La nuova pronuncia delle Sezioni Unite sulla maternita’ surrogata (1/2023)

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Con la sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022, la Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite Civili è tornata ad occuparsi del riconoscimento del provvedimento straniero che attesta il rapporto filiale tra il cd. genitore d’intenzione e il bambino nato da maternità surrogata.

Di recente, tale materia è stata oggetto di numerose pronunce sia da parte delle più autorevoli Corti nazionali[1] che sovranazionali[2], dal momento che la maternità surrogata implica complesse questioni di diritto.

 

Relativamente alla decisione in esame, i giudici di legittimità in composizione collegiale, ponendosi nel solco della giurisprudenza nazionale e sovranazionale in tema, hanno ribadito il diniego alla possibilità di delibazione di un provvedimento straniero che attesta il rapporto di filiazione con il cd. ‘genitore d’intenzione’ di un bambino nato da maternità surrogata.

Per l’effetto, è esclusa l’automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero che attribuisce la genitorialità legale non solo al padre biologico, ma anche al partner di quest’ultimo che, seppur condividendo il progetto procreativo, non ha fornito alcun apporto genetico al bambino.

A parere della Corte, il riconoscimento della co-genitorialità in questi casi trova impedimento intrinseco nel divieto assoluto di surrogazione di maternità che vige nell’ordinamento italiano; difatti, ai sensi dell’art. 12, co. 6, della L. n. 40 del 2004, qualsiasi ricorso alla gestazione per altri è perseguito e sanzionato penalmente. Ebbene, secondo i giudici tale proibizione è qualificabile come un principio di ordine pubblico internazionale, poiché posto a tutela di valori fondamentali, come la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione.

Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che l’interesse del minore, pur essendo prioritario, non può tuttavia comportare per lo Stato l’obbligo di dover riconoscere in ogni caso uno status validamente acquisito in un paese estero. Nel bilanciamento degli interessi in gioco, la Corte ha inteso sottolineare che il best interest of the child non dovrebbe essere considerato prevalente in modo automatico rispetto ad ogni altro contro-interesse in gioco, quale lo scopo di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità.

Di conseguenza, l’ufficiale di stato civile è tenuto a rifiutare la trascrizione degli atti di nascita stranieri che riconoscono il rapporto di genitorialità tra un bambino nato tramite maternità surrogata e il genitore d’intenzione, per contrarietà all’ordine pubblico internazionale. Pertanto, come sottolineato più volte nel corso della presente sentenza, in assenza di un intervento del legislatore, lo strumento accordato dall’ordinamento per il riconoscimento del rapporto genitoriale non biologico rimane l’istituto dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della L. n. 184 del 1983.

In particolare, il caso che ha dato origine al presente giudizio riguarda un bambino nato all’estero da maternità surrogata, figlio di una coppia omoaffettiva di cittadinanza italiana. I due uomini, infatti, per realizzare il proprio desiderio condiviso di genitorialità, dopo essersi uniti civilmente in Canada, hanno deciso di ricorrere alla gestazione per altri in quel paese, ove tale pratica – se realizzata in modo ‘altruistico’ – è legalmente ammessa[3].

In base al progetto procreativo, uno dei due uomini ha fornito i propri gameti, uniti mediante fecondazione in vitro con l’ovocita di una donatrice anonima. L’embrione è stato poi impiantato nell’utero di un’altra donna, che ha poi portato a termine la gravidanza per conto della coppia.

Alla nascita del bambino, le autorità canadesi hanno formato un atto di nascita che indicava come genitore il solo padre biologico; tale documento è stato trascritto debitamente anche nei registri italiani.

In seguito, tramite un procedimento giudiziale dinnanzi alla Corte Suprema della British Columbia, i due uomini sono stati riconosciuti entrambi come genitori del minore per lo Stato canadese e l’atto di nascita è stato conseguentemente oggetto di rettifica. Pertanto, al loro rientro in Italia, la coppia ha chiesto all’ufficiale di stato civile la delibazione del provvedimento di rettifica dell’atto di nascita canadese.

Il lungo e tortuoso procedimento giudiziale scaturito dal diniego ha investito alcune tra le più autorevoli Corti del sistema giurisdizionale italiano.

In specie, la coppia ha presentato ricorso ex art 702 bis c.p.c. alla Corte d’appello competente, richiedendo il riconoscimento del provvedimento straniero. La domanda dei ricorrenti è stata accolta con ordinanza, sulla base del rilievo per cui l’atto straniero in questione presentasse i requisiti per l’ammissione interna, ai sensi dell’art. 67 della L. 218/95.

È stata quindi investita della questione la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con quattro motivi di impugnazione presentati congiuntamente dal Ministero dell’interno e dal Sindaco del Comune in cui la vicenda si è svolta, in qualità di ufficiale del Governo. A loro volta, i giudici di legittimità hanno rilevato che, nel frattempo, era intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 12193 del 2019 che enunciava nuovi principi di diritto proprio sul tema oggetto delle doglianze. Di conseguenza, con ordinanza del 29 aprile 2020 n. 8325, la Prima Sezione ha sollevato questione di legittimità costituzionale ritenendo incompatibili tali principi di diritto – costituenti diritto vivente – con plurimi parametri costituzionali oltre che con numerose fonti sovranazionali e internazionali che tutelano i diritti fondamentali della persona e i diritti dei minori.

Il punto principale della questione verteva sulla asserita divergenza tra il diritto vivente che nasce dall’interpretazione giurisprudenziale e quello vigente che impone ancora il divieto di trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero che attesta la relazione tra il bambino nato da maternità surrogata e il genitore d’intenzione, per contrarietà all’ordine pubblico.

La Corte costituzionale, con sentenza n. 33 del 2021, ha dichiarato inammissibile la questione, secondo il presupposto per cui spetta al legislatore allineare il diritto vigente a quello vivente e dunque adeguare la normativa alle esigenze di tutela dei bambini nati da maternità surrogata. In specie, si è trattata di una decisione di cd. inammissibilità-monito e non di illegittimità costituzionale, mediante cui la Consulta – riscontrando una situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore – ha riconosciuto che è attribuito al legislativo il compito di tradurre in atti normativi la coscienza collettiva su temi di tale rilevanza politico-sociale.

Ripreso il giudizio innanzi alla Prima Sezione, quest’ultima ha rimesso gli atti alle Sezione Unite, mediante ordinanza n. 1842 del 21 gennaio 2022. In assenza di un intervento innovativo del legislatore, la Prima Sezione ha ritenuto che, a seguito della pronuncia costituzionale, fosse necessaria una rivalutazione degli strumenti normativi esistenti (i.e. delibazione e trascrizione), per verificare se sussistesse ancora un insuperabile ostacolo alla loro utilizzazione, derivante dalla natura di ordine pubblico del divieto di maternità surrogata.

Anzitutto, le Sezioni Unite Civili – entrando nel merito dei punti enunciati dalla Prima Sezione nell’ordinanza di rimessione – hanno rilevato che la sentenza della Corte costituzionale non ha determinato un vuoto normativo.

Difatti, la Consulta ha ritenuto di non poter intervenire direttamente sul punto, pur evidenziando numerosi aspetti di criticità rispetto all’utilizzo dell’adozione in casi particolari come strumento di tutela del minore nato da maternità surrogata. Invero, a suo parere tale materia richiede necessariamente un bilanciamento di interessi che esula dai poteri conferiti alla Corte; di conseguenza, con tale pronuncia di inammissibilità-monito i giudici delle leggi hanno esortato il legislatore ad intervenire, al fine di individuare lo strumento più idoneo per salvaguardare i molteplici interessi in gioco. Di qui, avvallando l’approccio metodologico prescelto dalla Consulta, anche le Sezioni Unite hanno ribadito che – nonostante l’inerzia del legislatore – la valutazione in sede interpretativa non può mai tradursi nell’elaborazione di una norma nuova. La giurisprudenza non è fonte creativa del diritto e il suo ruolo, nella fattispecie in oggetto, consiste nel valutare i termini di operatività della clausola generale dell’ordine pubblico internazionale. Per le motivazioni addotte, le Sezioni Unite hanno ritenuto, quindi, che tale pronuncia del giudice delle leggi non ha determinato il superamento del diritto vivente rappresentato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2019.

Il Collegio si è poi soffermato sul tema dell’adozione in casi particolari, unico strumento ad oggi previsto dal legislatore per poter riconoscere il rapporto di filiazione tra il minore nato da maternità surrogata e il genitore d’intenzione. A parere dei giudici di legittimità, sebbene l’istituto presenti ancora numerose criticità, la recente sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 2022 ha risolto uno dei nodi centrali che ostavano in concreto all’utilizzo della disciplina in oggetto. All’insegna della piena attuazione del principio di unità dello stato di figlio, la pronuncia ha ravvisato l’incostituzionalità della norma che impediva l’instaurarsi di rapporti civili tra il minore adottato e i parenti dell’adottante. Di conseguenza, anche l’adozione del minore in casi particolari produce oggi effetti pieni e instaura relazioni di parentela con i familiari dell’adottante.

In relazione, poi, alla necessità dell’assenso del genitore biologico ai fini del perfezionamento della procedura di adozione, il Collegio ha ravvisato la possibilità di superare tale requisito critico mediante un’interpretazione adeguatrice, alla luce del preminente interesse del minore. In specie, il dissenso alla costituzione del legame di filiazione adottiva non può essere espressione di un volere meramente potestativo, ma deve essere collocato in una dimensione funzionale. Di conseguenza, il rifiuto all’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, appare ragionevole solo ove espresso nell’esclusivo interesse del minore e non di certo per sopraggiunte crisi di coppia.

In definitiva, le Sezioni Unite hanno concluso sul punto constatando che l’adozione in casi particolari, per come attualmente disciplinata, si profila come uno strumento potenzialmente adeguato al fine di assicurare al bambino nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta tanto dai principi convenzionali quanto da quelli costituzionali.

L’analisi del Collegio si è concentrata, allora, sulla valutazione dell’opposizione al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero costitutivo del rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione per contrarietà all’ordine pubblico internazionale. I giudici hanno sottolineato che il limite dell’ordine pubblico opera non tanto con riferimento alle disposizioni applicate dal giudice straniero ai fini della soluzione della controversia, bensì con riguardo alle conseguenze che il riconoscimento della sentenza straniera produce nell’ordinamento. Ebbene, l’operazione che il giudice dovrà allora svolgere consiste nel verificare la compatibilità degli effetti prodotti dal provvedimento straniero nell’ordinamento rispetto ai limiti inderogabili sussistenti in quella specifica materia.

In primo luogo, tale clausola generale rappresenta un meccanismo di salvaguardia dell’armonia interna e di argine di fronte all’ingresso di valori incompatibili con i principi ispiratori. In secondo luogo, l’ordine pubblico internazionale ha acquisito anche una funzione promozionale, volta a favorire la diffusione dei principi riconosciuti a livello sovranazionale e internazionale. Quanto ai formanti poi, i principi fondanti possono trovare espressione tanto nelle disposizioni di rango costituzionale, quanto nelle norme di legge ordinaria che siano significative del modo di essere dell’ordinamento.

Alla luce di ciò, ad avviso del Collegio, costituisce limite di ordine pubblico l’art. 12 co. 6 L. 40 del 2004 che considera fattispecie di reato ogni forma di maternità surrogata. La sanzione penale esprime così il disvalore che l’ordinamento attribuisce alla gestazione per altri. Difatti, a prescindere dalle modalità di condotta e dagli scopi perseguiti, tale pratica è lesiva del valore della dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva e contribuisce altresì alla mercificazione del corpo femminile per il soddisfacimento del desiderio inconsulto di genitorialità.

In virtù di quanto riportato, le Sezioni Unite hanno convenuto che non è consentito al giudice, in sede interpretativa, escludere la lesività della dignità della donna e, con essa, il contrasto con l’ordine pubblico internazionale, anche laddove la maternità surrogata sia il frutto di una scelta volontaria e consapevole.

La Corte ha così ritenuto che, attraverso la punizione della surrogazione di maternità in via assoluta, da una parte si tutelano in via immediata i diritti della gestante e dall’altra si tende a disincentivare l’utilizzo della pratica. A questo proposito, il Collegio ha rammentato che tale opposizione si trova in linea, per altro, con la condanna espressa della pratica mossa da più autorità a livello internazionale, fra cui il Parlamento europeo, attraverso la nota risoluzione del 13 dicembre 2016. 

I giudici di legittimità si sono poi soffermati sui diritti del bambino, aspetto dirimente che discende direttamente dalla pratica in oggetto. Concorre, infatti, a formare l’ordine pubblico internazionale anche il best interest of the child; principio riconducibile a molteplici fonti internazionali ed europee. Sul punto è stato chiarito che, sebbene preminente, l’interesse del minore, non può di certo rappresentare un diritto tiranno rispetto alle altre situazioni soggettive costituzionalmente riconosciute o protette nella materia in oggetto che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. Di conseguenza, il best interest of the child dovrebbe mirare non tanto a legittimare comportamenti disapprovati dall’ordinamento, quanto ad esigere che il riconoscimento giuridico del rapporto con il genitore d’intenzione avvenga secondo un procedimento legittimo.

Poste tali coordinate, le Sezioni Unite hanno ribadito che deve essere esclusa la possibilità di trascrivere il provvedimento giudiziario straniero che indichi quale genitore del bambino nato tramite surrogazione di maternità il padre d’intenzione.

L’ineludibile esigenza di assicurare anche al bambino nato da maternità surrogata il suo diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo con il genitore d’intenzione è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, I, lett. d), L. n. 184 del 1983.

Più puntualmente, le Sezioni Unite hanno aggiunto che il provvedimento giudiziario straniero non risulta trascrivibile per un triplice ordine di ragioni.

In primo luogo, perché nella non trascrivibilità si esprime la legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata. A tal proposito, il riconoscimento del provvedimento straniero finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante; inoltre, esso non sarebbe neppure funzionale alla realizzazione del miglior interesse del minore, attuando semmai il desiderio di genitorialità degli adulti.

In secondo luogo, perché non sussiste un ‘diritto alla genitorialità’ comprensivo non solo dell’an e del quando ma anche del quomodo. Non esiste nell’ordinamento un paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico. Sul punto, le Sezioni Unite hanno messo in evidenza, altresì, che la fecondazione eterologa va tenuta distinta dalla maternità surrogata.

In terzo luogo, perché il riconoscimento della genitorialità non può essere affidato ad uno strumento di carattere automatico. A ben vedere, l’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore – hanno affermato le Sezioni Unitenon si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione in concreto. È dunque necessario un riscontro effettivo del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale. Una diversa soluzione, ha aggiunto il Collegio, porterebbe a fondare l’acquisto della genitorialità sulla sola scelta degli adulti, anziché su una relazione affettiva già di fatto instaurata e consolidata.

Ebbene, al contrario della delibazione del provvedimento straniero, nell’ultima parte della sentenza, la Corte ha inteso evidenziare che l’adozione in casi particolari sembra invece non ostare alle criticità appena evidenziate. In effetti, in tale procedimento non rileva esclusivamente il consenso e non viene assecondato, tramite automatismi, il mero desiderio di genitorialità, ma piuttosto esso dimostra una precisa vocazione a tutelare l’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con il genitore d’intenzione. L’accertamento della pienezza del legame di filiazione tramite adozione in casi particolari postula, infatti, un giudizio sul migliore interesse del minore come pure una valutazione effettiva dell’idoneità dell’adottante. Attraverso il ricorso all’adozione in casi particolari, dunque, l’ordinamento italiano garantisce la tutela dell’interesse del minore poiché il riconoscimento dello status avviene all’esito di una verifica in concreto, da parte del giudice, del suo rapporto con il genitore d’intenzione.  

Tale soluzione, peraltro, a parere della Corte, si pone in linea anche con la giurisprudenza della Corte EDU. Invero, la Corte di Strasburgo si è più volte espressa ritenendo che in un ordinamento che disapprova la surrogazione di maternità non è affatto necessario che il rapporto del nato da madre surrogata con il committente privo di legame genetico con esso sia formalizzato ab initio mediante trascrizione del provvedimento estero. Al contrario, ciò che è richiesto agli ordinamenti, è la previsione di una procedura alternativa – che può essere anche di tipo adottivo – che consenta di conseguire il risultato nell’interesse del minore.

Di conseguenza, le Sezioni Unite hanno statuito che l’ineludibile esigenza di garantire al bambino nato da maternità surrogata i medesimi diritti dei bambini nati in condizioni diverse può essere effettivamente garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 co. 1 della legge n. 184 del 1983.

In conclusione, le Sezioni Unite hanno accolto i motivi di ricorso presentati dal Ministero e dal indaco, hanno cassato censurando l’ordinanza impugnata e, nel merito, hanno rigettato la domanda di riconoscimento del provvedimento straniero.

 

[1] Si fa riferimento, in particolare alle note sentenze: Cass. Civ. SS.UU., 8 maggio 2019, n. 12193 e Corte Cost., 9 marzo 2021, n. 33.

[2] In particolare, in tema di maternità surrogata, la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata più volte a pronunciarsi per asserita violazione del diritto al rispetto della vita familiare (art. 8 CEDU), del divieto di discriminazione (art. 14 CEDU) e per rifiuto di trascrivere il certificato di nascita di un bambino nato all’estero da maternità surrogata. Cfr., ex multis, Corte EDU, 16 luglio 2020, D. v. France, causa C-11288/18; Corte EDU, 14 dicembre 2021, V.M.A. v. Stolichna obshtina, rayon «Pancarevo», causa C-490/2020; ancora, Corte EDU, 26 giugno 2014, Mennenson v. France e Labassee v. France, causa C-185/2014. Sempre in argomento, si consideri il parere consultivo reso il 10 aprile 2019 dalla Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo sulla base del protocollo n. 16 annesso alla CEDU su richiesta della Cour de Cassation (domanda n. P16-2018-001). Per un commento al parere, si faccia riferimento in questa rivista all’articolo di O. Feraci, Il primo parere consultivo della CEDU su richiesta di un giudice nazionale e l’ordinamento giuridico italiano, 2019, II, p. 1 ss;  https://www.osservatoriosullefonti.it/mobile-saggi/fascicoli/2-2019/1442-il-primo-parere-consultivo-della-cedu-su-richiesta-di-un-giudice-nazionale-e-l-ordinamento-giuridico-italiano

[3] Lo Stato canadese ammette solo la maternità di tipo altruistico, ovvero in cui non è previsto un compenso per la madre surrogata. Al contrario, non è ammessa la cd. maternità surrogata commerciale, ove il contratto di gestazione per altri è a titolo oneroso, poiché strumento di mercificazione del corpo femminile.