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Segreto di Stato e impunità: la sentenza “Nasr e Ghali c. Italia” della Corte europea dei diritti dell’uomo Sent. 23 febbraio 2016, n. del ricorso 44883/09 (1/2016)

1. La sentenza in nota rappresenta l’ultima tappa del tortuoso percorso giudiziario relativo all’”extraordinary rendition” dell’Imam egiziano Osama Mustafa Hassan Nasr (noto come “Abu Omar”)[1]. Essa segna una condanna nei confronti dell’Italia per responsabilità riferite ad alcune tra le massime istituzioni dello Stato, in particolare il Governo, la Corte costituzionale e il presidente della Repubblica. Una sentenza notevole che non giunge inaspettata.

I fatti risalgono al 17 febbraio 2003 quando Abu Omar, imam di un centro culturale islamico, indagato per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, è stato sequestrato a Milano da agenti dei servizi segreti italiani (SISMI) per volontà dei servizi segreti americani (CIA) per essere trasferito da quest’ultimi prima in Germania e poi in Egitto, al fine di essere sottoposto a detenzione segreta e a interrogatori basati sull’impiego di sevizie e torture.

Le lunghe e complesse indagini compiute dalla Procura di Milano hanno portato nel 2006 all’arresto di alcuni agenti del SISMI. Tra gli indagati vi era anche il direttore del SISMI che ha rifiutato di subire l’interrogatorio sollevando il segreto di Stato.

Nel 2007, il GUP di Milano ha rinviato a processo 32 agenti dei servizi segreti, 26 dei quali della CIA. Due anni dopo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 106, ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione sollevato dal Governo e ha confermato l’apposizione del segreto di Stato. Il processo penale si è dunque concluso, il 4 novembre 2009, con sentenza del Tribunale di Milano n. 12428 che ha pronunciato il proscioglimento di tutti gli agenti italiani in virtù del segreto di Stato e con la condanna, con pene alla reclusione tra 5 e 8 anni, per gli agenti della CIA - pene peraltro, mai eseguite poiché il Ministro della giustizia non ha mai trasmesso la relativa richiesta di estradizione.

La sentenza di primo grado è stata sostanzialmente confermata in appello ma, il 19 settembre 2012, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la pronuncia d’appello, nella parte concernente gli agenti italiani, valorizzando la presenza di elementi di prova esorbitanti l’ambito del segreto che avrebbero consentito l’accertamento della loro responsabilità penale.

Il 12 febbraio 2013, la Corte di Appello di Milano, in sede di rinvio, ha condannato il direttore del SISMI a 10 anni di reclusione e il suo braccio destro a 9 anni, in applicazione del principio affermato dalla Corte di Cassazione sull’esigenza di restringere la portata del segreto di Stato.

A questo punto, il Governo ha sollevato nuovamente il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale che lo ha accolto con la sentenza n. 24 del 14 gennaio 2014. Secondo quest'ultima, il segreto in questione è posto a tutela dell’interesse supremo della sicurezza e della integrità dello Stato per cui la sua copertura dovrebbe proiettarsi su tutti i fatti, notizie e documenti riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi segreti e i rapporti con quelli di altri Stati, a condizione che gli atti e i comportamenti degli agenti siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato.

Di conseguenza, il 24 febbraio 2014, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna della Corte di Appello di Milano e ha assolto definitivamente gli agenti del SISMI in virtù del segreto di Stato. 

2. La Corte europea si era già occupata delle gravissime ricadute del fenomeno delle “extraordinary renditions” sui diritti umani tutelati dalla Convenzione europea in una serie di casi precedenti all'affare “Nasr e Ghali c. Italia”. 

Secondo tale giurisprudenza, l’espressione “extraordinary renditions” si riferisce, in particolare, alle operazioni segrete condotte dalla CIA con il coinvolgimento di alcuni agenti e funzionari di Stati europei nel quadro della lotta al terrorismo internazionale. Esse si caratterizzano per la commissione di plurimi comportamenti illeciti, normalmente consistenti nel sequestro e nel trasferimento clandestino di presunti terroristi nei loro Paesi d’origine, al fine di sottoporli a detenzione segreta e a interrogatori basati sull’impiego della tortura e di trattamenti inumani e degradanti. Sono pertanto operazioni dirette a sottrarre la persona sospettata di terrorismo a qualsiasi garanzia costituzionale, con l’effetto di cagionarle sofferenze fisiche e morali.

Esse costituiscono altresì attentato ai fondamenti della democrazia e dello stato di diritto giacché queste operazioni sono svolte in segreto e in violazione di alcuni principi basilari degli ordinamenti costituzionali democratici.

Nello scorso decennio le “extraordinary renditions” hanno rappresentato una prassi preoccupante per il Consiglio d’Europa giacché queste operazioni sono state spesso condotte da agenti della CIA con la complicità di alcuni Stati europei, responsabili ora di procedere alla cattura, ora di mettere a disposizione aeroporti e infrastrutture, ora di insabbiare le indagini necessarie all’accertamento dei fatti e al risarcimento delle vittime. Risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa hanno duramente condannato la prassi degli Stati europei coinvolti nel compimento di tali crimini[2]. Sul caso relativo ad Abu Omar, in particolare, una risoluzione ha affermato che: “The Assembly is deeply perturbed by the proceedings brought recently against the Milan public prosecutors themselves for breach of state secrecy. It regards such proceedings as intolerable impediments to the independence of justice”[3].

Anche il Parlamento europeo ha preso posizione sulla prassi delle “extraordinary renditions”, incaricando il relatore Fava di acclarare le dinamiche sottese al fenomeno e esprimendo riprovazione per la complicità di alcuni Stati europei, inclusa l’Italia, cui ha addebitato, proprio in relazione al caso “Abu Omar” la secretazione di documenti a copertura di alcune condotte criminose svolte in territorio italiano[4].

La prima sentenza della Corte europea relativa alle “extraordinary renditions” ha riguardato il caso “El-Masri”[5]. In quel caso, la Corte ha condannato la Macedonia per violazione degli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione europea in relazione alla cattura del sospettato El-Masri, poi rivelatosi innocente, e la sua prolungata detenzione segreta prima in Macedonia, poi in un balck-site afgano, accompagnata da interrogatori condotti con l’impiego della tortura.

Uno degli aspetti più significativi della sentenza “El-Masri”, anche per la sua connessione con il caso “Abu Omar”, ha riguardato l’enunciazione del diritto alla verità. La Corte ha infatti ricondotto l’esigenza di condurre indagini effettive non solo all’obbligo positivo di adottare ogni misura necessaria a prevenire e reprimere il compimento di atti di tortura ma anche al dovere di acclarare la verità, derivante anch’esso dall’art. 3 della Convenzione europea. La Corte ha valorizzato tanto la dimensione privata del diritto alla verità, come diritto delle vittime di accertare i fatti subiti e di conoscerne le relative responsabilità, quanto quella pubblica, legata all’esigenza di lottare contro l’impunità e di informare adeguatamente l’opinione pubblica. Secondo la Corte, ogniqualvolta le autorità nazionali omettono di svolgere indagini effettive, esse pregiudicano il diritto alla verità. In un obiter dictum, la Corte ha ricondotto a tale comportamento anche l’impiego distorto del segreto di Stato, affermando che “the concept of State secret has often been invoked to obstruct the search of the truth”[6]. Le conseguenze di tale affermazione sono state svolte proprio nella sentenza “Nasr e Ghali c. Italia”.

3. Il ricorso è stato presentato alla Corte europea da Abu Omar e dalla moglie, Nabila Ghani, nel 2009, per violazione degli articoli 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), 5 (diritto alla libertà e sicurezza), 6 (diritto all’equo processo), 8 (diritto alla vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione europea. Con la sentenza emessa lo scorso 23 23 febbraio, la Corte europea ha accolto il ricorso, accertando la violazione da parte dell’Italia degli articoli 3, 5, 8 e 13 della Convenzione europea, e condannato lo Stato italiano al risarcimento di 70.000 euro ad Abu Omar e di 15.000 euro alla moglie per le sofferenze fisiche e psicologiche patite.

Nella motivazione, la Corte ha affermato che le autorità italiane hanno proceduto alla “extraordinary rendition” in ottemperanza al programma della CIA, nonostante fossero a conoscenza dell’elevato rischio che il ricorrente sarebbe stato sottoposto ad atti di tortura e ad altre gravi violazioni della libertà e dell’incolumità personale. Inoltre, la Corte ha giudicato che l’Italia avesse ostacolato l’accertamento dei fatti e la punizione dei colpevoli, in violazione degli obblighi procedurali derivanti dagli articoli 3 e 13 della Convenzione europea. Tuttavia la Corte ha riconosciuto che, a differenza delle altre vicende di “extraordinary renditions” da essa accertate (casi El-Masri”, “Husayn” e “Al Nashiri”), in questo caso le autorità giudiziarie nazionali hanno manifestato particolare alacrità nella conduzione delle indagini e del processo[7]. La violazione è stata dunque ricondotta alla condotta di altri organi nazionali, in particolare, dei Governi che si sono succeduti all’epoca dei fatti (Prodi, Berlusconi, Monti e Letta) e della Corte costituzionale, per il modo in cui hanno - rispettivamente - invocato e interpretato il segreto di Stato, nonché del Ministro della giustizia Castelli, per il rifiuto di procedere alla richiesta di estradizione, e del Presidente della Repubblica Napolitano, per la concessione della grazia ad alcuni condannati.

Al riguardo, vale la pena rammentare che, il 23 dicembre scorso, meno di due mesi prima dell’emanazione della sentenza in nota, il Presidente della Repubblica Mattarella ha concesso la grazia ad altri due condannati per l’ “extraordinary rendition” di Abu Omar: Medero e Seldon Lady. Tra le motivazioni addotte nel comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica vi è la considerazione che gli Stati Uniti abbiano ormai interrotto la prassi delle “extraordinary renditions”, che la condannata Medero avesse avuto una pena di entità inferiore agli altri e che Seldon Lady meritasse un’attenuazione del trattamento sanzionatorio.

La Corte europea ha considerato che i diversi comportamenti delle autorità italiane fossero caratterizzati dalla finalità comune “d’empêcher les responsables de répondre de leurs actes”[8]. L’argomentazione è particolarmente rilevante per ciò che riguarda la secretazione dei documenti utilizzati nel processo, perché in sostanza contraddice la ricostruzione della Corte Costituzionale. Infatti quest’ultima, nella sentenza n. 24 del 2014, ha accolto l’esigenza di una interpretazione ampia dell’ambito oggettivo del segreto, precisando come l’unico limite sia la sua effettiva funzionalizzazione alla tutela della sicurezza dello Stato, circostanza che ha considerato indiscussa nel caso in questione. La Corte europea, invece, ha considerato che i documenti secretati contenessero informazioni ampiamente diffuse dalla stampa e da internet, da ritenere “du domaine public”, e che perciò non vi fosse alcuna esigenza di tutela del segreto[9].

La distanza tra la posizione della Corte Costituzionale e quella della Corte europea non concerne dunque la caratterizzazione giuridica dell’istituto del segreto di Stato e il suo bilanciamento con i diritti fondamentali della persona, o con altri interessi generali rilevanti nel caso di specie. La Corte europea ha in sostanza accertato uno “sviamento” dell’uso del segreto, il quale, invece di essere funzionalizzato alla tutela della sicurezza dello Stato, è stato invocato per coprire le responsabilità penali degli agenti del SISMI coinvolti. L’argomentazione della sentenza è piana e lineare e risulta, a maggior ragione, “disarmante”.  Essa non contraddice le argomentazioni svolte dai Governi e dalla Corte Costituzionale sulla natura e i limiti del segreto ma afferma che, di fatto, le istituzioni coinvolte nel caso “Abu Omar” hanno agito al solo fine di coprire le responsabilità penali dei responsabili, per ragioni di opportunità politica e a scapito dell’accertamento della verità.

[1] Sent. CEDU, 23 febbraio 2016, ric. n. 44883/09.
[2] Risoluzione sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di persone, P6TSA(2007)0032, par. 39.
[3] Ris. Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa n. 1507 del 2006 “Alleged secret detentions and unlawful inter-state transfer of detainees involving Council of Europe member states”, par. 14.
[4] Final Report on the alleged use of European Countries for the transportation and illegal detention of prisoners, 2006/2200 (INI), doc. A6-0020/2007 del 30 gennaio 2007.
[5] Sent. CEDU 13 dicembre 2012, ric. n. 39630/09.
[6] Ibidem, para. 191.
[7] Sent. CEDU, 23 febbraio 2016, cit., para. 243.
[8] Ibidem, para 272.
[9] Ibidem, para. 268.

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