L’alternativa tra udienza pubblica e camera di consiglio nel processo tributario: un caso di non violazione del giudicato costituzionale (2/2022)

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Sentenza n. 73/2022 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 18/03/2022 – Pubblicazione in G.U. 23/03/2022 n. 12

 

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 73/2022 la Corte costituzionale ha rigettato alcune questioni di costituzionalità dell’art. 30, comma, 1, lettera g), n. 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 e degli artt. 32, comma 3, e 33 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Le disposizioni censurate rimettono alla valutazione discrezionale delle parti l’individuazione della forma della trattazione nei processi tributari di primo e di secondo grado: questa si svolge in camera di consiglia, salvo che una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza. Tale disciplina riprende quella dettata dall’art. 39, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 50/1989, per contrasto con gli artt. 24, secondo comma, 53, primo comma, e 101, primo comma, della Costituzione.

 

Fra gli altri motivi censura – tutti rigettati dal giudice delle leggi – il giudice a quo lamenta allora la violazione dell’art. 136 Cost. Sul punto la Corte ribadisce i capisaldi della propria giurisprudenza: si realizza una violazione del giudicato costituzionale soltanto quando la nuova disposizione mantiene in vita ovvero ripristina gli effetti della medesima struttura normativa che è stata oggetto della declaratoria d’incostituzionalità. Ora, l’39 del d.P.R. n. 636/1972 “aveva introdotto la regola, generale e assoluta, della trattazione camerale delle controversie tributarie”; il legislatore delegato del 1992, invece, ha caratterizzato l’udienza pubblica come un’alternativa alla trattazione in camera di consiglio, subordinata alla presentazione di un’istanza di parte. Le due disposizioni – quella dichiarata incostituzionale nel 1989 e quella attualmente vigente – si caratterizzano perciò per un “differente contenuto precettivo”, il che induce la Corte costituzionale a respingere questa censura formulata dal giudice a quo.