Con la sentenza n. 263 del 22 dicembre 2022, la Corte costituzionale è entrata nel dibattito susseguente alla sentenza cd. Lexitor della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (decisione dell’11 settembre 2019 in causa C-383/1, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE), prendendo nettamente posizione - in senso contrario a quanto previsto dal legislatore nazionale - sulla delicata questione del regime temporale degli effetti della decisione europea.
La complessità della vicenda impone una sia pur sintetica illustrazione dei suoi snodi fondamentali.
L’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori (cd. CCD) ha previsto – sul punto innovando notevolmente rispetto al dettato della previgente Direttiva 87/102 (art. 8) - il diritto del consumatore “di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”.
In sostanza, tale disposizione attribuisce al consumatore la possibilità di concludere anticipatamente il rapporto di finanziamento, restituendo quanto ricevuto. Nel far ciò, con una previsione evidentemente ispirata ad una ratio protettiva del soggetto debole del rapporto, si sono chiamati i legislatori nazionali a prevedere obbligatoriamente la riduzione proporzionale del costo del credito, tale da comprendere sia gli interessi che gli altri oneri del contratto.
Il legislatore italiano ha recepito tale disposizione europea nell’art. 125-sexies del Testo Unico Bancario (inserito dall'art. 1, comma 1, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141), facendo riferimento al “diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”.
L’interpretazione di tale disposizione, fornita – in chiave con il dato letterale - dalla giurisprudenza di merito, dall’Autorità di vigilanza nella normativa regolamentare (cfr. infra) e dall’Arbitro Bancario e Finanziario, limitava il diritto del consumatore ai soli costi correlati alla durata del contratto, ovverosia ai costi che sarebbero maturati progressivamente nel corso del rapporto, perché remunerativi di attività del finanziatore ciclicamente ricorrenti (c.d. costi recurring, quale, ad es., il costo incasso rata). Avrebbero invece dovuto restare esclusi, e considerarsi non ripetibili, i costi sostenuti dal consumatore legati all’avvio della pratica di apertura del finanziamento, e dunque ad attività una tantum e già concluse (c.d. costi up-front, quali, ad es. i costi di apertura della pratica e di istruttoria).
A seguito di rinvio pregiudiziale da parte di un giudice polacco, relativo all’effettiva portata della previsione dell’art. 16 CCD, sopra ricordata, la Corte di Giustizia ha – nel 2019, con la sentenza Lexitor già menzionata - smentito l’interpretazione fatta propria (anche) dal diritto vivente italiano. Sulla base di argomenti letterali, teleologici e sistematici, infatti, la Corte ha acceduto ad una esegesi particolarmente favorevole al cliente bancario, ritenendo inclusi nel diritto alla riduzione proporzionale anche i costi fissi, non correlati alla durata del contratto, ed individuando altresì nel corpus normativo alcuni temperamenti a favore dei creditori.
Tale pronuncia della Corte di Giustizia ha aperto, senza risolverlo, un notevole problema, che ha impegnato sul versante nazionale la dottrina e la giurisprudenza di merito, oltre che l’Arbitro Bancario e Finanziario. Si è infatti discusso sulla portata degli effetti di tale pronunzia interpretativa della Corte europea: ovvero, se il principio affermato si riferisse soltanto ai rapporti in corso e quindi dovesse essere applicato soltanto alle chiusure anticipate successive alla decisione (ovvero ex nunc) o se, invece, dovesse essere applicato anche alle estinzioni antecedenti alla pubblicazione della sentenza (e quindi ex tunc).
Il legislatore italiano cercato di risolvere il problema in questione mediante una previsione, contenuta nell’art. 11-octies del cd. Decreto Sostegni-bis (D.L. n. 73/2001), introdotto dalla relativa legge di conversione (L n. 106/2001), laddove da una parte, per i contratti “nuovi” (stipulati a partire dal 25 luglio 2021), si introduceva un nuovo art. 125-sexies TUB, statuente il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale di tutti i costi (escluse soltanto le imposte), e dall’altra parte, per i contratti “vecchi”, (ovvero sottoscritti precedentemente al 25 luglio 2021), si disponeva che continuassero ad applicarsi l’art. 125-sexies TUB, nonché le “norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d'Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
Cosicché, in sostanza, il legislatore sceglieva l’interpretazione favorevole alla produzione degli effetti del decisum della Corte di Giustizia solo pro futuro. Per il passato, invece, si cristallizzava l’interpretazione precedente, meno favorevole al consumatore, con una posizione sicuramente attenta anche alle conseguenze economiche per il settore bancario di un’applicazione retroattiva dei principi Lexitor.
Giova sottolineare, soprattutto, la peculiarità della scelta legislativa che, per i contratti antecedenti alla data spartiacque del 25.07.2021, effettuava un rinvio recettizio alle “disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti”.
Tale rinvio, infatti, oltre ad essere abbastanza vago nel suo riferirsi alle “disposizioni di trasparenza e di vigilanza”, senza ulteriori precisazioni, finiva per realizzare un singolare mutamento nella natura e nella funzione di tali disposizioni della Banca d’Italia.
Il riferimento della disposizione legislativa in questione, per l’appunto, doveva intendersi effettuato – in assenza di riferimenti alternativi - alle Disposizioni della Banca d’Italia in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” (Provvedimento del 9 febbraio 2011).
Senonché, tale normativa di rango regolamentare-secondario, emanata in attuazione dell’art. 127 TUB, aveva ed ha un oggetto prossimo, ma non coincidente, a quello delle norme in commento.
Mentre infatti queste ultime si mirano ad intervenire nell’economia del contratto, conformando il diritto alla restituzione di eventuali somme corrisposte a titolo di costi dal debitore che estingue anticipatamente, le disposizioni di trasparenza, invece, come evidenzia il loro stesso nomen, istituivano piuttosto una serie di obblighi di pubblicità, informativa e comunicazione, volti a mettere il consumatore in grado di conoscere l’effettivo assetto di diritti ed obblighi riveniente dal contratto.
A riprova di ciò, si evidenzia il contenuto del Provvedimento 09.02.2011 in una delle parti che si dovevano intendere richiamate dall’art. 11-octies in questione , ovvero nella Sezione VII, par. 5.2.1: “Nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore”.
Appare evidente, infatti, come tale previsione, lungi dal mirare all’attuazione del disposto dell’art. 16 CCD nell’ordinamento italiano (compito già assolto dalla norma primaria posta dall’art. 125-sexies), volesse semmai disciplinare i doveri informativi gravanti sul creditore bancario nei confronti del cliente.
È vero che essa, introdotta antecedentemente alla sentenza Lexitor, presumeva l’interpretazione poi da tale sentenza ripudiata, ovvero quella relativa alla sola rimborsabilità proporzionale dei costi recurring. Cionondimeno, il suo contenuto prescrittivo risultava diverso perché, al più preso atto di tale interpretazione aliunde ricavata, si preoccupava di proteggere il titolare del diritto, fissando a suo favore, ed a carico dell’intermediario, un onere informativo in relazione all’entità del diritto stesso.
È quindi il caso di notare che, per effetto del richiamo effettuato dall’art. 11-octies, le disposizioni regolamentari della Banca d’Italia assurgevano a rango di legge, ma da tale processo uscivano “snaturate”, in quanto finivano per essere intese come fonte di disciplina del diritto alla restituzione del consumatore.
In ogni caso, la soluzione proposta dall’art. 11-octies non ha convinto parte della giurisprudenza di merito.
In particolare, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione a tale disposizione legislativa, sull’assunto che essa avrebbe trasgredito al superiore disposto dell’art. 16 CCD (come interpretato dalla sentenza Lexitor), e dunque per violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), ma anche per violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in considerazione di una possibile irragionevole disparità di trattamento tra debitori, in base alla data di stipula dei contratti di finanziamento.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 263/2022 di cui si dà notizia, ha fatto propri i dubbi del giudice a quo, dichiarando illegittimo, per violazione agli artt. 11 e 117 Cost., l’art. 11-octies, c. 2, D.L. n. 73/2021, proprio nella parte in cui esso richiamava norme secondarie ai fini dell’interpretazione dell’art. 125-sexies, c. 1, TUB.
La Corte, dopo aver ricostruito la complessa vicenda, ha innanzitutto ricordato il vincolo al rispetto dell’interpretazione del diritto europeo fornita dalla Corte di Giustizia, nonché il principio per cui la modulazione degli effetti di una sentenza ex art. 267 TFUE spetta esclusivamente alla Corte europea, nell’ambito della stessa pronuncia. Nel caso di specie, ovvero nella sentenza Lexitor, la Corte non aveva fornito alcun temperamento alla generale regola della valenza dichiarativa, e quindi ex tunc, delle proprie pronunce.
La Corte costituzionale è passata quindi all’esame della normativa interna di rango primario e della normativa di rango secondario da essa richiamata, secondo la tecnica del “completamento prescrittivo” della norma primaria sopra esposta.
La particolarità del caso di specie, secondo la Corte, è che è una disposizione primaria successiva (art. 11-octies del D.L. 73/2021) a integrare il contenuto normativo di una precedente (art. 125-sexies del TUB) mediante il rinvio a norme di rango secondario (le Disposizioni della Banca d’Italia).
La Corte rileva che proprio “attraverso il rinvio a precise norme regolamentari contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia … risulta univoco l’intento del legislatore di fissare per il passato un contenuto della norma circoscritto alla interpretazione antecedente alla sentenza Lexitor e che si discosta dai contenuti della citata pronuncia”. Laddove il riferimento, come si è visto, è all’interpretazione che ammetteva alla riduzione proporzionale, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, solo i costi recurring e non anche quelli up-front.
Secondo la Corte, il legislatore ha inteso proteggere l’affidamento ritenuto ingenerato, nei finanziatori e negli intermediari, dall’interpretazione, che era stata data prima della sentenza Lexitor alla precedente formulazione dell’art. 125-sexies, comma , TUB, e che era stata avallata dalle norme secondarie emanate dalla Banca d’Italia. Solo che, ai fini di tale affidamento, un ruolo cruciale è stato svolto proprio da tali ultime norme secondarie, che pure, come detto, avevano un oggetto immediato diverso (ovvero la predisposizione di una tutela informativa per il debitore).
La sentenza in commento, infatti, seguendo una tesi già accolta dall’ABF e da parte della giurisprudenza di merito, ha ritenuto plausibile un’interpretazione dell’art. 125-sexies - ex se, ovvero non integrato dalla normativa secondaria – conforme all’esegesi dell’art. 16 CCD effettata dalla Corte di Giustizia. Sarebbe stato semmai il legislatore del 2021 a cristallizzare un’interpretazione contraria al precedente normativo europeo; al contrario, “prima dell’intervento legislativo del 2021, l’interpretazione conforme alla sentenza Lexitor, sostenuta dall’ABF e dalla giurisprudenza di merito, non [era] contra legem ed [era], oltre che possibile, doverosa rispetto a quanto deciso dalla Corte di giustizia”.
Ma allora, se “il vulnus ai principi costituzionali censurati risiede proprio nel raccordo con le specifiche norme secondarie evocate dall’art. 11-octies, comma 2” “la disposizione censurata deve, dunque, ritenersi costituzionalmente illegittima limitatamente alle parole «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia», sicché l’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, che resta vigente per i contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021, in virtù dell’art. 11-sexies, comma 2, può nuovamente accogliere il solo contenuto normativo conforme alla sentenza Lexitor”.
Dunque, proprio tale espunzione chirurgica dalla norma scrutinata permette, secondo la Corte, di rimuovere l’attrito con i vincoli imposti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea, e quindi con gli artt. 11 e 117, primo comma, della Costituzione.