Incostituzionale una norma interpretativa regionale di legge statale: l’opzione interpretativa prescelta contraddice la ratio della norma interpretata e viola gli standard statali di tutela ambientale (2/2022)

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Sent. n. 69/2022 – giudizio di costituzionalità in via principale

Deposito del 15/03/2022 – Pubblicazione in G. U. 16/03/2022  n. 11

 

Motivi della segnalazione

In questa sentenza la Corte decide una questione sollevata con ricorso governativo nei confronti dell’art. 29, comma 3, della legge della Regione Liguria 29 dicembre 2020, n. 32 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno finanziario 2021), che inserisce nell’art. 34 della legge Regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio) il comma 1-ter e il comma 1-quater, in materia di attività venatoria. La prima disposizione introduce una norma interpretativa per cui l’«arco temporale massimo» di durata del periodo venatorio, di cui all’art. 18, commi 1 e 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), va inteso come il numero complessivo di giornate di caccia fruibili nel corso della stagione venatoria e riferite ad una determinata specie. La seconda disposizione, in correlazione con la prima, prevede che il divieto temporaneo di caccia ad una determinata specie sospende il decorso dei termini dell’arco temporale massimo, consentendo che le giornate di sospensione anche nel periodo eccedente l’arco temporale massimo. Le disposizioni impugnate sarebbero per il ricorrente in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce al legislatore statale potestà esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, in relazione all’art. 18 della legge n. 157 del 1992 e ai principi espressi dalla direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

 

Il ricorrente, il quale contesta la possibilità che la norma regionale interpreti la norma statale, contesta nel merito la legittimità della riduzione del concetto di arco temporale a un corrispondente numero di giornate di caccia. Tale interpetazione sarebbe in contrasto con il disposto delle pertinenti previsioni della legge n. 157 del 1992 che prescrivono la cacciabilità per ciascuna specie nell’ambito di un intervallo temporale massimo indicato, oltre a imporre il previo parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA).

La Corte fa propria l’impostazione del ricorrente e dichiara fondata la questione sollevata. Ciò sulla base di un’interpretazione delle previsioni della legge statale del 1992 secondo cui l’arco temporale massimo è il periodo di tempo compreso tra la data di inizio e la data di fine della caccia riferita a ciascuna specie, periodo modificabile nell’intervallo temporale che va dal 1° settembre al 31 gennaio senza incidere sulla sua durata, che non può oltrepassare quella stabilita dallo Stato. La ratio di tali disposizioni – nota il giudice delle leggi –  consiste nella necessità di tutelare le specie animali, a cui deve essere assicurato un adeguato periodo di tranquillità per la nidificazione e la riproduzione, così da garantirne la conservazione, per la quale è necessario un periodo continuativo di sospensione dell’attività venatoria, finalizzato alla riproduzione. Interventi regionali, come quello censurato, miranti ad allungare o frammentare il periodo venatorio, consentendo recuperi successivi al termine finale dello stesso confligge con gli standard di tutela ambientale fissati dal legislatore statale, nel bilanciamento vincolante per le regioni tra interessi ambientali e interesse allo svolgimento dell’attività venatoria.