Sull’obbligo di disapplicare, ex art. 19, par. 1, TUE, le modifiche legislative idonee a suscitare nei singoli dubbi di natura sistemica sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici (2/2021)

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Causa C-824/18 – Sull’obbligo di disapplicare, ex art. 19, par. 1, TUE, le modifiche legislative idonee a suscitare nei singoli dubbi di natura sistemica sull’indipendenza e l’imparzialità dei giudici

Sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomination des juges à la Cour suprême - Recours), causa C-824/18, ECLI:EU:C:2021:153[1]

Nella sentenza A.B. e a. (Nomination des juges à la Cour suprême - Recours), la Grande sezione della Corte di giustizia è stata adita in via pregiudiziale nell’ambito delle modifiche apportate dal legislatore nazionale nel 2018 e nel 2019 alla legge relativa al Consiglio nazionale della magistratura polacco e alla loro conformità agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, segnatamente dall’art. 267 TFUE e dall’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE. In particolare, riguardo a quest’ultima disposizione, la Corte ha sottolineato che, qualora un organo esterno intervenga nel processo di nomina a posti di giudice di un organo giurisdizionale supremo nazionale, è necessario prendere in esame se l’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano siffatto processo in un dato contesto giuridico-fattuale nazionale, e in particolare le condizioni in cui improvvisamente interviene la soppressione della possibilità di ricorso giurisdizionale fino ad allora esistenti, siano tali da suscitare nei singoli “dubbi di natura sistemica quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici nominati al termine di tale processo”. Inoltre, ove il giudice nazionale, a seguito di tale valutazione, ritenga che le disposizioni nazionali si pongano in contrasto con gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione, sarà tenuto a disapplicare tali disposizioni, anche se di natura costituzionale. La Corte ha infatti espressamente riconosciuto che non solo l’art. 267 TFUE è idoneo a produrre effetti diretti, ma anche lo stesso art. 19, par. 1, comma secondo, TUE pone a carico degli Stati membri un obbligo di risultato chiaro e preciso e non accompagnato da alcuna condizione con riferimento all’indipendenza che deve caratterizzare i giudici chiamati a interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione.  

 

Nella sentenza A.B. e a. (Nomination des juges à la Cour suprême - Recours) del 2 marzo 2021, la Corte di giustizia, nella formazione della Grande Sezione, è stata chiamata nuovamente a pronunciarsi in via pregiudiziale a tutela dei valori fondanti dell’Unione di cui all’art. 2 TUE, in particolare dello Stato di diritto, nel contesto delle riforme intraprese dalla Polonia e relative alla propria organizzazione della giustizia.

La Corte di giustizia era stata adita dalla Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa polacca) nell’ambito di una controversia riguardante, da un lato, alcuni candidati alle funzioni giudiziarie, e dall’altro lato, la Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura polacco; in prosieguo la «KRS»). I candidati a tali posizioni avevano infatti impugnato le delibere con cui la KRS aveva deciso di non proporre al Presidente della Repubblica di Polonia la loro nomina alle funzioni di giudice del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia), proponendo contemporaneamente al Presidente della Repubblica la nomina di altri candidati. Al momento dell’impugnazione, tali ricorsi erano disciplinati dalla legge sulla KRS, come modificata da una legge del luglio 2018. In applicazione di tale regime era previsto che, in primo luogo, una delibera della KRS divenisse definitiva non solo per la parte di tale delibera che conteneva la decisione di non proporre la nomina di candidati nel caso di mancato ricorso da parte dei candidati non prescelti, ma anche per la parte della suddetta delibera che conteneva la decisione di proporre la nomina rispetto ai partecipanti alla procedura di selezione che non avessero presentato ricorso. Tuttavia, tali partecipanti includevano anche i candidati la cui nomina era stata proposta e che, pertanto, non avevano interesse a proporre un ricorso avverso una siffatta delibera, cosicché quest’ultima avrebbe acquisito, di fatto, sempre carattere definitivo. Inoltre, in base a tale normativa, il sindacato giurisdizionale in caso di impugnazione da parte del candidato non nominato non avrebbe potuto condurre il giudice nazionale a una nuova valutazione della situazione ai fini dell’eventuale attribuzione del posto in questione. In secondo luogo, i ricorsi giurisdizionali riguardanti le delibere del KRS che proponevano nomine a posti di giudice diversi da quello di giudice alla Corte suprema erano rimaste invariate. Non prevedendo le medesime restrizioni introdotte riguardo tale supremo organo giurisdizionale, i candidati alla nomina a un posto di giudice in un organo giurisdizionale diverso dalla Corte suprema avrebbero quindi avuto un accesso differenziato al controllo giurisdizionale sulle delibere della KRS con le quali si escludeva la loro nomina.  

Inoltre, nelle more del procedimento davanti alla Corte di giustizia, il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale, Polonia) si era pronunciato, con una sentenza del 25 marzo 2019, affermando l’incostituzionalità della legge sulla KRS nella parte in cui conferiva la competenza alla Corte amministrativa suprema a conoscere dei ricorsi che riguardavano le delibere della KRS relative alla decisione di nomina dei candidati ai fini dell’attribuzione di un posto di giudice alla Corte suprema polacca, come nella causa che aveva dato origine al rinvio pregiudiziale. Secondo la Corte costituzionale polacca, questo avrebbe pertanto dovuto comportare la necessaria estinzione di tutti i procedimenti giurisdizionali pendenti. Inoltre, la legge sulla KRS era stata ulteriormente modificata con legge del 26 aprile 2019. Tale riforma, da un lato, aveva stabilito un non luogo ipso iure a provvedere in controversie come quelle che avevano dato origine al rinvio pregiudiziale e, dall’altro lato, aveva escluso, per il futuro, qualsiasi possibilità di ricorso nelle cause individuali relative alla nomina a un posto di giudice alla Corte suprema polacca, anziché affidarne l’esame a un altro giudice.   

Il giudice del rinvio, dubitando della compatibilità con il diritto dell’Unione di una siffatta normativa nazionale, aveva deciso di sospendere il procedimento e sollevare due questioni pregiudiziali a cui si era successivamente aggiunta una terza questione, alla luce delle modifiche normative intervenute in pendenza del procedimento davanti alla Corte di giustizia.

Dopo aver ritenuto la propria competenza a pronunciarsi sulle questioni sollevate, la Corte di giustizia ha preso in esame la terza questione pregiudiziale, riguardante le modifiche legislative intervenute nel 2019 e la loro compatibilità con molteplici disposizioni sia di diritto primario sia di diritto derivato dell’Unione[2]. La Corte ha innanzitutto rigettato i rilievi formulati in particolare dal governo polacco circa l’irricevibilità della domanda, affermando, in primo luogo, che tale questione mirava proprio a determinare se i cambiamenti normativi derivanti dall’ultima riforma del 2019 fossero conformi al diritto dell’Unione e, nel caso di risposta negativa, quest’ultimo consentisse al giudice del rinvio di non tenere conto di tali cambiamenti e, di conseguenza, di respingere la domanda di non luogo a provvedere e di proseguire l’esame delle controversie all’origine del rinvio (par. 76). Inoltre, è proprio attraverso una sentenza con la quale la Corte di giustizia affermi l’esistenza, in forza del diritto dell’Unione, di un obbligo per il giudice del rinvio di disapplicare la normativa nazionale, continuando ad esercitare il suo controllo giurisdizionale, ad imporsi a tale giudice “senza che disposizioni interne, comprese quelle di rango costituzionale, possano ostarvi” (par. 81).  Infine, proprio in ragione delle precisazioni intervenute con la domanda supplementare, la Corte di giustizia ha ritenuto di disporre di tutti gli elementi necessari per statuire sulla terza questione pregiudiziale che era, pertanto, ricevibile.

Nel merito della questione, la Corte di giustizia ha preso innanzitutto in esame il rilievo formulato dal giudice del rinvio relativo alla compatibilità della normativa nazionale con il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 della Carta e dall’art. 9 della direttiva 2000/78[3]. La Corte di giustizia ha escluso che tale direttiva fosse applicabile al caso di specie, in quanto le controversie principali non vertevano su una disparità di trattamento basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali (par. 86). Di conseguenza l’art. 47 della Carta non era applicabile al caso di specie.

In secondo luogo, la Corte di giustizia ha esaminato i rilievi mossi circa la compatibilità della legge polacca con l’art. 267 TFUE e l’art. 4, par. 3, TUE. La Corte di giustizia ha richiamato la sua giurisprudenza costante in base alla quale “una norma di diritto nazionale non può impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della (…) facoltà [di adire la Corte in via pregiudiziale] o di conformarsi al suddetto obbligo, i quali sono invero inerenti al sistema di cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dall’art. 267 TFUE, e alle funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del diritto dell’Unione affidate dalla citata disposizione agli organi giurisdizionali nazionali” (par. 93). Pertanto, in via di principio, è consentito a uno Stato membro, ad esempio, modificare le proprie norme interne sulla ripartizione delle competenze giurisdizionali, il che potrebbe comportare il venir meno della base normativa su cui si fonda la competenza di un giudice nazionale che ha proceduto ad un rinvio pregiudiziale alla Corte, o adottare norme sostanziali che conducano incidentalmente a privare di oggetto la causa in cui un simile rinvio è stato formulato. Tuttavia, uno Stato membro non può invece, senza violare l’art. 267 TFUE, in combinato disposto con l’art. 4, par. 3, terzo comma, TUE, “apportare alla propria normativa nazionale modifiche che abbiano l’effetto specifico di impedire il mantenimento, successivamente alla loro proposizione, di domande di pronuncia pregiudiziale rivolte alla Corte e di impedire così a quest’ultima di pronunciarsi su tali domande, nonché di escludere qualsiasi possibilità che un giudice nazionale ripresenti in futuro domande analoghe” (par. 95).

Sebbene la Corte di giustizia abbia ritenuto che spetti al giudice nazionale valutare la violazione di tali disposizioni come interpretate dalla Corte di giustizia stessa, essa comunque ha fornito alcune indicazioni circa gli elementi che dovrebbero essere tenuti in considerazione in tale esame. Essa ha quindi fatto riferimento alla circostanza per cui il legislatore polacco aveva già adottato una misura che, in altre controversie, disponeva il non luogo a provvedere nel caso in cui i giudici nazionali fossero stati chiamati a statuire sulla conformità al diritto dell’Unione delle disposizioni interne relative all’indipendenza della magistratura. Inoltre, la Corte di giustizia ha sottolineato come recentemente le autorità polacche abbiano moltiplicato le iniziative volte a frenare i rinvii pregiudiziali dei giudici polacchi o rimettendo in discussione le decisioni di questi ultimi a seguito di tali rinvii. A ciò si deve aggiungere, secondo la Corte di giustizia, che con la legge del 2019, il legislatore polacco aveva inteso escludere definitivamente qualsiasi possibilità attuale o futura per la Corte di giustizia di esaminare questioni come quelle all’origine del rinvio. Infine, la legge del 2019 intendeva ulteriormente rimuovere ogni possibilità di ricorso giurisdizionale contro delibere della KRS che presentavano al presidente della Repubblica candidati alla nomina a posti di giudice alla Corte suprema polacca, mentre restavano inalterate le delibere della KRS relative agli altri posti di giudice in Polonia. Tali elementi, per la Corte di giustizia, sono “indizi che, per la loro convergenza e, quindi, per il loro carattere sistematico appaiono idonei a poter chiarire il contesto nel quale il legislatore polacco ha adottato la legge del 26 aprile 2019” (par. 106).   

Infine, la Corte di giustizia si è pronunciata in relazione agli articoli 2 e 19, par. 1, comma secondo, TUE. La Corte ha inizialmente preso in esame l’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione, ritenendo che la Corte suprema polacca e, in particolare, le sue sezioni civile e penale, “possono essere chiamati a pronunciarsi su questioni legate all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione e che, in quanto «organo giurisdizionale» nel senso definito da tale diritto, essi sono parte del sistema polacco di rimedi giurisdizionali nei «settori disciplinati dal diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, ragion per cui essi devono soddisfare i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva” (par. 114).

Trovando applicazione tale disposizione, la Corte di giustizia ha quindi analizzato se gli obblighi discendenti dall’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE imponessero allo Stato membro, nel particolare contesto che caratterizza il processo di nomina dei giudici alla Corte suprema polacca, di mantenere un controllo giurisdizionale su delibere della KRS come quelle oggetto del procedimento davanti al giudice del rinvio, nonché sulle condizioni in presenza delle quali, in tal caso, dovrebbe essere esercitato un simile controllo. A questo proposito, la Corte di giustizia ha ricordato che le garanzie di indipendenza e di imparzialità richieste in forza del diritto dell’Unione presuppongono in particolare l’esistenza di norme che disciplinino la nomina dei giudici (par. 121). In via di principio, il solo fatto che i giudici interessati siano nominati dal presidente della Repubblica “non è idoneo a creare una dipendenza di questi ultimi nei suoi confronti, né a generare dubbi quanto alla loro imparzialità, se, una volta nominati, gli interessati non sono soggetti ad alcuna pressione e non ricevono istruzioni nell’esercizio delle loro funzioni” (par. 122). Tuttavia, qualora il processo di nomina preveda l’intervento di un organo esterno, esso dovrà essere a sua volta sufficientemente indipendente dai poteri legislativo ed esecutivo e dall’autorità alla quale è chiamato a presentare una tale proposta di nomina. Nel caso di specie, secondo la Corte di giustizia, il ruolo della KRS in tale procedura appariva determinante, in quanto l’atto con il quale essa propone un candidato alla nomina a un posto di giudice presso la Corte suprema polacca “costituisce una condicio sine qua non affinché un simile candidato possa essere nominato a tale posto dal presidente della Repubblica” (par. 126). Pertanto, la Corte di giustizia ha ritenuto che il grado di indipendenza della KRS assumesse una particolare rilevanza nel valutare l’idoneità dei giudici da essa selezionati a soddisfare i requisiti di indipendenza e imparzialità derivanti dal diritto dell’Unione.

Inoltre, la Corte di giustizia ha sottolineato che in via di principio, l’assenza della possibilità di proporre ricorso giurisdizionale nel contesto di un processo di nomina a posti di giudice di un organo giurisdizionale supremo nazionale “può, in taluni casi, non rivelarsi problematica alla luce dei requisiti derivanti dal diritto dell’Unione” (par. 129). Tuttavia, secondo la Corte di giustizia, la situazione, è diversa “in circostanze nelle quali l’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano un siffatto processo in un dato contesto giuridico-fattuale nazionale, e, in particolare, le condizioni in cui improvvisamente interviene la soppressione delle possibilità di ricorso giurisdizionale fino ad allora esistenti, siano tali da suscitare, nei singoli, dubbi di natura sistemica quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici nominati al termine di tale processo” (ibid.). La Corte di giustizia, dopo aver richiamato gli elementi pertinenti del contesto nazionale di cui il giudice nazionale dovrebbe tenere conto nella sua valutazione, ha ritenuto che le modifiche legislative riguardanti i ricorsi presentati contro le delibere della KRS “sono tali da suggerire che il potere legislativo polacco, nel caso di specie, ha agito con il preciso scopo di impedire qualsiasi possibilità di esercitare un controllo giurisdizionale sulle nomine intervenute sulla base di dette delibere della KRS, come, del resto, su tutte le altre nomine intervenute in seno alla Corte suprema polacca a partire dall’istituzione della KRS nella sua nuova composizione” (par. 138). In definitiva, spetta quindi al giudice nazionale valutare se la legge del 2019 sia idonea “a suscitare dubbi legittimi nei singoli quanto all’impermeabilità dei giudici nominati sulla base delle delibere della KRS […] rispetto a elementi esterni e, in particolare, rispetto a influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo polacco, e a portare a una mancanza di apparenza d’indipendenza o di imparzialità di detti giudici tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto” (par. 139).

In tale contesto, la Corte di giustizia si è poi soffermata sulle conseguenze derivanti dall’eventuale contrasto tra la legge del 2019 e gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione, segnatamente dall’art. 267 TFUE e dall’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE.

Rispetto all’art. 267 TFUE, la Corte di giustizia ha richiamato la sua giurisprudenza costante, e ha affermato che il giudice nazionale sarà tenuto a disapplicare la normativa nazionale, qualora sia intervenuta una modifica legislativa “avente lo specifico effetto di impedire alla Corte di pronunciarsi su domande di pronuncia pregiudiziale ad essa sottoposte e di escludere qualsiasi possibilità che un giudice nazionale ripresenti in futuro domande analoghe” (par. 141).

La Corte di giustizia ha poi ritenuto che, allo stesso modo, se il giudice nazionale dovesse constatare che le disposizioni nazionali violano l’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE, esso dovrà disapplicarle. Il ragionamento sotteso a tale affermazione risiede nel fatto che tale norma impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi segnatamente dell’art. 47 della Carta, “cosicché quest’ultima disposizione deve essere debitamente presa in considerazione ai fini dell’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE” (par. 143). L’art. 47 della Carta, infatti, menziona espressamente l’accesso a un giudice «indipendente» tra i requisiti connessi al diritto fondamentale a un ricorso effettivo; inoltre, tale requisito ha la chiarezza, la precisione e l’incondizionatezza necessarie perché si possa ravvisare il suo effetto diretto (par. 145). Pertanto, secondo la Corte di giustizia, l’art 19, par. 1, comma secondo, TUE “pone a carico degli Stati membri un obbligo di risultato chiaro e preciso e non accompagnato da alcuna condizione con riferimento all’indipendenza che deve caratterizzare i giudici chiamati a interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione” (par. 146). Questo comporta che “gli effetti derivanti dal principio del primato del diritto dell’Unione si impongono a tutti gli organi di uno Stato membro, senza che, in particolare, le disposizioni interne relative alla ripartizione delle competenze giurisdizionali, ivi comprese quelle di rango costituzionale, possano opporvisi” (par. 148).

In conclusione, nel caso di specie, la Corte di giustizia ha ritenuto che “l’unico modo effettivo per tale giudice di porre rimedio alle violazioni dell’articolo 267 TFUE e dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, che deriverebbero dall’adozione della legge del 26 aprile 2019 consiste, nella fattispecie, nel continuare ad esercitare la competenza in base alla quale esso ha investito la Corte di tale domanda ai sensi delle norme nazionali fino ad allora applicabili” (par. 149).

Rispetto alla prima questione pregiudiziale, la Corte di giustizia ha esaminato se l’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE dovesse essere interpretato nel senso di ostare a una normativa nazionale che, in primo luogo, dispone che la decisione della KRS acquisisca carattere definitivo nella parte in cui non è impugnata, cosicché la proposizione del ricorso giurisdizionale non impedisce la nomina da parte del Presidente della Repubblica degli altri candidati che non hanno proposto impugnazione, e l’eventuale annullamento della decisione nella parte in cui non ha presentato il ricorrente alla nomina, non può condurre a una nuova valutazione della situazione di quest’ultimo ai fini dell’eventuale attribuzione del posto interessato; in secondo luogo, rispetto alla circostanza per cui il ricorso avverso una decisione della KRS non può fondarsi su un motivo vertente su un’erronea valutazione del rispetto, da parte dei candidati, dei criteri presi in considerazione in sede di adozione della decisione sulla presentazione della proposta di nomina.

La Corte di giustizia, dopo aver rigettato le obiezioni sollevate in particolare dal governo polacco rispetto al venir meno della necessità di una risposta della Corte sul punto e all’irricevibilità della questione, ha preso in esame la conformità di una siffatta normativa con l’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE. Essa ha quindi richiamato quanto già affermato rispetto alla prima questione pregiudiziale, individuando gli elementi del contesto polacco di cui il giudice nazionale deve tenere conto nella sua valutazione. Secondo la Corte di giustizia, in particolare, “un eventuale annullamento della decisione […] di non presentare alla nomina la candidatura di un ricorrente che intervenga al termine del procedimento promosso da quest’ultimo rimarrà senza conseguenze effettive sulla sua situazione per quanto riguarda il posto al quale egli aspirava, che sarà quindi già stato assegnato sulla base di tale delibera” (par. 158). Inoltre, tendo conto del contesto generale, la Corte ha constatato che “le disposizioni nazionali discusse nel procedimento principale hanno notevolmente modificato lo stato del diritto nazionale precedentemente in vigore” (par. 159). Infatti, esse hanno avuto l’effetto, da un lato, di “annientare l’effettività del controllo giurisdizionale fino ad allora previsto dalla normativa nazionale” (par. 160), e dall’altro lato, di ridurre “l’intensità del controllo giurisdizionale applicabile in precedenza” (par. 161). Inoltre, la normativa nazionale in questione riguardava unicamente i ricorsi proposti avverso delibere della KRS relative a presentazioni di candidature a posti di giudice alla Corte suprema polacca, mentre le delibere della KRS relative a presentazioni di candidature a posti di giudice negli altri organi giurisdizionali nazionali restavano soggette al regime di controllo giurisdizionale generale. Infine, tali disposizioni erano state introdotte con una legge del luglio 2018, ovvero poco tempo prima che la KRS, nella sua nuova composizione, fosse chiamata a pronunciarsi sulle candidature depositate ai fini della copertura di numerosi posti di giudice alla Corte suprema polacca dichiarati vacanti o creati ex novo in conseguenza dell’entrata in vigore della nuova legge sulla Corte suprema.

In definitiva, quindi, la Corte di giustizia ha ritenuto che, ove sulla base degli elementi indicati, il giudice nazionale dovesse ritenere la normativa in questione in contrasto con l’art. 19, par. 1, comma secondo, TUE, sarebbe tenuto a disapplicare queste stesse disposizioni a favore dell’applicazione delle disposizioni nazionali precedentemente in vigore, e a esercitare esso stesso il controllo previsto da queste ultime.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di giustizia ha quindi ritenuto che non fosse più necessario rispondere alla seconda questione pregiudiziale sollevata.

 

[1] Qui il testo della sentenza

[2] I riferimenti normativi effettuati dal giudice del rinvio sono all’art. 2 TUE, all’art. 4, par. 3, terzo comma, TUE, che sancisce l’obbligo di leale cooperazione, all’art. 19, par. 1, comma secondo TUE, all’art. 47 della Carta, nonché all’art. 9 della direttiva 2000/78.

[3] Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303/2000).