Le leggi regionali siciliane (agosto – dicembre 2022) (1/2023)

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L’attività legislativa della Regione Siciliana, nel periodo compreso tra agosto e dicembre 2022, è consistita nella approvazione di quattro leggi, due delle quali sono state oggetto di impugnazione da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

 

1. Con delibera del Consiglio dei Ministri del 28 settembre 2022 sono stati impugnati gli articoli 12 e 34 della legge della Regione Siciliana 3 agosto 2022, n. 15, recante: “Norme per la tutela degli animali e la prevenzione del randagismo”.

Le due disposizioni determinerebbero un'interferenza della legge regionale nella materia ordinamento penale che, come è noto, rientra tra quelle di competenza statale esclusiva, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, eccedendo così i limiti delle competenze statutariamente previste.

In particolare, rileva il Governo, l’articolo 12 legge della Regione Siciliana 3 agosto 2022, n. 15, rubricato “Obblighi e divieti dei proprietari e dei detentori”, prevede una serie di divieti, tra cui, i più importanti sono l’abbandono dei cani, dei gatti e di qualsiasi altro animale domestico o di affezione custodito; la vendita o la cessione, a qualsiasi titolo e in qualunque forma di cani e gatti non identificati e non registrati in anagrafe; l’offerta, diretta o indiretta di animali d'affezione come premio, vincita, omaggio o regalo per giochi, sottoscrizioni o altre attività che si svolgono in occasione di qualsivoglia evento pubblico o privato; il commercio ambulante di cani e gatti e l’esibizione degli stessi come oggetto delle richieste; la detenzione di animali in spazi inadeguati, o in condizioni comunque non compatibili con il loro benessere psico-fisiche. E ancora la disposizione vieta di lasciare stabilmente o incustoditi, senza possibilità di accedere all'abitazione, cani e gatti su terrazze e balconi privi di adeguata copertura da agenti atmosferici e protezione con ringhiere; di privarli stabilmente della quotidiana attività motoria adeguata alla loro indole; nonché di utilizzare apparecchiature chiuse per lavaggio e asciugatura di animali che non permettano all'animale di essere a contatto con il detentore; di commercializzare animali in locali privi di idoneo luogo di detenzione degli stessi, anche durante l’orario di chiusura e di esporre gli animali in vetrina o all’esterno del negozio.

In caso di violazione dei predetti divieti, il legislatore regionale ha previsto – all’articolo 34 – che «fatte salve le sanzioni previste dalla normativa nazionale, chiunque contravviene alle disposizioni previste dalla presente legge è punito con la sanzione amministrativa da euro 75 ad euro 450».

Osserva il Governo come gran parte delle condotte sopra elencate corrispondono a specifiche fattispecie di reato previste dalla legislazione penale: art. 544-bis c.p. (Uccisione di animali), art. 544-ter c.p. (Maltrattamento di animali), art. 544-quinquies c.p. (Divieto di combattimenti tra animali), art. 672 c.p. (Omessa custodia e malgoverno di animali), art. 727 c.p. (Abbandono di animali) e art. 2 della legge 20 luglio 2004, n. 189 (Divieto di utilizzo a fini commerciali di pelli e pellicce).

Osserva il Governo che «Così disponendo la legge regionale in esame appresta delle sanzioni amministrative che finiscono per sovrapporsi parzialmente ad aree già presidiate da fattispecie incriminatrici; la clausola di salvezza che apre l'articolo 34 non si palesa sufficiente a scongiurare il rischio di controindicazioni derivanti dall'interpretazione delle fonti convenzionali, a fronte di un concorso tra sanzione penale e amministrativa regionale, mancando nel predetto articolo 34 la formulazione di una clausola di salvezza che più chiaramente affermi che le sanzioni di cui al comma 1 di tale articolo non si applicano laddove un fatto sia già previsto come reato o come illecito amministrativo dalla normativa nazionale».

In altre parole il combinato disposto degli articoli 12 e 34 rischia di determinare «una indebita commistione con la normativa statale per la potenziale sovrapposizione dei divieti introdotti dalla legge regionale rispetto a talune fattispecie di reato, come in particolare per la fattispecie di omessa custodia e mal governo di animali di cui all'art. 672 c.p. o come per quella di abbandono di animali di cui all'art. 727 c.p.».

Ciò si porrebbe peraltro in contraddizione con il principio del ne bis in idem, proveniente dalla giurisprudenza convenzionale, in ragione della natura sostanzialmente punitiva delle sanzioni amministrative previste, che si andrebbero a sommare alle pene già previste dal legislatore statale.

 

2. Con delibera del 10 ottobre 2022 sono impugnate alcune disposizioni della legge della Regione Siciliana n. 16 del 10 agosto 2022, recante “Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14 variazioni al bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024 Disposizioni varie”.

2.1. Innanzitutto è impugnato l’articolo 12: la disposizione apporta modifiche alle modalità di copertura indicate dall’articolo 3 della legge regionale 25 maggio 2022, n. 13, a fronte dell’incremento dei fondi per il trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, nonché dell’integrazione delle risorse, già stanziate per il rinnovo del CCRL 2019-2021, da destinare alla revisione del sistema di classificazione del personale.

In via preliminare, il Governo rammenta che la copertura finanziaria oggetto di modifica era stata ritenuta inidonea in quanto assicurata con i risparmi di natura strutturale derivanti dalle riduzioni di spesa del trattamento accessorio, quali indicati ai commi 3 e 4 dello stesso articolo, già finalizzati a dare attuazione al punto 2), lettere d) ed e), dell’Accordo Stato-Regione Siciliana del 14 gennaio 2021 e, in quanto tali, resi indisponibili per altre finalità o diversi utilizzi; e ricorda, inoltre, come la norma regionale avesse già costituito oggetto di impugnativa per violazione dei principi costituzionali di cui all’articolo 81, all’articolo 97, secondo comma e all’articolo 119, primo comma, della Cost. con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 21 luglio 2022.

Secondo il Governo «anche la diversa copertura finanziaria, definita con la modifica dell’articolo 3 della citata legge regionale n. 13/2022, non risulta idonea, in quanto la stessa è assicurata mediante l’utilizzo delle maggiori entrate – di natura tributaria - di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026».
Ciò perché «tali entrate non rivestono il necessario carattere di certezza e stabilità tale da garantire la copertura degli oneri derivanti dalle spese di personale di natura strutturale e incomprimibile nel tempo indicate nella norma regionale, in quanto trattasi di ritenute sugli interessi e redditi di capitale di cui la Regione aggiorna la quantificazione in relazione all’andamento del gettito comunicato dall’Istituto Cassiere e che, pertanto, non assume natura permanente e stabile anche per il futuro essendo correlato a future variabili dei mercati finanziari non prevedibile e consolidabili nel tempo».

A supporto della propria impugnativa il Governo richiama,
in particolare, la sentenza n. 197 del 2019, nella quale la Corte ha ricordato che il principio fondamentale della copertura delle spese di cui all’articolo 81, terzo comma, della Cost. richiede la contestualità, tanto dei presupposti che giustificano le previsioni di spesa, quanto di quelli posti a fondamento delle previsioni di entrata necessarie per la copertura finanziaria delle prime.

Richiama altresì la recente sentenza n. 155 del 2022 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 12 della legge Regione Siciliana n. 22 del 2021 per violazione dell’articolo 81 della Cost., precisando che «(...)devono essere dichiarate incostituzionali quelle leggi in cui l’individuazione degli interventi e la relativa copertura finanziaria è stata effettuata dal legislatore regionale in modo generico e risulta priva di quella chiarezza finanziaria minima richiesta dalla costante giurisprudenza di questa Corte in riferimento all’articolo 81 della Cost. (ex multis, sentenza n. 227/2019)».
Secondo il Governo, dunque, «La copertura finanziaria delle spese deve necessariamente avere un fondamento giuridico, dal momento che, diversamente opinando, sarebbe sufficiente inserire qualsiasi numero nella parte attiva del bilancio per realizzare nuove o maggiori spese».

Si rappresenta, altresì, che il comma 4-bis, introdotto dall’articolo 12 della legge regionale in esame nel corpo dell’articolo 3 della legge regionale 25 maggio 2022, n. 13, prevede che le somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo 3, derivanti dalla riduzione del fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione, parte variabile e di risultato del personale dell'area della dirigenza dell’amministrazione regionale e del fondo risorse decentrate del personale del comparto non dirigenziale della medesima amministrazione, pari a complessivi euro 4.385.134,00 per ciascun anno del triennio 2022, 2023 e 2024, affluiscano a beneficio del bilancio regionale mediante iscrizione in apposito capitolo del dipartimento regionale del bilancio e del tesoro e non siano utilizzabili ai fini della gestione della spesa.
Sul punto, tale “congelamento di fatto” dei predetti risparmi di spesa si pone in antitesi con il perseguimento delle finalità contemplate nel citato Accordo Stato-Regione Siciliana, il quale subordina il raggiungimento dell’obiettivo di risanamento ad una serie di interventi che prevedono l’obbligo per la Regione di adottare specifici impegni di contenimento e di riqualificazione della spesa regionale mediante la riduzione strutturale di diverse componenti della spesa corrente, ivi incluse le spese di personale. In particolare, tra le misure indicate nel piano è ricompresa anche la riduzione del trattamento economico accessorio dei dipendenti regionali, compresi quelli di livello dirigenziale.

Pertanto, la norma regionale in esame, prevedendo il congelamento dei sopracitati risparmi di spesa derivanti dalle riduzioni di spesa del trattamento accessorio di cui al punto 2), lettere d) ed e) dell’Accordo, sottrae di fatto gli stessi dal concorso alla riduzione del disavanzo finanziario, generando peraltro una economia di bilancio utilizzabile in futuro, a seguito di successive leggi regionali che potrebbero determinare un utilizzo diverso di tali risparmi temporaneamente congelati se non un loro ritorno nell’ambito delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale in palese contrasto con i contenuti del citato Accordo-Stato Regione Siciliana.

Il Governo osserva come la Regione Siciliana ha adottato norme in materia di incremento del trattamento accessorio del personale in palese contrasto con le finalità dell’accordo stesso finalizzate al contenimento di tale spesa, che sono state impugnate per violazione della Costituzione e sono state tutte dichiarate incostituzionali dalla Corte con le sentenze n. 190 e 200 del 2022.

Infine, si richiama la sentenza n. 69 del 2011 nella quale si afferma che «[.....] la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto stabilità interno (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale».

Per tali ragioni la disposizione in esame assume carattere manifestatamente contraddittorio «laddove sottrae i risparmi derivanti dalla riduzione del trattamento accessorio del personale al concorso del ripiano del disavanzo e mantiene di fatto tali risorse nella disponibilità futura del bilancio regionale», e violerebbe perciò l’articolo 81, l’articolo 97, secondo comma e l’articolo 119, primo comma, della Costituzione.

2.2. Oggetto di impugnazione è anche l’articolo 13, comma 11, laddove prevede che il divieto di procedere a nuove assunzioni, promozioni e modifiche della pianta organica in Società partecipate, in Irfis-Finsicilia S.p.A. ed in enti sottoposti a controllo e vigilanza della Regione disposto dall’articolo 12, comma 15, della legge regionale n. 13/2022, non si applichi alle procedure discendenti dall'attuazione del comma 17 dell’articolo 3 della legge regionale n. 27/2016, secondo cui la Regione adotta le iniziative necessarie per l'assunzione con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso apposito ente regionale o società partecipata, per i soggetti titolari di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, che alla data del 31 dicembre 2018 risultino ancora titolari di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulato con la Regione, con gli enti sottoposti a vigilanza e tutela della stessa e con gli enti del settore sanitario o con gli enti pubblici territoriali della Regione.

Rileva il Governo come la norma in esame faccia salve le stabilizzazioni già previste dalla legge regionale n. 27/2016, consentendo, fra l’altro, la stabilizzazione – anche presso società a partecipazione regionale – di personale precario della Regione e di altri enti regionali, e determinerebbe «la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. l), Cost. con riferimento all’ordinamento civile societario, nonché dei principi costituzionale di buon andamento, imparzialità e selettività di cui all’art. 97, commi secondo e quarto, Cost».

2.2.1. L'articolo 13, comma 20 autorizza, per l'esercizio finanziario 2022, la spesa di 500 migliaia di euro, prevedendone la copertura, al fine di assicurare agli operatori impegnati nell'emergenza Covid-19 presso l'Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo il riconoscimento dell’indennità di cui all’articolo 5, comma 8 della legge regionale 12 maggio 2020, n. 9 e successive modificazioni.

Al riguardo, occorre premettere che il riconoscimento della predetta indennità di cui al citato comma 8, previsto per il periodo che decorre dal 1° marzo 2020 e fino al termine dello stato d'emergenza sanitaria, di 1.000,00 euro mensili è diretto agli operatori sanitari di ruolo con afferenza Covid del S.S.R. e di emergenza urgenza, SEUS/118, autisti soccorritori, infermieri, medici e medici 118 EST impegnati nell’emergenza Covid e gli oneri derivanti sono coperti ai sensi del comma 9 del citato articolo 5 anche attraverso l’utilizzo delle risorse extraregionali non impegnate.
Quindi, la norma regionale in esame nell’individuare in maniera puntuale i destinatari della stessa prefigura una nuova fattispecie rispetto a quella disciplinata dal citato comma 8 con necessità di nuova copertura (anche attraverso l’utilizzo delle risorse extraregionali non impegnate).

Il comma 21 estende il beneficio previsto dall’art. 5, comma 8 della legge regionale n. 9 del 2020 al personale dipendente dalla Società servizi ausiliari spa impegnato nei servizi ausiliari presso le Aziende sanitarie afferenti pazienti Covid, individuandone la copertura nelle disposizioni di cui al comma 9 della precedente legge regionale n.  del 2020.

Il successivo comma 57 stabilisce che «Al fine di garantire il riconoscimento del beneficio di cui al comma 8 dell'articolo 5 della legge regionale n. 9/2020, agli operatori sanitari che hanno prestato servizio in costanza dell’emergenza pandemica presso l'Ospedale Buccheri La Ferla-Fatebenefratelli e presso I’ISMETT di Palermo, è autorizzata, per l’esercizio finanziario 2022, la spesa di 600 migliaia di euro, di cui 150 migliaia per gli operatori dell’Ospedale Buccheri La Ferla - Fatebenefratelli e 450 migliaia per quelli dell'ISMETT (Missione 12, Programma 5)».

IL Governo osserva come possibili profili di contrasto con la Costituzione fossero già emersi nella precedente legge n. 9 del 2022 ma che essi non erano stati oggetto di una formale contestazione mediante di impugnazione poiché, «medio tempore, la regione Sicilia con formale impegno del Presidente ha comunicato che avrebbe adottato le necessarie iniziative legislative finalizzate a riconoscere la misura economica di cui all’art. 5, commi 8 e 9 quale indennità limitata al periodo 1° marzo - 31 maggio 2020, assicurando la copertura finanziaria a valere sulle risorse del Fondo sanitario, come integrato dalle risorse nazionali per la emergenza Covid-19, ma entro i limiti del tetto di spesa per il personale del Servizio sanitario regionale previsto dalla vigente normativa».

Tuttavia analoghi profili di illegittimità si ripropongono rispetto all’art. 13, commi 20, 21 e 57 considerato che le disposizioni in parola hanno l’effetto di estendere il ristoro di cui al citato art. 5, comma 8 della legge regionale n. 9 del 2020 oltre la fine dello stato di emergenza.

Per tali ragioni i commi 20, 21 e 57 dell’art. 13 si porrebbero in contrasto con l’articolo 81, e con l’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, considerata la riserva esclusiva dello Stato sull'ordinamento civile e, quindi, sui rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e l’articolo 117, terzo comma, che stabilisce la competenza esclusiva statale di coordinamento della finanza pubblica, poiché le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.

Il comma 57, presenterebbe poi un ulteriore profilo di incostituzionalità dato che prevede l’estensione del beneficio anche agli operatori sanitari che hanno prestato servizio presso strutture private accreditate.

Osserva a tal proposito il Governo che «i rapporti con gli erogatori privati accreditati sono regolati da appositi accordi contrattuali ai sensi dell’art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/92 e i predetti accordi remunerano le prestazioni rese dai privati accreditati attraverso la corresponsione di tariffe omnicomprensive». Secondo quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 8-sexies “Remunerazione” del D.Lgs. 30/12/1992, n. 502, infatti, «Le strutture che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale sono finanziate secondo un ammontare globale predefinito indicato negli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies e determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività svolte nell'ambito e per conto della rete dei servizi di riferimento».

Secondo il Governo «quanto disposto dalla norma in esame non risulta coerente con la programmazione del Piano di rientro, né con la legislazione vigente», ponendosi in contrasto con l’articolo 81 e con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dato che «le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica».

2.3. L’articolo 13 comma 43 rinvia al 2023 l’elezione dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani e proroga al 31 agosto 2023 le funzioni degli attuali commissari straordinari che svolgono le funzioni di Presidente dei liberi Consorzi comunali, in attesa delle elezioni di II livello previste in origine dalla legge regionale n. 15 del 2015 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane) e da allora mai indette in quanto sempre rinviate.

In buona sostanza, rileva il Governo «dal 2015 ad oggi, la Regione ha rinviato ben undici volte le elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane prorogando contemporaneamente la gestione commissariale degli enti di area vasta.
In particolare, le proroghe disposte con la legge regionale n. 11/2020 al 31 gennaio 2021, con legge regionale n. 34/2020 al 30 aprile 2021 e con la legge regionale n. 13/2021 al 31 gennaio 2022 erano state motivate dall’emergenza epidemiologica legata alla pandemia da Covid-19, mentre la proroga disposta con legge n. 31 del 2021 prevedeva espressamente che il rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta avvenisse nelle more dell'insediamento degli organi dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, nonché dell'approvazione di una legge di riordino della materia.

Secondo il Governo «Il reiterato rinvio delle elezioni e le conseguenti proroghe dei commissariamenti violano i principi di democraticità di cui all’art. 1, comma primo della Costituzione, in quanto i referendum e le elezioni (ancorché indirette) rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare (sentenza costituzionale n. 1/2014) e contrastano altresì con gli artt. 5 e 114 Cost., in quanto l’autonomia e la rappresentatività degli enti commissariati sono svuotate da un commissariamento - di fatto - sine die».

Essi inoltre si porrebbero in contrasto con il principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 della Costituzione, dato che «la situazione di eccezionalità che poteva giustificare, nell’immediatezza dell’entrata in vigore, della disciplina di riforma la proroga originariamente disposta non può infatti porsi come plausibile ragione giustificativa delle successive 10 proroghe che si sono susseguite in un arco temporale di sei anni, ciò che stabilizza l’eccezionalità oltre ogni ragionevole limite».

Secondo il Governo, pertanto, «La Regione Siciliana, pur dando apparente seguito, con la legge regionale n. 15/2015, all’obbligo di riordino delle circoscrizioni provinciali, ha in realtà finora rinviato le elezioni degli organi provinciali (rectius “liberi consorzi comunali”) ed ha pertanto disatteso la legge n. 56/2014 (legge Delrio), ponendosi al di fuori della cornice normativa di quest’ultima, le cui disposizioni valgono come principi di grande riforma economica e sociale (art. 1, commi 5 e 145), al cui rispetto anche le Regioni a statuto speciale sono tenute (sentenze Corte cost. n. 168/2018 e n. 160/2021) ed a cui anche la Regione siciliana soggiace, posto che le disposizioni statutarie di cui all’art. 14, trovano il loro limite nelle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, secondo quanto espressamente statuito dalla Corte costituzionale (per tutte, sentenza costituzionale n. 168/2018)».

2.4. Oggetto di impugnazione è altresì l’articolo 13, comma 71 a norma del quale «trovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell'articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all'articolo 38-bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni».

Si tratta di alcune norme di semplificazione, adottate dallo Stato durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19, in materia di attività di intrattenimento e culturali.

In particolare, secondo il summenzionato art. 38-bis, comma 1, del decreto legge n. 76/2020, al fine di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell'industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 – in via sperimentale fino al 31 dicembre 2021, termine poi prorogata alla medesima data del 2022 dall'art. 10, comma 1, del decreto-legge n. 24/2022 – «per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l'organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, è sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall’interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo, fermo restando il rispetto delle disposizioni e delle linee guida adottate per la prevenzione e il contrasto della diffusione del contagio da COVID-19 e con esclusione dei casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali nel luogo in cui si svolge lo spettacolo in oggetto».

Il Governo rammenta come nella Regione Siciliana le autorizzazioni in materia di pubblici spettacoli, di cui agli artt. 68 e 69 del R.D. n. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi in materia di Pubblica Sicurezza) e agli artt. 116-151 del R.D. n. 635/1940 (Regolamento per l'esecuzione del TULPS) sono - ancora - di competenza dei questori.
Ciò perché la Regione non ha portato a compimento il recepimento, nel proprio ordinamento ad autonomia speciale, dell’art. 19, del D.P.R. n. 616/1977, nella parte in cui - comma 1, nn. 5) e 6) - sono state attribuite ai comuni le funzioni di rilascio delle licenze ex artt. 68 e 69 TULPS.

L’art. 19 del D.P.R. n. 616 del 1977, infatti, aveva stato realizzato un significativo trasferimento ai comuni di specifiche funzioni in materia di polizia amministrativa, tra le quali quelle concernenti la concessione della licenza per rappresentazioni teatrali o cinematografiche, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, altri simili spettacoli o trattenimenti, per aperture di esercizio di circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione, di cui all'art. 68 TULPS; la licenza per pubblici trattenimenti, esposizioni di rarità, persone, animali, gabinetti ottici ed altri oggetti di curiosità o per dare audizioni all'aperto di cui all’art. 69 TULPS.
Successivamente il legislatore con il decreto-legge n. 91 del 2013, ha modificato sia l’art. 68 che l’art. 69 del TULPS, prevedendo, a determinate condizioni modali e temporali la sostituzione della licenza del Sindaco con la SCIA di cui al sopracitato art. 19 della legge n. 241/1990 ma, quest’ultimo prevede - al comma 1 - che la SCIA non si applichi, tra l'altro, agli atti «rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze...».
Tale clausola di esclusione è coerente, dal punto di vista logico-sistematico, sia con il vasto programma di trasferimento e delegazione delle funzioni amministrative avviato con il menzionato D.P.R. n. "616" (e proseguito fino agli anni duemila) che con le più recenti misure di semplificazione, perché il Legislatore ha prima trasferito o delegato funzioni statali agli enti locali, poi ne ha accelerato l'iter procedurale con strumenti "anticipativi" e "speditivi" come la SCIA.

Le indicazioni ricavabili dai dati normativi citati sono confermate anche con quella che il Governo definisce nella propria impugnativa «l'ultima manovra "di sistema", operata con il d.lgs. n. 222/2016 (c.d. "decreto SCIA 2", adottato nel solco tracciato dalla legge di riforma della pubblica amministrazione, n. 124/2015), che prevede la SCIA come regime amministrativo tipico per numerose tipologie di attività economiche (esercizi di vicinato, strutture ricettive, stabilimenti balneari), devolute alla competenza dei Comuni, ovvero per attività che non rivestono profili di diretto e primario interesse per l’Interno».

Osserva il Governo come il percorso normativo seguito dalla Regione Siciliana, con circoscritto riferimento alla materia degli spettacoli e dei trattenimenti, presenti notevoli profili di diversità rispetto alla disciplina statale, dato che «il ricostruito assetto normativo nazionale in subiecta materia, caratterizzato dalla licenza del Sindaco (cui corrisponde, simmetricamente, il parere di agibilità statica e dinamica del locale di pubblico spettacolo/trattenimento reso dalla Commissione comunale di vigilanza ex art. 80 TULPS, sotto il profilo dell'incolumità pubblica e della safely) e, a determinate condizioni, dalla SCIA presentata presso lo Sportello unico per le attività produttive-SUAP, in detta Regione non è stato ancora perfezionato, in mancanza delle necessarie norme attuative del relativo Statuto speciale».

L'art. 22 della legge regionale siciliana n. 1 del 1979, in materia di attribuzione ai Comuni di funzioni amministrative regionali prevede che ad essi sono attribuite le funzioni di polizia amministrativa di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 733, e successive modifiche e che l'esercizio delle stesse funzioni sarà determinato sulla base delle relative norme di attuazione dello Statuto.

In assenza di quest’ultime, in Sicilia le licenze per i pubblici spettacoli sono ancora di competenza del questore.
Tale soluzione interpretativa, secondo il Governo, troverebbe conferma nella decisione n. 236 del 1989 del CGARS, che ha  statuito che, in mancanza delle relative norme di attuazione dello Statuto, l’esercizio delle funzioni in questione continua a rimanere nella competenza dell'Autorità di pubblica sicurezza.

Orientamento confermato dal Consiglio di Stato, che, nel parere n. 1510 del 2002 ha confermato che, ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana e alle province e ai comuni della stessa Regione, non siano ammissibili procedure diverse da quella prevista dall'art. 43 dello Statuto speciale.

Se, dunque, il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa contemplate dal TULPS (tra cui le licenze ex artt. 68 e 69) ai Comuni siciliani, ha carattere preliminare rispetto alloro esercizio in concreto ciò, a maggior ragione, vale per la loro semplificazione.
Per tali ragioni, conclude il Governo «la disposizione di cui all'art. 13, comma 71, della legge regionale siciliana n. 16/2022, che recepisce le previsioni procedurali e temporali di cui agli artt. 38-bis, del D.L. n. 76/2020, e 10, del D.L. n. 24/2022, appare, ad avviso di questo Ufficio, in contrasto con le previsioni statutarie (art. 43, St. Reg. Sic.) e costituzionali (art. 116 Cost., legge cost. n. 2/1948), nonché lesiva delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. h), della Costituzione».

2.5. Il comma 92 dell’art. 13 prevede che, relativamente alle forme di ristoro da riconoscere ai centri di riabilitazione ed ai centri diurni per i soggetti affetti da disturbi dello spettro autistico, destinatari di apposito budget per l’anno 2020, che hanno temporaneamente sospeso l’attività a causa dell'emergenza da Covid-19 e che non abbiano attivato le procedure di cassa integrazione per i propri dipendenti, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 48 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18.

Osserva il Governo come Le norme ivi richiamate, sono state adottate in periodo emergenziale ed esaurivano i loro effetti limitatamente a tale periodo. Il comma in esame prevede invece la propria applicazione anche per l’anno 2022, al di fuori del periodo emergenziale e non coperto dalla legislazione vigente.

Pertanto il Governo ritiene «di dover impugnare le disposizioni in esame dinanzi alla Corte Costituzionale, in quanto le stesse si pongono in contrasto con l’articolo 81 e articolo 117, terzo comma, della Costituzione», dal momento che «le vigenti disposizioni in materia di Piano di rientro dal deficit sanitario si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica».

2.6. L’articolo 13, comma 108 prevede che: “Nelle more della formazione ed approvazione dei PUG, i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo”.

Osserva il Governo che l’articolo 10 della legge n. 104 del 1992, ed in particolare il comma 6, stabilisce che: “L’approvazione dei progetti edilizi presentati da soggetti pubblici o privati concernenti immobili da destinare alle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi di cui ai commi 1 e 3, con vincolo di destinazione almeno ventennale all’uso effettivo dell’immobile per gli scopi di cui alla presente legge, ove localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, fatte salve le norme previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni, e dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, costituisce variante del piano regolatore. Il venir meno dell’uso effettivo per gli scopi di cui alla presente legge prima del ventesimo anno comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area”.

La prima parte del citato comma 108, dunque, osserva il Governo rende permanente il cambio d’uso che la legge nazionale, invece, prevede come destinato a cessare in caso di venir meno dell’uso effettivo prima del ventesimo anno.
L’ultimo periodo del medesimo comma 108 stabilisce, poi, che gli immobili destinati, in deroga agli strumenti urbanistici, all’uso da parte delle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi, possano essere destinati a usi non residenziali e/o commerciali, su richiesta degli “aventi titolo”, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale n. 16 del 2022.

L’articolo 13, comma 108, della legge regionale in esame, dunque sembrerebbe «distorcere il dato della norma nazionale, piegando l’effetto di variante agli strumenti urbanistici a finalità che risultano estranee alle necessità di tutela delle persone con disabilità.
Si stabilizza, infatti, l’effetto di variante, che in base alla norma nazionale è legato all’uso effettivo dell’immobile da parte delle comunità alloggio e dei centri socio-riabilitativi, e inoltre si consente, una volta ottenuto tale effetto, di destinare l’immobile a usi non residenziali, e quindi slegati dalle attività proprie di tali comunità e centri.

L’illegittimità della disposizione impugnata sarebbe aggravata dalla circostanza che tale effetto si produce solo nel caso in cui le istanze siano presentate entro il ristretto termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale e ciò si mostrerebbe irragionevole.

Il Governo invoca quale parametro di legittimità costituzionale  l’articolo 3 della Costituzione, dal quale, sulla scorta degli orientamenti della Corte costituzionale  «si desume un canone di razionalità della legge rintracciato nell’esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità ed a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa (ex multis, Corte cost., sent.n. 87 del 2012, n. 421 del 1991, n. 46 del 1993, n. 81 del 1992)».

Ad esso si aggiungono gli articoli 9 e 97 della Costituzione, ponendosi la norma «in contrasto con i principi di ragionevolezza e buon andamento, in quanto sacrifica l’esigenza di un ordinato assetto del territorio, connaturata alla pianificazione urbanistica, non più in vista dell’interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo».

Ulteriori parametri i costituzionalità individuati dal Governo sono l’articolo 14, primo comma, lettera f) lo Statuto della Regione Siciliana, rispetto al quale costituiscono parametro interposto l’articolo 41-quinquies commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, nonché l’articolo 10 della legge n. 104 del 1992; ed anche l’articolo 14, comma 1, lettera n) dello Statuto e l’articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, del quale rappresentano parametri interposti gli articoli 135, 143, 145 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché dell’articolo 117, comma primo, della Costituzione, che impone il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ed in particolare dall’articolo 3, dell’articolo 5, lett. d), e dell’articolo 6, lettere D ed E, della Convenzione europea del paesaggio, cui è stata data esecuzione dalla legge 9 gennaio 2006, n. 14.