Il fenomeno della delegazione legislativa e la sua evoluzione (Novembre 2009)

Su gentile concessione del Prof. Emanuele Rossi pubblichiamo la sua "Introduzione" al volume "Le trasformazioni della delega legislativa. Contributo all’analisi delle deleghe legislative nella XIV e nella XV legislatura", CEDAM, Padova, 2009.

 

"La presente pubblicazione raccoglie i risultati della ricerca condotta dal gruppo di lavoro della Scuola Superiore Sant'Anna nell’ambito del progetto cofinanziato dal Ministero dell’Università e coordinato dall’Università degli studi di Firenze. Il progetto nazionale aveva ad oggetto I poteri normativi dell’esecutivo a vent’anni dalla legge n. 400 del 1988: all’interno di esso il gruppo di ricerca ha preso in considerazione l’istituto della delega legislativa come è venuto conformandosi nel periodo ricompreso tra l’inizio della XIV e la fine della XV legislatura (vale a dire dal 2001 al 2008).

Numerosi sono i motivi che rendono rilevante la ricerca in sé, vale a dire al di là dei risultati che sono stati raggiunti e che ciascuno potrà valutare. In primo luogo in relazione all’attuazione della disposizione costituzionale relativa (art. 76) ed all’interpretazione che ne è stata data. Si potrà valutare, infatti, se e come la legge di delega del Parlamento operi una adeguata individuazione dell’oggetto o se, al contrario, essa risulti per lo più formulata in termini generici e quasi indeterminati; se al contempo i principi e criteri direttivi siano correttamente individuati, o se al contrario anche per essi valgano i rilievi di genericità sopra indicati e se ancor di più vi sia una sovrapposizione tra individuazione dell’oggetto e elencazione dei principi e criteri. Su un piano diverso, il tema in esame induce ad interrogarsi sia sull’assetto complessivo delle fonti del diritto nel nostro ordinamento, sia ancor più in generale sul sistema dei rapporti tra parlamento e governo nell’attuale conformazione della nostra forma di governo. Temi, tutti, che la dottrina ha da anni ben individuato, analizzato e messo in luce, e che proprio per questo richiedono una verifica “sul campo”, tendente a valutare la loro tenuta in relazione alla produzione normativa più recente. L’arco di tempo considerato comprende due legislature nelle quali si è in certa misura stabilizzata la prospettiva bipolare, e che hanno inoltre visto l’alternarsi di maggioranze diverse: una maggioranza di centro-destra nel corso della XIV legislatura ed una di centro-sinistra in quella successiva. Rilievo che ha valenze particolare nel caso delle deleghe, perché può verificarsi -come si è verificato- il caso di governi di un colore politico che hanno dovuto dare attuazione a deleghe contenute in leggi approvate da maggioranze precedenti e diverse.

Ed in effetti le ricerche qui condotte dimostrano come quei motivi di interesse siano rafforzati dalla valutazione della produzione normativa presa in esame, ad iniziare da una considerazione sul dato quantitativo relativo alla delegazione legislativa, che vede un aumento consistente sia del numero delle leggi approvate contenenti almeno una delega in rapporto agli altri atti normativi primari, che del numero di deleghe con riferimento alle diverse tipologie (primarie e correttive/integrative; deleghe periodiche; deleghe settoriali), che infine, e conseguentemente, del numero di decreti legislativi adottati. Una considerazione di insieme sull’importanza di tale fenomeno e sulle conseguenze in termini di rapporto con lo stato della legislazione complessivamente intesa negli anni presi in esame può leggersi nel lavoro curato da Elena Vivaldi e Paolo Addis.
L’aumento del ricorso alla decretazione delegata ha conseguenze anche in ordine al procedimento della loro approvazione, rendendolo in certa misura più partecipato e coinvolgente diversi attori istituzionali, e facendo del governo non il titolare unico del potere ad esso conferito quanto piuttosto il responsabile di un procedimento “plurale”. Ciò è bene evidenziato sia dal lavoro di Alessia Di Capua ed Elena Ferioli, che hanno analizzato il ruolo del Parlamento come organo di consulenza/controllo dell’attività dell’esecutivo nell’attuazione della delega dallo stesso conferita (ma con la fondamentale variante tra soggetto che definisce la delega -di norma l’Assemblea- e quello che opera la funzione di espressione del parere -le commissioni-), sia dal lavoro di Luca Gori, che ha preso in considerazione il ruolo della Conferenza Stato-Regioni. In relazione a tale ultimo lavoro mi pare opportuno sottolineare la valutazione che ne emerge in ordine al possibile rischio di un interesse del Governo ad avvalersi della forza del parere della Conferenza in funzione quasi contrappositiva a quello parlamentare, data anche la scansione temporale tra i due pareri (prima quello della Conferenza, da ultimo quello parlamentare); oppure al contrario di una “pressione” governativa sul parlamento (eventualmente, ma non necessariamente, mediante la propria maggioranza) per superare le indicazioni regionali (come confermerebbe la prassi di una presenza regionale in Parlamento).
Gli altri due lavori della prima parte, dedicata ai profili generali dell’istituto della delega, analizzano la giurisprudenza costituzionale che si è prodotta e i profili di diritto comparato che fanno emergere le affinità e le differenze con altri sistemi nei quali siano previste forme di controllo politico su deleghe attribuite dai parlamenti. Il lavoro di Francesca Biondi Dal Monte, in particolare, registra una sostanziale continuità della giurisprudenza costituzionale sulle deleghe: una giurisprudenza assai “generosa” sia nei confronti del legislatore delegante che di quello delegato, con numerosi interventi “ortopedici” sulla legge delega: ad esempio mediante un ricorso ampio alla ratio o alla finalità della delega per colmare l’eccessiva genericità della formulazione di principi e/o criteri direttivi nelle leggi di delega, specie in quei settori (quali ad esempio quelli interessati dall’adozione di testi unici ed all’attuazione di direttive comunitarie) nei quali i principi ed i criteri direttivi vengono stabiliti frequentemente per relationem. Come pure di particolare interesse risulta la giurisprudenza che ha affrontato il tema dei decreti legislativi emanati nelle materie di competenza concorrente, anche con riguardo alle innovazioni introdotte dalla novella costituzionale, e che pongono il problema del carattere dei principi direttivi (da inserire nella legge delega) che hanno la funzione di guidare la individuazione di principi fondamentali (in relazione alla legislazione regionale).
Il contributo di Giuseppe Martinico e Giacomo Delledonne esamina il quadro emergente da altre esperienze costituzionali circa i controlli esperibili con riferimento agli atti normativi delegati, con specifico riguardo ai soli controlli “politici” effettuati sulle deleghe, vale a dire ai controlli effettuati nelle Assemblee da organi delle stesse. Tali modelli possono essere classificati in ordine al livello di “purezza” del controllo stesso: gli A. individuano in quello britannico del controllo sugli “statutory intruments” il modello “puro” rispetto a modelli “ibridi”, in ordine ai quali è possibile identificare, secondo gli stessi, varie gradazioni di “ibrido”: dal modello tedesco - nel quale viene consentito ai parlamentari di ricorrere direttamente al Bundesverfassungericht - a quello francese, per definizione, ancora più ibrido data la costitutiva politicità del controllo (perché viene svolto anteriormente all’entrata in vigore dell’atto e per la composizione dello stesso Conseil Constitutionnel).
Nella seconda sezione sono prese in esame le deleghe che si sono realizzate nel periodo considerato analizzandole sulla base delle “finalità” che esse hanno teso a perseguire.
Così il lavoro di Giovanni Piccirilli ha preso in esame le deleghe legislative contenute nelle leggi annuali di semplificazione 2001 e 2005, analizzando puntualmente tutte le deleghe in esse contenute e i risultati che ne sono conseguiti. Merita segnalare il dato che ne emerge: a fronte infatti di un massiccio ricorso alla delegazione legislativa per il riassetto e la codificazione settoriale (che tra l’altro si presta ad essere progressivamente esteso ad altri settori), si registra un utilizzo della delegazione episodico e frammentato, specie per quanto riguarda la legge di semplificazione del 2003, in quanto, malgrado numerose e reiterate proroghe e differimenti intervenuti nel corso del tempo, soltanto in quattro ambiti materiali su dieci è intervenuto il legislatore delegato. Né mancano profili problematici anche in relazione alla coerenza con deleghe in questo ambito rispetto al disposto costituzionale: come sottolinea lo stesso A., infatti, ci si trova in questi casi “di fronte, in pratica, ad una delega sprovvista di oggetto (almeno per come lo si è soliti intendere), o comunque dinanzi alla definizione di un obiettivo, di un fine di carattere generale, piuttosto che al conferimento dell’esercizio della funzione normativa in un ambito materiale determinato”.
L’esame delle deleghe contenute nelle leggi comunitarie è invece l’oggetto dello studio di Elettra Stradella, che ricostruisce un ambito di intervento assai complesso, e reso ancor più tale dal fatto di sussistere, in materia, una legge generale (“madre”) che disciplina il procedimento di recepimento della normativa comunitaria, e leggi annuali (“figlie”) che dovrebbero essere rispettose dei contenuti della prima ma che in realtà operano insieme delle modificazioni alla stessa legge “madre”. In tale contesto, lo studio di Stradella dimostra in primo luogo la “capacità” della legge comunitaria annuale di imporsi quale unica cinghia di trasmissione tra l’elaborazione normativa svolta in sede europea e la corrispondente attività statale di recepimento e attuazione (nella XIV legislatura vi è stata un’unica legge approvata “fuori comunitaria”, come pure nella XV legislatura, in cui si è avuto anche il caso di una legge contenente una delega al governo per l’emanazione di un decreto legislativo correttivo e per l’integrazione di uno precedente). Per quanto riguarda l’altro aspetto sopra indicato, la tesi sostenuta dall’A. è che risulta confermata l’ipotesi che individua la legge “madre” come più debole delle leggi “figlie” sulla base della strumentalità di queste ultime proprio rispetto all’obiettivo dell’implementazione del diritto comunitario, e quindi della copertura costituzionale rintracciabile nell’art. 11. Cost.
Il terzo ambito di esame delle deleghe “per finalità” è costituito dalla delegazione legislativa connessa all’attuazione della riforma del Titolo V Parte II della Costituzione: ambito rilevante sia per la conferma dell’indirizzo in forza del quale la delega al Governo continua a costituire lo strumento principale attraverso cui realizzare la finalità di adeguamento della disciplina del sistema delle autonomie ai nuovi principi costituzionali, sia al contempo per le vicende tormentate che hanno segnato tale processo, e ciò soprattutto a causa dell’intrecciarsi dell’esigenza di dare attuazione alla riforma costituzionale con la volontà, propria della maggioranza politica della XIV legislatura, di procedere ad un’ulteriore riforma. Da ciò è derivato che lo studio condotto da Pietro Masala non soltanto si è dovuto limitare alle deleghe previste dalla legge La Loggia (n. 131/2003), ma altresì ha registrato come l’attuazione della delega per la ricognizione di principi fondamentali nelle materie di potestà concorrente sia risultata assai limitata e sostanzialmente insoddisfacente, mentre sono risultate ad oggi inattuate le altre deleghe contenute nella medesima legge: con tutte le considerazioni che si potrebbero svolgere sulle reali convinzioni “federaliste”, pur in linea di principio sempre ribadite, della nostra classe politica. Un aspetto inoltre che merita segnalare con riguardo a tale ambito di delega è il significativo e logico coinvolgimento, oltre che del Parlamento, delle Conferenze in cui trovano rappresentanza le istanze delle regioni e delle autonomie locali.
La terza sezione della ricerca è dedicata invece all’uso della delega in alcuni macro-ambiti, ovvero a riforme di “pezzi” consistenti dell’ordinamento giuridico realizzati mediante il ricorso alla strumento della delega legislativa. Nel corso delle legislature qui considerate tali riforme hanno riguardato l’ordinamento giudiziario, la materia della tutela giudiziale e stragiudiziale dei diritti, la riforma dell’organizzazione del governo.
Alla prima di esse è dedicato il lavoro di Nicola Pignatelli e Tommaso Giovanetti, che ricostruisce con precisione la vicenda -talmente complessa da risultare emblematica e quasi paradossale- della riforma dell’ordinamento giudiziario. Una riforma, lo si ricorda, che è stata dapprima approvata dalla maggioranza di centro-destra al termine di un iter quanto mai faticoso e accidentato (nel quale si è verificato anche il caso di un rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica), e che conteneva numerose deleghe al Governo. A questa legge (n. 150/2005) sono seguiti ben dieci decreti legislativi entrati in vigore in attuazione della delega in essa contenuta. Succeduta una diversa maggioranza, questa dapprima ha approvato una legge (la n. 269/2006) che ha sospeso fino al 31 luglio 2007 l’efficacia di alcune disposizioni ed ha previsto la modifica di altre; mentre successivamente è stata approvata un’ulteriore legge (la l. n. 111/2007) che ha modificato alcuni dei decreti legislativi approvati in precedenza.
La ricerca condotta da Fabio Valerini ha esaminato invece quell’ampia produzione normativa delegata che ha avuto ad oggetto il settore della tutela civile dei diritti, vale a dire l’ambito del processo civile e della tutela non giurisdizionale dei diritti (conciliazione e arbitrato). Tale materia è stata oggetto anche di esame da parte della Corte costituzionale, come il lavoro opportunamente mette in luce ed analizza.
Il risultato complessivo dell’analisi consente all’A. di ritenere che, mentre sembra correttamente individuato ad opera del legislatore il settore sul quale il governo era chiamato ad intervenire, analoga puntualità non è riscontrabile in relazione ai principi e criteri direttivi, i quali risultano soltanto in alcuni casi puntualmente definiti, mentre in altri hanno costretto la Corte ad ammonire il Parlamento, richiamandone la responsabilità al fine di non alterare l’assetto costituzionale delle fonti. E ciò sia in quanto taluni di tali principi sembrano in realtà costituire soltanto un’indicazione della materia oggetto della delega (così confondendo due contenuti che l’art. 76 chiede siano tenuti distinti), sia perché altri principi, come osserva l’A., risultano “suscettibili di plurime vie di attuazione la cui scelta, teoricamente, dovrebbe essere rimessa al delegante e non al delegato”.
Il terzo ambito di intervento consistente della legislazione delegata esaminato in questa sede è costituito dalla riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del consiglio dei ministri, esaminato da Giuseppe Provenzano. Si tratta di una “materia” che ormai da decenni è oggetto di attenzione da parte del legislatore, anche in ragione, come giustamente rileva l’autore, del collocarsi essa nel punto di snodo tra le esigenze delle istituzioni e le ragioni della politica. Ma insieme si tratta di una materia nella quale l’utilizzo dello strumento della delegazione legislativa al governo appare assai singolare -ancorché, almeno per certi aspetti, inevitabile- stante la “doppia natura” dell’organo delegato: legislatore e destinatario delle regole da esso stesso poste. Problema che dovrebbe indurre il legislatore delegante a definire con la massima precisione i principi e dei criteri direttivi cui si dovrà attenere il delegato: puntualità tuttavia che, come l’analisi di Provenzano dimostra, non è riscontrabile nei casi oggetto di esame.
L’ultima parte della ricerca ha infine preso in considerazione alcuni aspetti peculiari della delegazione legislativa come è venuta realizzandosi nell’esperienza costituzionale, specie di questi ultimi anni (ormai decenni): aspetti che abbiamo definito quali “figure sintomatiche” dell’ evoluzione e delle prospettive dell’istituto della delega.
Tra queste una posizione di rilievo assume l’utilizzo dei decreti legislativi integrativi e correttivi, affacciatosi sulla scena istituzionale nei primi anni Novanta e che sembra aver assunto una condizione di stabilità ed anzi di sempre maggiore utilizzo (il lavoro in questione indica in una percentuale di uno su otto il numero di decreti interessato dalla correzione). La ricerca di Marco Mazzarella, che ricostruisce con estrema puntualità questa materia nella quale risulta assai difficile districarsi, offre un tentativo di definizione della categoria in questione, operazione necessaria per distinguere tali decreti (e soprattutto la relativa delega) rispetto alle ipotesi di una nuova delega “piena”, e che consente altresì di distinguere, come propone l’A., tra decreti correttivi “perfetti” e “successivi”.
Merita altresì una sottolineatura la considerazione che più della metà dei decreti correttivi dispone nuovi interventi su decreti “principali” pertinenti alla precedente legislatura: dato che si presta, evidentemente, anche a considerazioni connesse alla diversa colorazione politica dell’esecutivo.
Un altro aspetto di forte interesse, e che si connota come continuativo di una prassi già da tempo censurata in dottrina, riguarda quella tecnica di redazione delle leggi di delega mediante la quale i principi e i criteri direttivi vengono espressi mediante per rinvio alle leggi comunitarie. Il lavoro di Andrea Bonomi, che prende in considerazione tali decreti, ne sottolinea la distanza dalla previsione costituzionale, data la confusione che essi producono tra le finalità della delega, che sono quelle contenute nelle norme comunitarie che devono essere attuate, ed i principi e i criteri veri e propri cui il Governo deve unifomarsi nell’esecuzione della delega stessa: ciò in particolare per quei decreti insistenti su materie nelle quali sussista una riserva, relativa o addirittura assoluta, di legge. La tesi dell’A. è che in queste ipotesi l’individuazione di principi direttivi individuati dalla legge di delega per relationem alle norme comunitarie attuande sembra costituire un più forte contrasto con le previsioni costituzionali, come viene dimostrato concentrando in particolare l’attenzione sulla violazione della riserva di legge posta dall’art. 25 della Costituzione.
Un ricorso assai consistente alla decretazione delegata avviene anche ad opera dei provvedimenti collegati alla legge finanziaria, cui è dedicato il lavoro di Sabrina Ragone e Davide Ragone. Il motivo di interesse per tali decreti sta nel fatto che essi contengono ampie deleghe legislative al loro interno, riguardanti materie assai vaste e diversificate, stante l’espresso divieto di inserire disposizioni di delega all’interno delle leggi finanziarie: il che comporta che essi riguardino ambiti materiali il cui collegamento effettivo con la manovra finanziaria è assai discutibile, ma che costituiscono una sorta di trait d’union tra le scelte di carattere economico e quelle relative alle grandi riforme. Dall’esame delle deleghe in questione emergono problemi ricorrenti e già segnalati, quali l’incerta individuazione di principi e criteri direttivi, cui fa riscontro la previsione di un intervento necessario del Parlamento (oltre che di numerosi altri soggetti, istituzionali e non) in funzione quasi di co-decisione del contenuto dell’atto delegato.
Da ultimo, Emiliano Frediani esamina tre tipologie di deleghe: quelle definite “tecniche”, quelle “in bianco”, e, all’interno di quest’ultima categoria, quelle che delegano poteri normativi alle autorità indipendenti. La ragione di una considerazione unitaria di queste tre differenti tipologie sta nel tentativo, operato dall’A., di collegare le stesse considerandole come espressioni diverse ma convergenti degli effetti della globalizzazione (qui intesa come “processo di trasferimento di poteri dagli stati ai mercati”) sul piano dell’attività di produzione normativa, con particolare riguardo all’istituto della delega. La conclusione cui giunge l’A. è che le fattispecie considerate possono far ritenere avvenuta una “torsione” dell’istituto previsto dall’art. 76 Cost., che è divenuto nei casi presi in esame uno strumento utilizzato a fini tutt’affatto diversi da quelli per i quali esso era stato pensato.
L’impressione complessiva che emerge dalle ricerche svolte è, in conclusione, di un istituto che se da un lato ha avuto e continua ad avere un grande utilizzo nella prassi legislativa (sì da far ritenere lungimirante la sua previsione nel testo costituzionale), d’altro canto fa segnare una distanza sempre maggiore tra il “modello” costituzionale e la sua applicazione, senza che su questo fronte la Corte costituzionale sia riuscita (o abbia voluto) -almeno fino ad oggi- ricondurre la prassi agli schemi costituzionali rigidamente intesi. Come si diceva all’inizio, non sono estranei a tale valutazione i noti problemi legati non soltanto alla qualità ed alle procedure della produzione legislativa complessivamente intesa, ma anche ai rapporti tra i vari organi costituzionali che determinano la forma di governo. E se quest’ultima è venuta trasformandosi nel corso degli anni, era inevitabile che analoga trasformazione coinvolgesse anche l’istituto della delega legislativa."

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