Il caso "giudizio universale" di fronte al Tribunale di Roma. Una breve riflessione sulle fonti (1/2022)

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Il contenzioso sul cambiamento climatico sta attualmente vivendo una esponenziale crescita nel panorama internazionale. Se è da registrarsi la progressiva importanza delle istanze portate di fronte a organi di controllo internazionali, soprattutto per violazione di diritti umani derivanti dal cambiamento climatico, la prassi più consistente riguarda ricorsi presentati a livello domestico. A questo riguardo, le tipologie di ricorsi si possono raggruppare in tre categorie generali: 1. Investitori e/o consumatori che denunciano le imprese per frode, ovvero perché queste non hanno divulgato informazioni circa il loro impatto sul cambiamento climatico o le hanno divulgate in maniera fuorviante; 2. Ricorsi fondati sull’omissione da parte di Stati o enti privati di adeguate misure di prevenzione o gestione di eventi meteorologici estremi; 3. Ricorsi riguardanti l’attribuzione di responsabilità a Stati o enti privati circa il loro contributo al cambiamento climatico.

 

In quest’ultima tipologia di ricorsi, in particolare quelli rivolti ad attribuire responsabilità allo Stato per non aver rispettato certi standard di mitigazione o adattamento, si inserisce la causa denominata ‘Giudizio Universale’, avviata ai primi di giugno 2021 di fronte al tribunale civile di Roma contro lo Stato italiano, nella persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

I numerosi ricorrenti sono costituiti da alcune organizzazioni non-governative, fra cui la capofila ‘A Sud’, e da un ampio numero di individui maggiorenni e da alcuni minori rappresentati in giudizio dai propri genitori. L’obiettivo generale dell’azione giudiziaria è accertare l’inadempimento da parte dello Stato italiano degli obblighi internazionali, europei e domestici in tema di contrasto al cambiamento climatico di origine antropica. Il contenzioso non mira ad ottenere uno specifico strumento legislativo né un risarcimento dei danni. Quello che si domanda alla Corte è di ordinare al governo italiano di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di adottare un piano comunicativo efficace in relazione ai rischi connessi al cambiamento climatico e alle politiche di prevenzione e adattamento a tali rischi da questo intraprese. Il 14 dicembre 2021 si è tenuta la prima udienza presso il tribunale di Roma, e una prima pronuncia è attesa per il prossimo autunno.

Il caso, che rappresenta la prima causa climatica in Italia, si posiziona sulla scia di importanti sentenze già rese in altri paesi europei. Basti menzionare la sentenza resa il 20 dicembre 2020 dalla Corte Suprema olandese nel ben noto caso Urgenda, dove la Corte ordina al governo olandese di ridurre urgentemente e significativamente le emissioni in linea con i propri obblighi in materia di diritti umani.

Oppure la sentenza resa dal Tribunale amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 con la quale si riconosce una diretta responsabilità omissiva dello Stato francese in relazione agli obiettivi e agli impegni dell’Unione Europea e nazionali in materia di riduzione dei gas a effetto serra. Infine, la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 29 aprile 2021 (Neubauer et al. c. Germania) la quale ha ritenuto la legge sul cambiamento climatico (c.d. Klimaschutzgesetz, “KSG” o “Legge sul Clima”) adottata dal governo tedesco nell’ottobre del 2019 come inadeguata a raggiungere gli obiettivi posti dagli obblighi internazionali sulla riduzione di emissioni di gas serra assunti da quest’ultimo.

Il caso ‘Giudizio Universale’ presenta profili interessanti dal punto di vista delle fonti richiamate in giudizio, le quali si trovano infatti a cavallo fra ordinamenti diversi, quello internazionale, quello europeo, e quello interno. I ricorrenti si rifanno primariamente all’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico del 2015, nel quale si fissa come obiettivo quello della neutralità climatica entro il 2050 e un innalzamento della temperatura globale al massimo di 1,5°C o comunque “ben al di sotto” dei 2°C. Tuttavia, si rimarca poi che tale obbligo è stato sottoscritto dalla stessa Unione Europea tramite il Regolamento UE n. 2018/842, imponendolo direttamente agli Stati europei, inclusa l’Italia.

Anche in tema di diritti umani, i ricorrenti fanno riferimento dapprima alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC) del 1992 (oltre ai Patti del 1966 e alcune risoluzioni ONU) nella quale si richiede agli Stati parte di rispettare e promuovere una serie di diritti connessi al cambiamento climatico, fra i quali il diritto alla salute, il diritto allo sviluppo, all’uguaglianza di genere, all’emancipazione delle donne e all’equità intergenerazionale. Dopodiché i ricorrenti richiamano il fatto che questi diritti sono previsti anche dal diritto europeo, in particolare l’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea, e gli artt. 2, 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La specifica associazione fra diritti umani e materie dell’energia e clima è prevista anche dal Regolamento UE n. 2018/1999. Infine, i ricorrenti sottolineano il fatto che anche la Costituzione italiana riconosce e promuove tali diritti, fra gli altri, agli artt. 2, 3, e 32. A tal proposito è necessario menzionare la riforma intervenuta, successivamente alla promozione del caso, con approvazione definitiva da parte delle Camere il 9 febbraio 2022, agli artt. 9 e 41 della Costituzione. In particolare, all’art. 9 novellato si legge quanto segue: ‘La repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni’. Questa riforma assume rilevanza anche alla luce di un ‘diritto al clima stabile e sicuro’ richiamato dai promotori della causa tramite riferimento alla Risoluzione sull’European Green Deal del 15 novembre 2020 ma anche in via interpretativa – secondo il principio di ‘solidarietà ecosistemica’ – agli artt. 2 e 3 della Costituzione (i ricorrenti citano anche il Joint Statement on Human Rights and Climate Change dei cinque organismi sui diritti umani dell’ONU e il documento Frequently Asked Questions on Human Rights and Climate Change dell’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani). Si ricorda, a questo riguardo, che il Consiglio per i diritti umani dell’ONU ha riconosciuto per la prima volta l’8 ottobre 2021 tramite la risoluzione 48/13 che avere un ambiente pulito, sano e sostenibile è un diritto umano.

Infine, anche per quanto riguarda il terzo pilastro dell’azione giudiziaria, ovvero la mancata attuazione da parte del governo italiano del principio di precauzione climatica nelle proprie decisioni, i ricorrenti citano primariamente l’art. 3 par. 3 della UNFCCC per poi muoversi verso il diritto europeo (come la dichiarazione di emergenza climatica da parte del Parlamento europeo nel novembre del 2019) e il diritto interno (tramite alcune sentenze della Corte di cassazione e della Corte Costituzionale).

Si configura così una strategia processuale variegata. Da un lato il caso rappresenta un esempio di ‘strategic human rights-based litigation’ sulla impronta del già citato caso Urgenda. Vi è poi l’aspetto ambientale, basato per lo più sulla violazione del diritto internazionale del clima e delle norme che ne hanno dato attuazione sia sul piano comunitario che sul piano interno. Infine, vi è l’aspetto puramente civilistico, per cui si reclama la responsabilità extracontrattuale dello Stato italiano (ex art. 2043 del Codice civile, così come interpretato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n. 641 del 1987) per non aver rispettato obblighi di prevenzione di danni in situazioni di ‘minaccia urgente’; minaccia, secondo i ricorrenti, comprovata ampiamente dalla scienza.

Un altro aspetto interessante infatti riguarda il rapporto fra scienza e autonomia della politica. I ricorrenti, in linea con questo tipo di contenzioso, rimarcano come la politica debba agire secondo quelle che sono le più autorevoli indicazioni scientifiche in materia di cambiamento climatico (a livello internazionale vi sono da menzionare sicuramente i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change), da cui discende anche un obbligo di informare correttamente i cittadini circa l’attuazione dei piani nazionali (cd. ‘riserva di scienza’, accolta dal diritto internazionale ambientale nonché dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale italiana; v. ad esempio le sentenze della Corte Costituzionale n. 169/2017, n. 338/2003, n. 282/2002).