Interna corporis degli organi costituzionali

Il Senato dopo il taglio dei parlamentari: la proposta Zanda, tra meri aggiustamenti e innovazioni rilevanti (2/2021)

  1. Introduzione

Il sen. Zanda ha presentato una proposta di modificazione del regolamento del Senato (Doc. II, n. 7)[1], richiamando nella relazione di accompagnamento le linee ispiratrici della riforma del 1971[2], di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario[3]. Come si può leggere sin dall’incipit della relazione illustrativa, la proposta mira a «contribuire ai lavori che la Giunta per il Regolamento del Senato ha già avviato per adeguare il Regolamento medesimo alle esigenze di un’Assemblea dimensioni consistentemente ridotte»[4]. Zanda non si è limitato a eseguire un mero adeguamento delle soglie numeriche e dei requisiti quantitativi previsti dall’attuale regolamento per allinearli al nuovo numero di componenti del plenum[5], ma ha proposto alcune innovazioni per migliorare il funzionamento del Senato[6].

 

  1. La formazione dei gruppi parlamentari: una precisazione per evitare elusioni del Regolamento

In primis, la proposta intende inserire nuove “misure per la rappresentatività del Senato”, incidendo sulla riforma del Regolamento del 2017, che aveva rivisto i requisiti per la costituzione dei gruppi parlamentari[7].  Nel 2017 era stato approvato «un complesso di modifiche concernente la    disciplina    dei    Gruppi    parlamentari, in    chiave    dichiaratamente “antiframmentazione” e “antitrasformismo”»[8], che però non ha avuto un effettivo funzionamento[9]. Per ovviare ai problemi che sono emersi durante questa legislatura, Zanda propone che, oltre al minimo numerico (7 senatori), per formare un gruppo sia necessario che siano risultati eletti almeno tre Se­natori con il medesimo contrassegno elettorale[10]. In tal modo si vorrebbe evitare che «un solo componente dell’As­semblea, eletto grazie ad un contrassegno elettorale, sia sufficiente e necessario alla costituzione di una nuova compagine anche molto alta di Senatori»[11].

  1. L’introduzione del Comitato per la normazione

In secondo luogo, la proposta mira all’introduzione del Comitato per la normazione, che avrebbe il medesimo ruolo del Comitato per la legislazione, attivo fin dal 1998 alla Camera[12]. Il nuovo organo sarebbe composto da otto senatori, scelti dal Presidente del Senato «in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni». Da sottolineare che la presidenza del comitato sarebbe assegnata al Presidente del Senato, che a sua volta nominerebbe un vice-presidente[13]. Rispetto al Comitato per la legislazione della Camera, qui il dominus assoluto appare il Presidente del Senato, che nomina i membri e che sceglie il vice-presidente. La previsione di questa figura fa pensare che le funzioni di gestione ordinaria del Comitato spettino concretamente al vice-presidente, facendo tornare alla mente il sistema in vigore presso il Consiglio Superiore della Magistratura[14]. Inoltre, non si comprende perché sia prevista una rotazione semestrale[15], mentre i membri sono solo otto[16]. Sarebbe stato opportuno prevedere dieci componenti, visto che così due componenti ricoprirebbero la carica per due volte se la legislatura fosse completata[17]. Infine, si prevede che, previe opportune intese con il Presidente della Camera dei deputati, il Comitato per normazione e quello per la legislazione possano riunirsi congiuntamente.

  1. Maxi-emendamenti e voto a data certa

La proposta Zanda, inoltre, contiene la previsione di meccanismi di controllo dei contenuti dell’oggetto su cui è posta la questione di fiducia nel procedimento legislativo, specie in relazione alle conseguenze finanziarie dei maxi-emendamenti innovativi rispetto al testo licenziato alla Commissione referente[18]. La ratio della proposta e quella di rispondere alle critiche sollevate dalla Corte costituzionale già con l’ordinanza 17 del 2019, che è solo la punta di un iceberg di decenni di riflessioni che stigmatizzano l’uso del maxi-emendamento, definito spesso uno “svilimento” del Parlamento[19]. La Corte ha avuto modo di affermare che «gli effetti problematici dell’approvazione dei disegni di legge attraverso il voto di fiducia apposto su un maxi-emendamento governativo, osservando che in tal modo, per effetto del “voto bloccato” che la questione di fiducia determina ai sensi delle vigenti procedure parlamentari, sono precluse una discussione specifica e una congrua deliberazione su singoli aspetti della disciplina impedito ogni possibile intervento sul testo presentato dal governo»[20].

La riforma prevede che nel caso in cui la questione di fiducia sia posta sull’approvazione di un emendamento di iniziativa governativa, prima della discussione il Governo può precisarne il contenuto esclusivamente per ragioni di coordinamento formale del testo ai sensi di quanto previsto dall’articolo 103 Reg. Sen. Ulteriori precisazioni atte a modificare il testo possono essere formulate prima della votazione al solo fine di adeguare le disposizioni da porre in votazione alle condizioni formulate, ai sensi dell’articolo 81, terzo comma, della Costituzione, dalla 5ª Commissione permanente. Se il testo sottoposto all’esame dell’Assemblea per il voto di fiducia presenti profili di novità rispetto a quello già esaminato nella Commissione competente, è sempre ammessa la richiesta, da parte di un Gruppo, di procedere ad un esame autonomo ed incidentale di tali disposizioni. In seguito a tale richiesta, sulle disposizioni di carattere innovativo introdotte dal Governo dopo l’esame in Commissione, anche se oggetto di modifica in ragione del parere della 5ª Commissione permanente, l’Assemblea discute e delibera in via autonoma. Il voto non è ammesso prima di ventiquattro ore dalla presentazione del testo[21].

La riforma, inoltre, vuole attri­buire al Presidente del Senato un penetrante controllo di ammissibilità sui testi emenda­tivi che, giunti sotto forma di un maxi-e­mendamento, o comunque come testi com­posti di decine di commi disomogenei, all’e­same dell’Assemblea, rischiano di risolversi in una grave lesione del principio di cui al­ l’articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni disegno di legge è approvato «articolo per articolo». A tale fine, si è innestato nel corpo dell’articolo 100 del Regolamento, un potere del Presidente che consentirebbe uno scrutinio di ammissi­bilità «dai sicuri effetti benefici per la qualità della legislazione e per ricondurre ad ordine il sistema delle fonti primarie di produzione normativa»[22]. Forse l’auspicio della relazione è eccessivo, ma il fatto che si voglia affrontare uno dei temi più dibattuti tra i parlamentaristi è certamente positivo[23].

La revisione della disciplina dei maxi-emendamenti è legata alla proposta di introdurre il c.d. “voto a data certa”[24]. Entrambi gli interventi mirano a ricalibrare il procedimento legislativo alla realtà, con l’auspicio di porre fine al far west attuale[25], cercando anche di regolare il “Governo in Parlamento”[26].

Il “voto a data certa” è un istituto pensato nell’interesse esclusivo e politico dell’Esecutivo, al quale sono garantiti tempi certi per le deliberazioni parlamentari relative ai disegni di legge ritenuti essenziali per l’attuazione del relativo programma[27]. In sostanza si tratta di una “corsia preferenziale” che, per le medesime ragioni politiche, dovrebbe intendersi estesa anche ai progetti di legge di iniziativa non governativa, ma di interesse ai fini dell’attuazione del programma di Governo[28].

L’istituto era previsto nella Riforma costituzionale del 2016[29], poi bocciata al referendum del 4 dicembre, ma è ritenuto da Zanda come una soluzione per limitare l’uso dei decreti-legge in favore dell’iter legis ordinario (o quasi)[30]. Per la proposta in esame, il Governo può chiedere al Senato di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero entro un diverso termine determinato in base al Regolamento e tenuto conto della complessità della materia. Decorso tale termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. La richiesta del Governo di cui al comma 5-bis deve essere avanzata con congruo preavviso. Il Presidente, preso atto della richiesta che può essere avanzata durante l’esame in Assemblea o in sede di Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, dispone l’organizzazione dei lavori garantendo tempi congrui al dibattito sui testi oggetto della votazione richiesta dal Governo.

Per Zanda, come accennato, l’’istituto del voto “a data certa” potrebbe risolvere la problematica dell’abuso del decreto-legge. Oggi i tempi di approvazione delle leggi si sono ristretti rispetto al passato[31], ma non è garantita l’assoluta prevedibilità della data di conclusione del procedimento legislativo. Si segnala che la proposta di modifica del regolamento proposta non fissa il numero massimo dei progetti assegnabili alla corsia preferenziale né il loro riferimento a misure ritenute essenziali per l’attuazione del programma. Come è stato lucidamente segnalato sembrerebbe che «la politica si è evidentemente arresa, come la Corte, all’impossibilità di limitare le richieste del Governo»[32]. Inoltre, la dottrina non è unanime nel ritenere adeguata una mera riforma dei regolamenti per l’introduzione del voto a data certa, visto che «la materia andrebbe regolata con legge costituzionale […]; se inserita nel regolamento, una previsione del genere deve ritenersi illegittima in quanto intesta al Governo il potere di disporre dell’ordine del giorno altrui»[33].

La vera questione sottesa sia al voto a data certa sia alla regolazione dei maxi-emendamenti è comprendere se queste novità siano in grado di scoraggiare il ricorso ai decreti legge. La risposta, senza un mutamento del quadro costituzionale, appare negativa, visto che il decreto-legge presenta alcuni vantaggi per il Governo difficilmente sostituibili. Si pensi all’immediata entrata in vigore; al rischio della decadenza con la necessità di intervenire con una legge che ne regoli gli effetti; alla possibilità di avere un testo governativo su cui intervenire attraverso gli emendamenti nella legge di conversione, all’immediata riferibilità della questione di fiducia all’articolo unico della legge di conversione, che non implica tuttavia di rinunciare alla ripartizione del testo in articoli. La presenza dell’istituto del voto “a data certa”, però, toglierebbe ogni alibi al Governo per l’eccessivo uso dei decreti-legge, ma ogni ipotesi di limitazione andrebbe poi concretizzata dalla giurisprudenza costituzionale, anche relativamente all’emendabilità delle leggi di conversione.

  1. La riduzione delle Commissioni permanenti

Infine, come auspicato[34], si prevede una riduzione delle Commissioni permanenti, che diventerebbero dieci [35]. Appare problematico l’accorpamento delle attuali 5a (Bilancio) e 6a (Finanze e Tesoro) in un’unica Commissione (Economia e Finanze) riproponendo al Senato la fusione del Ministero del Tesoro con quello delle Finanze, che per molti ha portato alla creazione di “super ministero”[36]. All’interno del Parlamento l’attuale 5a ha già un ruolo egemone e con la modifica si rischia, senza contrappesi, di creare un organo con poteri molto superiori agli altri. Inoltre, si creerebbe una “nuova” 3a Commissione “Esteri e Unione europea” (togliendo ogni riferimento all’emigrazione, oggi presente). Il Senato è sempre stato un esempio virtuoso di dialogo all’interno dell’early warning mechanism[37] e non è chiaro se sia positiva la cancellazione di una commissione dedicata ai rapporti con l’Unione europea, visto che dovrebbe occuparsi sia delle questioni attinenti ai rapporti con l’UE (soprattutto per quello che riguarda la fase ascendente e discendente[38]) sia dei fascicoli degli Esteri.

  1. Conclusioni

In conclusione, la proposta di modificazione nel regolamento in esame tocca vari aspetti del funzionamento della vita parlamentare, ma non tratta come avvicinare definitivamente l’attività della Camera e quella del Senato[39]. Il bicameralismo perfetto e “gemellare” italiano è in crisi. A questo si aggiunga quello che è stato chiamato il “monocameralismo di fatto” largamente praticato nella concreta prassi parlamentare e che ha trovato un’applicazione pressoché sistematica in occasione dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge in scadenza[40]. Nella prassi una delle due Camere si limita ad avallare con il voto di fiducia il testo “blindato” licenziato dall’altro ramo del Parlamento. Non sorprende che si sia pensato a come realizzare congiuntamente alcune funzioni tipiche del parlamentarismo (es. approvazione del bilancio e votazione della fiducia al Governo da parte del Parlamento in seduta comune[41]). La creazione di un “monocameralismo di fatto” non può essere realizzata, però, attraverso le sole riforme dei regolamenti, ma necessita di una rievisione costituzionale affinché si evitino stratificazioni e divaricazioni tra il sistema previsto e immaginato dal Costituente e quello auspicato dagli attori politici con l’intervento sui soli regolamenti[42]. Come è stato notato il carattere improcrastinabile degli interventi di riforma dei regolamenti parlamentari è un principio di fondo, «una sorta di meta-principio che ispira, in ogni ordinamento, il diritto parlamentare: quello di assicurare la funzionalità del Parlamento, posto che in assenza del suo funzionamento si originerebbe un’alterazione profonda e difficilmente rimarginabile dell’assetto istituzionale»[43], ma è necessario restare nelle forme previste nella Costituzione, senza contrastare con i contenuti e la ratio della Carta fondamentale, di cui fa parte il bicameralismo, confermato dagli elettori sia nel 2006 che nel 2016.

 

[1] Il sen. Zanda, insieme al sen. Quagliarello, già nella XVI legislatura presentò una proposta di riforma “organica” del Regolamento del Senato, ma mai approvata. Per approfondimenti si vedano N. Lupo-G. Perniciaro, Riforma del regolamento del Senato: un approccio bipartisan, ma ancora non sufficientemente organico, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/ 2012; D. Nocilla, Un commento su di una proposta di riforma del regolamento del Senato, in Rassegna parlamentare, n. 4/2012, 887 – 897.

[2] Proposta di modificazione del Regolamento d’iniziativa del senatore Zanda, 2

[3] In tema si veda V. Lippolis (a cura di), A cinquant’anni dai Regolamenti parlamentari del 1971: trasformazioni e prospettive, il Filangieri – Quaderno 2021, Napoli, 2021.

[4] N. Lupo, Il referendum per ridurre i parlamentari? La riforma è nulla, senza l’attuazione, LUISS Policy Brief n. 05/2020 esponeva già prima del referendum le maggiori problematiche da affrontare. In tema anche V. Lippolis, Presentazione, in Idem (a cura di), op.cit., 1-4.

[5] Come, invece, proposto da Calderoli. Sul punto si veda G. Piccirilli, La prima proposta di (minimale) adeguamento del regolamento del Senato alla riduzione del numero dei suoi componenti, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2021.

[6] Proposta di modificazione, cit., 2 «Le novità che qui si delineano aspirano a porre un argine al processo di indebolimento del ruolo del Parlamento nell’esercizio del potere legislativo».

[7] Per una prima lettura della riforma cfr. N. Lupo, La riforma del (solo) regolamento del Senato alla fine della XVII legislatura, in Forum di Quaderni Costituzionali, 5 gennaio 2018; G. Piccirilli, Finalmente una (prima) riforma del regolamento del Senato. Luci e ombre di un intervento che necessita di essere completato, in Osservatorio sulle Fonti, n. 3/2017; F.S. Toniato, Innovazione e conservazione nel Regolamento del Senato, in Nuova Antologia, n. 1/2018, 59-69.

[8] A. Carbone - M. Magalotti, Prime osservazioni sulla riforma organica del Regolamento del Senato, in Federalismi, n. 1/2018, 12.

[9] Le decisioni di consentire la formazione dei gruppi Italia Viva e Europeisti-MAIE-Centro democratico sembrano contrastare con la ratio della disciplina introdotta nel 2017, cfr. A. Mannino – S. Curreri, Diritto parlamentare, Milano, 2019, 72.

[10] Durante la XVIII legislatura si sono realizzate varie interpretazioni molto estensive dell’art. 14 del Regolamento Senato (es. le vicende che hanno portato alla formazione dei gruppi parlamentari di Italia Viva e Europeisti-MAIE-Centro democratico). Sul punto si vedano le numerose note critiche di S. Curreri pubblicate su lacostituzione.info (ex multis Un Parlamento che non sa rispettare le regole che si è dato, 28 gennaio 2021). Sul caso della costituzione del gruppo Italia Viva – P.S.I. cfr. M. Podetta, La nuova disciplina dei gruppi al senato tra demagogia riformista, dubbi costituzionali e distorsioni applicative, in Costituzionalismo, 1/2020.

[11] Proposta di modificazione del Regolamento, 3.

[12] In maniera estremamente sintetica si può dire che il Comitato esprime un parere obbligatorio sui decreti-legge e sui progetti di legge che contengono deleghe al Governo. Può essere chiamato, inoltre, ad esprimere pareri anche in altri casi, su richiesta di un quinto dei componenti di una Commissione. Per una lettura più approfondita cfr. V. Di Porto, Il Comitato per la legislazione, venti anni dopo, in LUISS SOG-WP45/2018.

[13] Art. 7 della Proposta di modificazione del Regolamento, che aggiunge un articolo 20-bis.

[14] È stata recentemente proposta la riduzione del mandato del vice-presidente del CSM da quattro a due anni. Sul punto A.M. Benedetti – F. Donati, Quale riforma per il CSM? Riflessioni sull’elezione del Vicepresidente e sul rinnovo parziale, in Giustizia Insieme, 29 giugno 2021: «Si potrebbe quindi prevedere che il CSM proceda alla nomina del Vicepresidente ogni due anni, in contestualità col rinnovo parziale, tra i consiglieri laici che abbiano già svolto due anni di mandato. Questa soluzione presenta indubbi vantaggi. Eviterebbe innanzi tutto di dover affidare al Capo dello Stato la scelta del Vicepresidente, superando così tutti i problemi sopra evidenziati. Permetterebbe inoltre al Consiglio di eleggere il proprio Vicepresidente tra candidati che hanno svolto per due anni il ruolo di consigliere e, quindi, di esprimere una scelta più ponderata di quella “a scatola chiusa” effettuata fino ad oggi. Il nuovo Vicepresidente, infine, avrebbe fin da subito quella approfondita conoscenza della struttura, indispensabile per guidare la macchina consiliare».

[15] Alla Camera, attraverso i pareri della Giunta per il Regolamento del 16 ottobre 2001 e 6 ottobre 2009, la durata del turno di presidenza, stabilita dal comma 2 dell’articolo 16-bis del regolamento in sei mesi, è fissata in via sperimentale (ormai da circa venti anni) in dieci mesi.

[16] Anche alla Camera inizialmente il numero dei componenti era 8, poi innalzato a 10 nel 1999.

[17] E potrebbero farlo solo quando tutti componenti abbiano svolto le funzioni di vice-presidente.

[18] Art. 25 della Proposta di modificazione del Regolamento, che novella l’art. 161 del regolamento

[19] Ex plurimis G. Piccirilli, L’emendamento nel processo di decisione parlamentare, Padova, 2008, 259-314; E. Aureli, L’uso del decreto-legge nella XVII Legislatura, in Rivista AIC, n. 1/2019.

[20] Corte cost., ordinanza 8 febbraio 2019, n. 17 (Lattanzi-Cartabia), Cons. dir. 4.3. Per un commento cfr. N. Lupo, I maxi-emendamenti e la Corte costituzionale (dopo l’ordinanza n. 17 del 2019), in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2019. Si vedano anche le osservazioni di A. Pace, M. Manetti, A. Anzon Demming in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2019, 180- 201.

La Consulta, inoltre, ha segnalato che alcune delle riforme apportate al Regolamento del Senato nel 2017 potevano «gettare una diversa luce su taluni passaggi procedimentali censurati nel ricorso». Infatti, secondo la Corte gli art. 161, comma 3-ter e comma 3-quater del Regolamento potrebbero aver favorito le procedure contestate, visto che le disposizioni erano «verosimilmente dettate allo scopo di rafforzare le garanzie della copertura finanziaria delle leggi, ma foriere di effetti problematici, in casi come quello di specie, che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte dei competenti organi parlamentari ed eventualmente rimossi o corretti».

[21] Il testo del nuovo articolo 100, comma 8, dovrebbe essere «Il Presidente può stabilire, con decisione inappellabile, la inammissibilità di emendamenti privi di ogni reale portata modificativa. Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti la cui formulazione comporta la violazione, la mancata applicazione o l’elusione del principio per cui i disegni di legge sono approvati articolo per articolo. Prima dell’adozione di tale ultima decisione di inammissibilità, il Presidente può acquisire il parere del Comitato per la normazione. Il Presidente può altresì disporre che gli emendamenti intesi ad apportare correzioni di mera forma siano discussi e votati in sede di coordinamento, con le modalità di cui all’articolo 103».

[22] Proposta di modificazione del Regolamento, 4.

[23] Da ultimo si vedano le riflessioni sul punto di M. Cavino, Le prospettive del controllo parlamentare nel dibattito sulla riforma dei Regolamenti delle Camere, in V. Lippolis (a cura di), op.cit., 202-205.

[24] Si è ritenuto che la combinazione tra maxi-emendamento e questione di fiducia equivalga al “voto bloccato” francese, cfr. V. Lippolis, Maggioranza, opposizione e Governo nei regolamenti e nelle prassi parlamentari dell'età repubblicana, in L. Violante (a cura di), Il Parlamento, Torino, 2001, 613-658.

[25] Espressione resa nota da G. Amato, Monopolio e pluralismo: un dilemma che non doveva proporsi, in Diritto delle radiodiffusioni e delle telecomunicazioni, n. 3/1976, 3 relativamente al sistema delle frequenze radiotelevisive.

[26] S. Leone – F. Biondi, Il Governo "in" Parlamento: evoluzione storica e problematiche attuali, in Rivista AIC, n. 1/2012.

[27] In Francia esiste il c.d. “voto bloccato”, su cui cfr. P. Avril, Le vote bloqué (Chronique constitutionnelle et parlaimentaire française), in Revue du droit public, 1965, 399 ss.; A.A. Cervati, Appunti sul procedimento di approvazione delle leggi con «voto bloccato» nella Quinta Repubblica francese, in Giurisprudenza costituzionale, n. 6/1969, 2711 ss.; A. Ridolfi, L’introduzione del «voto bloccato», in Osservatorio AIC, aprile 2014.

[28] L’art. 13 della Proposta, modificativo dell’art. 55 del Reg. Sen. parla di “disegno di legge”. Infatti, solo alla Camera, e non al Senato, il termine “disegno di legge” è riservato alle sole proposte di iniziativa del Governo.

[29] F.S. Marini, Il voto a data certa, in F.S. Marini-G.Scaccia, (a cura di), Commentario alla Riforma costituzionale del 2016, Napoli, 2016, 121-134; R. Dickmann, Alcune considerazioni sull’istituto del ‘voto a data certa’, in Federalismi-Focus Riforma Costituzionale, n. 1/2016.

[30] Proposta di modificazione del Regolamento, 3: «Viene introdotto un termine di sessanta giorni, decorso il quale una proposta viene posta all’esame dell’Assemblea per essere votata allo stato degli atti. La dottrina costituzionalistica ha spesso rilevato che tale innesto avrebbe l’effetto di poter arginare il ricorso al decreto-legge e, in particolare, di ridurre il rischio di provvedimenti d’urgenza a contenuto eterogeneo. Inoltre, l’istituto potrebbe sortire utili effetti sulla controllabilità e prevedibilità della programmazione e quindi della progettazione legislativa in Senato. Ciò vale in particolare per un’Assemblea composta da un numero di Senatori drasticamente ridotto».

[31] G. Lasorella, Aggiornamenti e sviluppi in tema di programmazione dei lavori, tra decreti-legge e maggioranze variabili, in V. Lippolis- N. Lupo (a cura di), Il Parlamento dopo la riforma costituzionale, il Filangieri – Quaderno 2015-2016, Napoli, 2017, 53-82.

[32] M. Manetti, Perché tornare a discutere del procedimento legislativo, in V. Lippolis (a cura di), op. cit., 117.

[33] Per R. Perna, Il restauro regolamentare del procedimento legislativo, in V. Lippolis- N. Lupo (a cura di), op. cit., 95 «l’idea, seguita anche dal recente disegno di legge di riforma costituzionale, di introdurre direttamente in Costituzione norme che riguardano direttamente la disciplina di tale procedimento potrebbe pertanto apparire singolare considerato che lo stesso risultato poteva essere più facilmente con un seguito attraverso interventi meno gravosi su una fonte del diritto di livello inferiore». L’Autore continua notando come il voto “a data certa” non è ignoto ai nostri regolamenti parlamentari, visto che l’art. 123-bis, comma 2, del Regolamento della Camera prevede che il Governo possa chiedere alla Camera di deliberare su disegni di legge collegati entro un termine massimo riferito «alle scadenze connesse alla manovra finanziaria complessiva». È anche segnalato, però, che la previsione ha avuto un impatto modesto sul l’assetto complessivo del procedimento legislativo sia perché riferito ai soli disegni di legge collegati sia perché una norma analoga è assente nel regolamento del Senato (96).

[34] G. Tarli Barbieri, L’impatto della riduzione del numero dei parlamentari sui Regolamento delle Camere, in V. Lippolis (a cura di), op.cit., 138- 141. In tema si vedano anche N. Lupo, Riduzione del numero dei parlamentari e organizzazione interna delle Camere, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020, 337-339; F. Neri, Le Commissioni parlamentari: verso un’inevitabile riforma dell’intero sistema, in Forum di Quaderni Costituzionali, n. 3/2020; C. Masciotta, I regolamenti parlamentari alla prova della riduzione del numero dei parlamentari, in Osservatorio sulle Lucidamente C. Fasone, Sistemi di commissioni parlamentari e forme di governo, Padova, 2012, 392 ss. ha da tempo notato che sarebbe stato necessario un ripensamento complessivo delle attribuzioni materiali delle commissioni, e anche del sistema stesso delle commissioni permanenti, a seguito del decreto legislativo n. 300 del 1999 e, soprattutto, della pressoché completa riscrittura del Titolo V Cost. avvenuta tra il 1999 e il 2001.

[35] Le Commissioni sarebbero: 1ª – Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell’Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione; 2ª – Giustizia; 3ª – Esteri e politiche dell’Unione europea; 4ª – Difesa; 5ª – Economia e finanze; 6ª – Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport; 7ª – Lavori pubblici, trasporti, comunicazioni; 8ª – Attività produttive, turismo e agricoltura; 9ª – Affari sociali, lavoro e salute; 10ª – Territorio, ambiente, beni ambientali.

[36] Sul punto cfr. L. Bartolucci, I rapporti tra presidente del Consiglio e ministro dell’economia (1992-2018), in L. Tedoldi (a cura di), Il presidente del Consiglio dei ministri dallo Stato liberale all’Unione europea, Milano, 2019, 367- 384.

[37] Per una ricostruzione dell’istituto e dell’uso cfr. N. Lupo, Le molteplici funzioni dell’early warning system, alla luce del terzo “cartellino giallo” sui lavoratori distaccati, in Astrid, n. 20/2016; P. Kiiver, The Early Warning System for the Principle of Subsidiarity: Constitutional Theory and Empirical Reality, Londra 2012, 133; Idem, The Treaty of Lisbon, the National Parliaments and the Principle of Subsidiarity, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, n. 15/2008, 77-83; F. Fabbrini - K. Granat, “Yellow card, but no foul”: the role of the national parliaments under the

subsidiarity protocol and the commission proposal for an EU regulation on the right to strike, in Common Market Law Review, 50, 2013, 115–144; D. Fromage, Regional parliaments and the EWS: An assessment and some suggestions for reform, in A. Jonsson Cornell – M.  Goldoni (a cura di), National and Regional Parliaments in the EU legislative procedure after Lisbon: the impact of the Early Warning Mechanism. Oxford, 2017, 117-136.

[38] Sul tema si veda E. Moavero Milanesi – G. Piccirilli (a cura di), Attuare il diritto dell’Unione Europea in Italia. Un bilancio a 5 anni dall’entrata in vigore della legge n. 234/2012, Bari, 2018.

[39] Si prevede anche l’introduzione del Premier Question Time al Senato, ma vista l’esperienza non esaltante presso la Camera dei deputati, la proposta non appare così rilevante.

[40] Criticamente su questa prassi, che finisce per azzerare il contributo sostanziale di uno dei due rami del Parlamento (quello che esamina per secondo il disegno di legge di conversione), cfr., tra gli altri, A. Vernata, Governo e Parlamento nella produzione normativa. Evoluzioni o consolidamento di una nuova Costituzione materiale?, in Rivista AIC, n. 3/2020, 55 ss., spec. 68 ss.

Questa “prassi” ha trovato largo uso anche durante l’emergenza pandemica. Sul punto N. Lupo, Il Parlamento nell’emergenza pandemica, tra rischio di auto-emarginazione e “finestra di opportunità”, in V. Lippolis – N. Lupo, Il Parlamento nell’emergenza pandemica, il Filangieri – Quaderno 2020, Napoli, 2021, 152-155.

[41] A. Manzella, Elogio dell’Assemblea, tuttavia, Modena, 2020, 21, secondo il quale i più moderni sistemi costituzionali evolvono verso un «monocameralismo temperato», secondo la logica della unitarietà della rappresentanza in una sola assemblea (30-31). L’Autore si pronuncia per un monocameralismo formale che sostituisca il monocameralismo di fatto (65). Per Luigi Zanda (Senato, Assemblea, Resoconto stenografico, seduta n. 271 di lunedì 2 novembre 2020, 22) «è meglio il monocameralismo, piuttosto che un bicameralismo zoppo, confuso e sempre sull’orlo di essere cambiato», e deve essere in ogni caso evitato un riformismo costituzionale attuato per prassi, che in futuro, in diverse condizioni politiche, «potrebbe essere utilizzato con disinvoltura anche per scopi che di democratico potrebbero non avere nulla». Sul punto anche E. Cheli, La riduzione spingerà a una sola Camera col potere della fiducia, in Il Fatto Quotidiano, 6 settembre 2020, 9; Idem, Editoriale Dopo il referendum costituzionale. Quale futuro per il nostro Parlamento?, in Quaderni costituzionali, n. 4/2020, 699-700 «Un uso congiunto e coordinato che potrebbe notevolmente arricchirsi migliorando l’efficienza operativa della sfera parlamentare ove le future riforme costituzionali venissero orientate verso un più largo impiego del Parlamento in seduta comune, impiego che la riduzione nel numero dei componenti le due Assemblee viene a rendere oggi più agevole e praticabile. Su questa linea l’utilizzo del Parlamento in seduta comune potrebbe, pertanto, estendersi a tutte le funzioni di maggior rilievo costituzionale, quali quelle inerenti al voto di fiducia e di sfiducia, alla sessione di bilancio, alle sessioni dedicate alla materia internazionale e comunitaria, alla conversione dei decreti-legge. Senza, peraltro, trascurare che l’avvicinamento strutturale tra le due Camere potrebbe anche condurre ad un maggior impiego delle commissioni bicamerali nonché ad un uso maggiormente coordinato dei due regolamenti parlamentari, specialmente al fine di individuare meccanismi di accelerazione del processo legislativo e di rafforzamento del ruolo del governo in Parlamento. Per non parlare del processo, timidamente già avviato, di razionalizzazione e fusione degli apparati amministrativi serventi. Potrebbe essere questa, dunque, la via per giungere al superamento graduale dell’anomalia rappresentata dal nostro bicameralismo paritario in direzione di un modello fondato sul carattere unitario dell’organo e della rappresentanza parlamentare».

Si sottolinea che l’opzione della concessione o della revoca della fiducia al Governo da parte del Parlamento in seduta comune appare in contrasto con il dato testuale dell’art. 94, comma 2, Cost. («Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale»).

[42] Oggi la Costituzione pare aver perso quel valore di riferimento, anche testuale, per la società e gli attori politici. Cfr. G. Azzariti, Diritto o barbarie. Il costituzionalismo moderno al bivio, Roma-Bari, 2021, 15 ss., passim.

[43] N. Lupo, Tutto ciò che si può (e si deve) fare con i regolamenti parlamentari, all’indomani del referendum costituzionale, in Federalismi – Paper, 21 ottobre 2020, 6.

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