Legislazione impositiva di limiti alla eleggibilità e candidabilità negli organi degli enti locali (2/2023)

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Sentenza n. 60/2023 - Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 06/04/2023 Pubblicazione in G. U.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge della Regione Sardegna 11 aprile 2022, n. 9 (Interventi vari in materia di enti locali della Sardegna. Modifiche alla legge regionale n. 4 del 2012 e alla legge regionale n. 3 del 2009), che consente quattro mandati consecutivi ai sindaci dei comuni con popolazione fino a tremila abitanti, e tre mandati consecutivi a quelli dei comuni con popolazione fino a cinquemila abitanti.

La giurisprudenza della Corte ha costantemente ricondotto la disciplina che regola – nelle regioni ad autonomia speciale – le elezioni degli enti locali, e le relative ineleggibilità e incompatibilità, alla competenza statutaria in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (quanto alla disciplina elettorale: sentenze n. 168 del 2018, n. 48 del 2003, n. 230 del 2001, n. 84 del 1997, n. 96 del 1968 e n. 105 del 1957; quanto a quella in tema di ineleggibilità e incompatibilità: sentenze n. 283 del 2010, n. 288 del 2007, n. 189 del 1971 e n. 108 del 1969). Alla stessa materia sono state altresì ascritte le disposizioni che pongono un limite ai mandati consecutivi alla carica di assessore (sentenza n. 133 del 1997).
Si tratta, in particolare per quanto riguarda la Regione autonoma Sardegna, di una competenza statutaria da esercitarsi «[i]n armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» (così, l’art. 3 dello statuto speciale).
Intervenendo sui limiti che le regioni ad autonomia speciale incontrano nel disciplinare la materia elettorale e le cause di ineleggibilità e incompatibilità alle cariche elettive, sia locali sia regionali, la Corte ha particolarmente insistito sul necessario rispetto del principio di eguaglianza sancito, quanto al diritto di elettorato passivo, dall’art. 51, primo comma, Cost., secondo cui «[t]utti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Si è così affermato che la potestà legislativa primaria delle regioni ad autonomia speciale deve «svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto (da ultimo, sentenza n. 143 del 2010). Di modo che l’esercizio del potere legislativo anche da parte delle Regioni a statuto speciale in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive, incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost.» (sentenza n. 277 del 2011).
Si è altresì precisato che «il riconoscimento di tali limiti non vuol dire disconoscere la potestà legislativa primaria di cui è titolare la Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi “di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza” (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)» (sentenza n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971).
La Corte ha anche sottolineato, con specifico riferimento all’accesso alle cariche elettive locali, che questa uniformità di disciplina è intimamente connessa all’identità di interessi che comuni e province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, qualunque sia la regione in cui gli enti locali si trovino (sentenze n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990).
Su queste basi, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime sia la introduzione di «nuove o diverse cause di ineleggibilità [...], sia la previsione come causa di ineleggibilità di situazioni previste a livello nazionale come cause di incompatibilità o di anomale discipline della incompatibilità [...], sia la mancata previsione di cause di ineleggibilità presenti nella legislazione statale» (sentenza n. 288 del 2007; in termini identici, sentenze n. 539 del 1990 e n. 189 del 1971)
La previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette infatti una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali.