera l’effettuazione del referendum consultivo obbligatorio. 2. Prima di procedere all’approvazione di ogni progetto di legge che comporti l’istituzione di nuovi Comuni ovvero mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali, il Consiglio regionale delibera l’effettuazione del referendum consultivo obbligatorio o qualora i mutamenti delle circoscrizioni interessino porzioni di territorio prive di residenti e vi sia il parere favorevole dei Comuni interessati. 3. Il referendum di cui al comma 1 non trova applicazione nei casi di delimitazione di confini tra due o più Comuni non facilmente riconoscibili o, comunque, incerti. 4. La deliberazione del Consiglio regionale indica il quesito da sottoporre a votazione con riferimento agli estremi della relativa proposta di legge. 5. Al referendum consultivo sono chiamati: a) nel caso di istituzione di nuovi Comuni, tutti gli elettori residenti nei Comuni interessati dalla variazione territoriale; b) nel caso di modificazione della denominazione del comune, tutti gli elettori residenti nel comune interessato; c) nel caso di modificazione delle circoscrizioni comunali, tutti gli elettori residenti nei Comuni interessati dalla modificazione territoriale. Il Consiglio regionale, nella delibera di cui al comma 1, può, con decisione motivata, escludere dalla consultazione referendaria le popolazioni che non presentano un interesse qualificato alla variazione territoriale: per le caratteristiche dei gruppi residenti sul territorio dei Comuni interessati, della dotazione infrastrutturale e delle funzioni territoriali, nonché per i casi di eccentricità dei luoghi rispetto al capoluogo e, quindi, di caratterizzazione distintiva dei relativi gruppi”.

[6] Approvato con legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25.

[7] L’avvio del procedimento per la fusione tra due o più comuni può provenire, infatti, da parte di coloro che, ai sensi dell’art. 39 dello Statuto, sono titolari dell’iniziativa legislativa, ossia: dalla Giunta regionale; da ciascun Consigliere regionale; da ciascun Consiglio provinciale; da ciascun Consiglio comunale dei capoluoghi di Provincia; dai Consigli comunali in numero non inferiore a tre e con popolazione complessiva di almeno diecimila elettori; da almeno cinquemila elettori; dal Consiglio delle Autonomie Locali. Le modalità relative all’iniziativa degli enti comunali o provinciali sono disciplinate dall’art. 13 della l.r. n. 13/1983.

[8] La fusione ha interessato i Comuni di Casole Bruzio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo e Trenta.

[9] La fusione ha interessato i Comuni di Corigliano Calabro e Rossano.

[10] Popolazione residente in Calabria al 1° gennaio 2023 secondo i dati ISTAT: http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18565#

[11] Ci si riferisce, in particolare, all’art. 15, co. 3, D.lgs. 267/2000, ove si prevede che “Al fine di favorire la fusione dei comuni, oltre ai contributi della regione, lo Stato eroga, per i dieci anni decorrenti dalla fusione stessa, appositi contributi straordinari commisurati ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono”, nonché al comma 3-bis dello stesso articolo (introdotto con l’art. 3, co. 6-ter, del d.l. n. 44/2023, convertito con modificazioni dalla l. n. 74/2023), il quale dispone che per “le fusioni dei comuni realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2014, i contributi straordinari di cui al comma 3 sono erogati per ulteriori cinque anni”.

[12] Nel comunicato del 9 giugno 2023 (https://www.consiglioregionale.calabria.it/portale/Home/DettaglioComunicato?IDComunicato=1592) si legge che: “Hanno richiesto al dirigente del “Settore Assistenza Giuridica” del Consiglio regionale, Antonio Coltellaro, una puntuale comparazione delle leggi vigenti in tutte le Regioni italiane circa la fusione dei Comuni. Nel corso di una riunione dei capigruppo del centrodestra a Palazzo Campanella, “pur avendo già svolto ogni necessaria disamina – è stato detto – in sede politica e nelle competenti Commissioni, si è voluto dare seguito alla richiesta di ‘ulteriore approfondimento’ fatta dal capogruppo di FdI, Giuseppe Neri, nel corso della seduta del Consiglio del 22 maggio, quando è stata approvata a maggioranza la legge che interviene sull’iter della fusione dei Comuni”.