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Editoriale n. 3/2022

LupoN

Una legislatura “a ranghi ridotti”, ma (per ora) con meno discontinuità del previsto

1. La fine della XVIII legislatura (marzo 2018-settembre 2022) si è consumata in modo abbastanza imprevisto e nell’arco di poche settimane: tra le dimissioni del governo Draghi e il conseguente scioglimento delle Camere, intervenuti entrambi il 21 luglio 2022, e le elezioni, svoltesi il 25 settembre 2022, sono trascorsi poco più di due mesi (incluso il mese di agosto, in cui l’attività politica e istituzionale subisce un inevitabile rallentamento).

 

La coda della legislatura ha presentato numerosi profili di interesse: nelle settimane immediatamente successive allo scioglimento, il Parlamento ha vissuto una fase di attività particolarmente intensa e produttiva, approvando una serie di provvedimenti di notevole rilievo. Altri ne sono stati esaminati, e licenziati, tra gli ultimi giorni di agosto e i primi di settembre.

Gli effetti negativi sull’attività legislativa di una crisi e di uno scioglimento imprevisti – anche se non del tutto imprevedibili, all’indomani dell’esito delle elezioni comunali del giugno 2022 – sono stati così attenuati e si sono potute approvare alcune leggi indispensabili per conseguire milestone del PNRR e per adempiere a obblighi costituzionali o europei: si pensi alla legge per il mercato e la concorrenza (Legge 5 agosto 2022, n. 118); alla riforma della giustizia tributaria (Legge 31 agosto 2022, n. 130); al riordino degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico-IRCSS (Legge 3 agosto 2022, n. 129); alla legge di delegazione europea 2021 (Legge 4 agosto 2022, n. 127); alle leggi di approvazione di rendiconto e assestamento (Leggi 5 agosto 2022, nn. 110 e 111); e, infine, alla ratifica dell’allargamento della NATO a Finlandia e Svezia (Legge 5 agosto 2022, n. 112).

Dopo lo scioglimento hanno avuto persino luogo l’approvazione di una ampia riforma del regolamento del Senato (su cui si tornerà infra) e, soprattutto, la quarta (ed ultima) lettura, alla Camera, di una legge di revisione costituzionale: la “Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità”. Non essendo stato raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti della Camera, c’è stato bisogno di attendere i tre mesi richiesti dall’art. 138 Cost. affinché, in assenza di richieste di referendum, il testo approvato divenisse la legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2, entrata in vigore il 30 novembre 2022. Ultima, delle quattro revisioni costituzionali “puntuali” approvate negli ultimi due anni della XVIII legislatura, con le quali si sono emendati, con micro-interventi, articoli di tutte e tre le parti di cui si compone la nostra carta costituzionale (artt. 9, 41, 56, 57, 58, 59 e 119 Cost.).

In parallelo, anche il Governo Draghi ha tutt’altro che rallentato la sua produzione normativa, sia elaborando e trasmettendo alle Camere disegni di legge e schemi di decreti legislativi (tra cui quelli necessari all’attuazione della riforma della giustizia, in materia civile e penale) e di regolamenti, sia adottando tre decreti-legge (il 9 agosto, il 23 settembre e il 20 ottobre: quest’ultimo, dunque, due giorni prima del giuramento del nuovo Governo Meloni).

2. Un’attività così intensa è stata resa possibile da una direttiva del Presidente del Consiglio sui c.d. “affari correnti” e da speech dei due Presidenti di Camera e Senato, i quali, in linea con un’indicazione fornita dal Presidente della Repubblica all’atto dello scioglimento, hanno interpretato in chiave estensiva i poteri – rispettivamente – di Governo e Parlamento.

Vengono qui in rilievo, in particolare, gli speech del Presidente della Camera Fico in apertura della seduta del 22 luglio 2022 (in cui, riguardo all’attività legislativa, si è consentito l’esame, a Camere sciolte, degli “atti dovuti in quanto legati all'attuazione di obblighi o impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione europea”) e quello della Presidente del Senato Alberti Casellati nella seduta del 27 luglio 2022 (in cui si è avvertito che l’attività legislativa sarebbe stata “limitata all'esame di atti dovuti, quali i disegni di legge di conversione dei decreti-legge e gli atti urgenti connessi ad adempimenti internazionali e comunitari, come gli atti di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”). In quest’ultimo speech si riscontra invero un elemento di novità, essendosi consentita l’approvazione di progetti di legge su cui si fosse registrata (non l’unanimità, bensì) “un ampio consenso” (la valutazione sull’ampiezza di tale consenso essendo evidentemente rimessa al Presidente di Assemblea, tendenzialmente in esito ad un confronto in seno alla Conferenza dei capigruppo).

Contrariamente al pericolo di paralisi dell’attività legislativa che alcuni (tra cui S. Ceccanti, nella sua intervista a E.M. Colombo sul Quotidiano nazionale, 23 luglio 2022) avevano paventato, perciò, il Parlamento, pur nell’impossibilità per il Governo di fare ricorso alla questione di fiducia, è riuscito a portare a termine importanti e spesso controversi testi legislativi. Un risultato che è legato alla contingenza di cui si diceva, ma che deve far riflettere, più in generale, circa la possibilità, con le regole attualmente vigenti, di svolgere efficacemente il lavoro parlamentare anche senza bisogno di ricorrere a quelle scorciatoie procedurali che ormai – come si è più volte avuto modo di evidenziare – finiscono per far comodo un po’ a tutti, ma che danneggiano gravemente l’ordinato sviluppo dei processi decisionali, in Parlamento e non solo.

Certo, la contingenza politica ha pesato non poco. In particolare, ha aiutato il fatto che il Governo Draghi, diversamente dai precedenti “governi tecnici” (si pensi soprattutto ai casi dei Governi Dini e Monti, Presidenti del Consiglio entrambi a capo di movimenti politici presentatisi alle elezioni immediatamente successive), si sia mantenuto al di fuori della contesa elettorale e abbia conservato fino in fondo la sua natura originaria di “governo tecnico” (N. Lupo, Ancora sui “governi tecnici”, alla luce della formazione del governo Draghi, in Rassegna parlamentare, 2021, n. 3), senza mai essere stato espressamente sfiduciato (cfr. P. Armaroli, Le anomalie di una crisi di Governo, in Nomos-Le attualità nel diritto, 2022, n. 2). Questo ha agevolato un atteggiamento positivo da parte delle forze politiche: non solo di quelle appartenenti all’ampia (ex) maggioranza – alcune delle quali, con la decisione di astenersi su una votazione di carattere fiduciario in Senato, il 20 luglio 2022, hanno determinato la conferma delle dimissioni del Presidente del Consiglio – ma anche del principale gruppo di opposizione. Tutte unite, in questa delicata fase e sotto gli auspici del Presidente della Repubblica, nel voler tener fede agli impegni già assunti dallo Stato italiano e nel non rallentare in nessun modo l’attuazione del PNRR, oltre che nel fronteggiare gli effetti derivanti dalla guerra in Ucraina e della crisi energetica.

3. La drastica riduzione di deputati e senatori derivante dalla legge costituzionale n. 1 del 2020 ha comportato una discontinuità tra la XVIII e la XIX legislatura ancora maggiore di quella che di solito si verifica tra una legislatura e l’altra. Una discontinuità che pare peraltro, almeno finora, più significativa sul piano della diminuzione del personale politico che su quello del mutamento istituzionale.

All’indomani della conferma referendaria del settembre 2020 della revisione costituzionale sulla riduzione di deputati e senatori, avventa con un risultato schiacciante (cfr. N. Lupo, Il dopo-referendum. Una micro-revisione costituzionale da rispettare e da attuare, in Il Mulino, 2020, n. 6; e E. Rossi, L’esito del referendum costituzionale del 2020, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2020, n. 4), sarebbe stato lecito attendersi una decisa ripresa del percorso di modernizzazione dei due rami del Parlamento. Auspicabilmente anche nella logica, incoraggiata, per un verso, dalla lettura che la Corte costituzionale (specie nel monito finale della sentenza n. 35 del 2017) ha dato del bicameralismo paritario dopo l’esito negativo del referendum costituzionale del 2016 e, per altro verso, dalla sostanziale omologazione dei sistemi elettorali di Camera e Senato avvenuta con la legge n. 165 del 2017, dell’armonizzazione e dell’introduzione di maggiori sinergie tra i due rami del Parlamento. Magari anche approfittando delle opportunità offerte dai processi di digitalizzazione, che per effetto della pandemia del Covid-19 hanno registrato una brusca accelerazione, e di una rinnovata attenzione della dottrina costituzionalistica ai procedimenti parlamentari e ai valori fondamentali che essi tutelano (si vedano almeno il Quaderno 2021 de Il Filangieri, A cinquant’anni dai Regolamenti parlamentari del 1971: trasformazioni e prospettive, e il fascicolo n. 3/2021 di Quaderni costituzionali, dedicato al “giusto procedimento legislativo”, oltre a A. Manzella, Elogio dell'Assemblea, tuttavia, Mucchi, Modena, 2020; G.L. Conti, Temeraria è l'inerzia. Il taglio dei parlamentari e le sue conseguenze, Pisa University Press, Pisa, 2021, e V. Pupo, Riduzione dei parlamentari e modifica dei regolamenti delle Camere, Jovene, Napoli, 2021).

Al contrario, il percorso di innovazione dei regolamenti di Camera e Senato si è trascinato piuttosto stancamente, e con approccio prevalentemente “al ribasso”, nelle sedute delle Giunte per il regolamento svoltesi negli ultimi due anni della legislatura, ed è pervenuto a un esito positivo, all’indomani dello scioglimento, esclusivamente presso il Senato: al ramo del Parlamento che, invero, già aveva avuto modo di rivedere, anche abbastanza in profondità, le sue regole di funzionamento negli ultimi giorni della XVII legislatura.

In un Senato ora formato da 200 senatori elettivi (oltre ai senatori a vita) si è proceduto ad una riduzione a 10 delle commissioni permanenti, ad un abbassamento a 6 senatori (a 9 nel corso della legislatura) della soglia numerica per formare un gruppo parlamentare (con la contestuale introduzione delle componenti politiche del gruppo misto e dei senatori elettivi “non iscritti”), ma anche all’introduzione di un Comitato per la legislazione (in analogia all’organo operante alla Camera dal 1998, seppure con qualche diversità nelle rispettive attribuzioni) e a una nuova disciplina “anti-transfughismo”: essendosi dovuto sostanzialmente prendere atto del fallimento di quella dettata meno di cinque anni prima (oggetto di un’interpretazione lasca e mai espressamente giustificata, a partire dalla formazione, nel settembre 2019, del gruppo di “Italia Viva-PSI”: cfr., per tutti, E. Griglio, Il rapporto tra gruppi, partiti e singoli eletti nel nuovo regolamento del Senato. Spunti di riflessione a margine dell’esperienza comparata, in Federalismi.it, 2022, n. 30).

Nulla di tutto ciò è successo alla Camera, ove pure si erano registrati (faticosi) tentativi volti a costruire un percorso di riforma regolamentare e persino, nelle parole usate dal Presidente Fico nella seduta della Giunta per il regolamento del 4 marzo 2020, ad avviare una “riflessione complessiva sulle modalità di lavoro degli organi parlamentari e sulle relative procedure”, da svolgere appunto alla luce della riduzione di deputati e senatori. Tentativi però che non hanno trovato un adeguato consenso per giungere a conclusione entro la fine della XVIII legislatura.

4. Dunque, all’inizio della XIX legislatura, la Camera si è trovata a dover applicare un regolamento rimasto sostanzialmente immutato da oltre un ventennio e per più parti ormai obsoleto. E si è guardata bene dal ridurre il numero delle commissioni permanenti, forse per paura di rinunciare a qualche posizione di presidente, utile per accontentare deputati di rilievo: per di più con l’elezione di 14 presidenti di commissione tutti uomini, con una scelta evidentemente per più profili poco difendibile davanti all’opinione pubblica. Non sarebbe stato impossibile ridurre a 10 il numero delle commissioni permanenti anche in questo ramo del Parlamento, con una minima novella regolamentare, eventualmente prorogando di una o due settimane l’attività della commissione speciale, costituitasi come di consueto per assicurare il tempestivo esame dei disegni di legge di conversione e degli atti del Governo. Ad ogni modo, l’effetto sistemico è stato quello di introdurre rilevantissime disparità nella ripartizione delle materie – e dunque nell’aggregazione degli interessi – tra Camera e Senato: così dando origine, con ogni probabilità, ad asimmetrie che renderanno più arduo il cammino dei progetti di legge, specie laddove non si faccia ricorso alle consuete scorciatoie procedurali.

Nel medesimo spirito continuista, la Giunta per il regolamento della Camera ha prontamente re-interpretato i requisiti per la costituzione dei gruppi c.d. “in deroga” – requisiti rimasti incredibilmente inalterati nel disposto dell’art. 14, comma 2, del regolamento dal 1971, ben prima dell’approvazione della legge elettorale maggioritaria del 1993 (il c.d. Mattarellum) – in modo da consentire la formazione di gruppi con meno di 20 deputati (e invero anche di 10 deputati, ossia della soglia minima richiesta per formare una componente politica del gruppo misto), anche a forze politiche rimaste al di sotto delle soglie di sbarramento (non solo di quella del 3%, ma pure di quella dell’1%).

Un gruppo può infatti costituirsi anche nel caso in cui “rappresenti una forza politica organizzata nel Paese, evidentemente riconoscibile al momento delle elezioni e non costituita successivamente ad esse, la quale – pur non avendo raggiunto la soglia per l’accesso alla ripartizione proporzionale dei seggi sul territorio nazionale, avendovi comunque presentato proprie liste con lo stesso contrassegno in almeno venti circoscrizioni – abbia conseguito almeno un eletto in un collegio uninominale, purché univocamente riconducibile, al momento della consultazione elettorale, alla medesima forza politica”. Con la precisazione ulteriore che “tale riconducibilità ricorre sia quando si tratti di un eletto nel collegio uninominale candidato dalla suddetta forza politica non coalizzata, sia quando si tratti di un eletto nel collegio uninominale candidato da più forze politiche unite in coalizione, il quale figuri anche nelle liste di candidati per la parte proporzionale presentate dalla forza politica che il Gruppo intende rappresentare” (i virgolettati sono tratti dal parere della Giunta per il regolamento del 26 ottobre 2022; i corsivi sono, evidentemente, aggiunti).

In forza di questi criteri sono stati appunto autorizzati, alla Camera, i gruppi di “Alleanza Verdi e Sinistra” e “Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, Udc, Italia al Centro)-Maie”. Al Senato, invece, “Alleanza Verdi e Sinistra” è solo una componente del gruppo misto, il gruppo “Noi Moderati” ha potuto costituirsi grazie al prestito di un paio di senatori (cfr. L. Bartolucci, Le nuove Camere alla sfida delle “asimmetrie” su gruppi e commissioni parlamentari, Luiss School of Government Policy Brief, 2022, n. 25), mentre, come già nella passata legislatura, si è formato un gruppo rappresentativo delle autonomie, in applicazione dell’art. 14, comma 8, del regolamento, denominato “Per le Autonomie (SVP-Patt, Campobase, Sud Chiama Nord)”

5. Una volta formatisi i gruppi (anche quelli “in deroga”) e le 14 commissioni permanenti, la Camera ha riaperto il cantiere delle riforme regolamentari, delineando un intervento in due tappe. La prima, consistente quasi esclusivamente in una serie di mutamenti numerici (e nell’abrogazione di quattro disposizioni procedurali considerate come “superate” o “desuete”), è stata definita dalla Giunta per il regolamento nella seduta del 23 novembre ed approvata dalla Camera il 30 novembre 2022 (doc. II, n. 5; relatori gli onn. Fornaro e Iezzi): tra l’altro, con modifiche destinate ad entrare in vigore solo a partire dalla prossima legislatura, si sono ridotte a 14 deputati la soglia ordinaria per costituire un gruppo e a 7 deputati quella per formare una componente politica del gruppo misto, e si sono diminuiti i componenti delle Giunte per le elezioni (20) e per le autorizzazioni (15). La seconda, volta invece a dare “maggiore coerenza e razionalità al Regolamento della Camera, specialmente sul versante della disciplina dello svolgimento dei lavori dell’Assemblea” (per usare le parole del Presidente Fontana nella medesima seduta della Giunta), da realizzare più avanti, nel corso della legislatura.

Ovviamente, vedremo cosa accadrà. Certo, duole constatare che la finestra di opportunità – e di discontinuità – che si era aperta per effetto della riduzione dei parlamentari non sia stata colta appieno e che Camera e Senato continuino ad agire, in proposito, senza pressoché alcun coordinamento, anziché cercare di muoversi in modo unitario a tutela di un ruolo, quello del Parlamento, già da tempo in declino e che ha subìto ulteriori colpi per effetto delle prassi invalse durante la pandemia. Un’esperienza, quest’ultima, che peraltro ha fatto avvertire all’opinione pubblica at large l’importanza del coinvolgimento delle Camere, con le connesse garanzie in termini di trasparenza e coinvolgimento delle opposizioni, ogniqualvolta siano in gioco restrizioni delle libertà fondamentali.

L’auspicio è che nella legislatura che si è appena iniziata si possa fare leva su questa consapevolezza, e si ridisegnino, anche grazie alle potenzialità offerte dalla digitalizzazione, procedimenti e strumenti parlamentari idonei a garantire una dialettica politica – e, più in generale, una dinamica democratica – che si muova in coerenza con i tanti (e preziosi) vincoli che ci derivano dalla Costituzione e dai Trattati europei, ormai per larga parte esplicitati e attualizzati nel nuovo “metodo di governo” delineato dal PNRR e sperimentato nel passaggio tra la XVIII e la XIX legislatura


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