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Il diritto del lavoratore alle ferie retribuite di cui all'art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE: inderogabile, ma non direttamente efficace nell'ambito di controversie tra privati[1]

Norme o prassi nazionali che subordinano il diritto alle ferie annuali retribuite ad un periodo di lavoro effettivo minimo di dieci giorni o di un mese durante il periodo di riferimento sono incompatibili con l’art. 7, par. 1, della direttiva 2003/88/CE. Tale disposizione non osta, invece, ad una disposizione nazionale che prevede una durata diversa delle ferie annuali retribuite a seconda della causa dell’assenza del lavoratore in congedo di malattia, purché in ogni caso detta durata non sia inferiore al periodo minimo di quattro settimane garantito dalla direttiva. 

Se l’incompatibilità della disposizione nazionale con la direttiva è fatta valere nell’ambito di un procedimento tra privati e non è possibile pervenire ad un’interpretazione conforme del diritto nazionale, la parte lesa dalla non conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione non può avvalersi dell’effetto diretto della direttiva. Tuttavia, può agire per ottenere il risarcimento del danno subito, secondo quanto previsto nella sentenza Francovich. 

Zambrano atto terzo?[1]

La mera circostanza che possa apparire auspicabile al cittadino di uno Stato membro, per ragioni economiche o per mantenere l’unità familiare del territorio dell’Unione, che i suoi familiari, che non possiedono la cittadinanza di uno Stato membro, possano soggiornare con lui nel territorio dell’Unione, non basta di per sé a far ritenere che il cittadino dell’Unione sia costretto ad abbandonare il territorio dell’Unione qualora un tale diritto non gli venga concesso.

Le disposizioni dei Trattati in materia di libera prestazione dei servizi ostano ad una normativa nazionale, quale l’art. 38, commi 2 e 4, del “Decreto Bersani”, tramite la quale uno Stato membro protegge le posizioni commerciali degli operatori esistenti del settore dei giochi d’azzardo imponendo solo ai nuovi concessionari il rispetto di distanze minime.

Il riferimento ai «principi dell'ordinamento comunitario» nell'art. 1 della legge n. 241/1990 non configura alcun rinvio diretto e incondizionato al diritto dell'Unione

Nel secondo aggiornamento di questa Rubrica relativo all’anno 2011 si dava notizia di un’ordinanza con la quale la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia, sottoponeva alla Corte di giustizia due quesiti pregiudiziali in merito all’interpretazione degli artt. 296 TFUE e 41, n. 2, lett. c), della Carta dei diritti fondamentali UE, relativi all’obbligo delle istituzioni ed organi dell’Unione di motivare i propri atti.

[1]

La decisione quadro 2004/68/GAI, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, faceva obbligo agli Stati membri di sanzionare penalmente una serie di condotte afferenti ai reati di sfruttamento sessuale minorile e pornografia infantile; inoltre, per ciascuna di queste condotte, la decisione stabiliva il livello minimo della pena edittale massima. La direttiva 2011/92/UE, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, modifica ed amplia in modo significativo la decisione quadro 2004/68/GAI, alla quale si sostituisce. La base giuridica della direttiva è costituita dagli Articoli 82, paragrafo 2, e 83, paragrafo 1 TFEU, che prevedono, rispettivamente, che «Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria.

[1]

L’ordine di protezione europeo consente di estendere ad un altro Stato membro la protezione che lo Stato membro di emissione dell’ordine assicura ad una persona nei confronti di atti di rilevanza penale di un’altra persona, che siano tali da metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale (Art. 1). In particolare, l’ordine di protezione europeo può essere emesso qualora la persona che beneficia della protezione decida di risiedere (ovvero già risiede) o di soggiornare (ovvero già soggiorna) in un altro Stato membro (Art. 6, par. 1).

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Osservatorio sulle fonti

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