Fonti dell'Unione europea

La risoluzione del 22 novembre 2023 del Parlamento europeo sui progetti di modifica dei Trattati nel contesto delle prospettive di riforma dell’Unione (3/2023)

Il 22 novembre 2023 il Parlamento europeo (PE) ha approvato a maggioranza una risoluzione con cui l'istituzione che rappresenta i cittadini dell’Unione esercita il potere ad essa conferito dall’art. 48.2 TUE di sottoporre al Consiglio progetti di revisione ordinaria dei Trattati. Alla risoluzione è allegato un articolato progetto che delinea una riforma organica dei Trattati. Il voto ha tuttavia denotato una spaccatura in seno all’istituzione proponente. Questo dato, unito alla complessità della procedura di revisione ordinaria e all’imminente termine della legislatura, getta qualche ombra sul futuro dell’iniziativa. A ciò si aggiunge la volontà, chiaramente emersa dalla riunione del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2023, di riformare l’Unione nella prospettiva del suo allargamento. La proposta del Parlamento europeo sembra quindi destinata a confrontarsi con una visione della riforma dell’Unione che si rende necessaria, in primis, per ragioni geo-politiche, piuttosto che per raggiungere un grado ulteriore di approfondimento del processo di integrazione europea, nel solco della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

 

Il 22 novembre 2023 la plenaria del Parlamento europeo (PE) ha approvato una risoluzione[1] con la quale ha invitato il Consiglio a presentare al Consiglio europeo un progetto di riforma organica dei Trattati, affinché quest’ultima istituzione dia formalmente avvio alla procedura di revisione ordinaria disciplinata ai paragrafi da 2 a 5 dell’art. 48 TUE[2]. Quest’ultimo, al par. 2, stabilisce infatti che “[il] governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i Trattati”. I passaggi successivi della complessa procedura prevedono che tali progetti siano “trasmessi dal Consiglio al Consiglio europeo” (ibid.), che può decidere, a maggioranza semplice, di avviare formalmente l’iter di revisione; in questo caso il suo presidente convocherà “una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione” (art. 48.3 TUE). La convenzione ha il compito di esaminare i progetti di modifica e di adottare per consenso una raccomandazione alla conferenza intergovernativa, che sarà successivamente convocata dal presidente del Consiglio “allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati” (art. 48.4 TUE); tali modifiche entrano in vigore solo a seguito della ratifica da parte di tutti gli Stati membri, conformemente alle proprie norme costituzionali (ibid.). La fase della convenzione può tuttavia essere saltata qualora l’entità delle modifiche proposte non giustifichi tale passaggio (art. 48.3 TUE).

Il progetto di modifica allegato alla risoluzione del PE è stato elaborato dalla commissione affari costituzionali (AFCO) del PE[3] e consta di 244 emendamenti al TUE e al TFUE - che toccano numerosi aspetti dell’assetto istituzionale e finanche costituzionale dell’Unione, relativi ai processi decisionali, alle istituzioni e ai rapporti tra queste, e al quadro delle competenze - e di un emendamento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Molteplici sono le ragioni che, ad avviso del PE, rendono ormai necessaria una profonda modifica del diritto primario, ossia: rafforzare la capacità di azione, la legittimità democratica e l'assunzione di responsabilità dell’Unione; consentire all’organizzazione di far fronte più efficacemente alle sfide geopolitiche; adeguare il quadro istituzionale e i processi istituzionali alle esigenze collegate alla prospettiva di futuri allargamenti; dare seguito agli esiti della Conferenza sul futuro dell'Europa (CoFE), che si è conclusa il 9 maggio 2022 e dalla quale sono scaturite varie proposte che possono essere attuate solo attraverso una revisione formale dei Trattati[4].

Il collegamento tra la CoFE e l’iniziativa in questione del PE è in effetti strettissimo. Già pochi giorni prima della conclusione ufficiale dei lavori della Conferenza, il PE aveva adottato una risoluzione nella quale riconosceva che le conclusioni della CoFE ponevano l’esigenza di una modifica dei trattati e, pertanto, chiedeva la convocazione di una convenzione ai sensi dell’art. 48.3 TUE, invitando al contempo la propria commissione AFCO a elaborare le necessarie proposte di modifica[5]. Inoltre, a un mese esatto di distanza dalla chiusura dei lavori della Conferenza, il PE aveva adottato una nuova risoluzione con la quale chiedeva al Consiglio di sottoporre “direttamente” al Consiglio europeo (ovvero, senza votazione: su questo aspetto, cfr. infra) alcune proposte di modifica dei Trattati, talune formulate in termini più generali, altre già presentate come concreti emendamenti a specifici articoli[6].

Rispetto a quest’ultima, la risoluzione del 22 novembre presenta un maggiore grado di dettaglio, essendo corredata, come anticipato, da un allegato nel quale tutte le proposte (rectius, progetti) di modifica sono formulate direttamente come emendamenti alla disciplina esistente.

Il voto della plenaria ha invero evidenziato l’assenza di una maggioranza forte a sostegno dell’iniziativa. Il progetto della commissione AFCO è stato approvato con 305 voti a favore, 276 contro, e 29 astensioni; la risoluzione con 291 voti a favore, 274 contro e 44 astensioni. Se si considera che i gruppi dei 5 co-rapporteurs (Guy Verhofstadt, Renew Europe; Sven Simon, EPP; Gabriel Bischoff, S&D; Daniel Freund, Greens/EFA; Helmut Scholz, The Left) rappresentano circa 440 seggi, ben si comprende che visioni diverse esistono non solo nell’emiciclo ma anche all’interno degli stessi gruppi proponenti (e, in particolare, del PPE). L’assenza di una maggioranza ampia e le divergenze intra-gruppi gettano qualche ombra sul futuro dell’iniziativa, che davanti a sé ha una strada tutt’altro che in discesa, alla luce della procedura delineata dall’art. 48 TUE.

Ciò emerge già dall’immediato seguito dato alla risoluzione. Come anticipato, l’art. 48.2 TUE prevede che il soggetto proponente sottoponga il progetto di modifica al Consiglio, il quale lo “trasmette” al Consiglio europeo e lo notifica ai parlamenti nazionali. Nella risoluzione del 22 novembre, il PE ha chiesto al Consiglio di presentare al Consiglio europeo “immediatamente e senza alcuna deliberazione” le proposte allegate alla sua risoluzione (richiesta che, tra l’altro, rispecchia una delle modifiche formulate: cfr. emendamento 61). In una dichiarazione ai giornalisti dopo il voto in plenaria, il co-rapporteur di Renew Europe, Guy Verhofstadt ha fatto riferimento all’intenzione della presidenza spagnola, espressa dal rappresentante del Consiglio durante la discussione, “di mettere la proposta di riforma dei Trattati all’ordine del giorno del Consiglio affari generali già il 12 dicembre”[7]. Ciò avrebbe consentito di inserire la questione all’ordine del giorno del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre. Questo non è tuttavia accaduto e l’iniziativa, discussa in seno al Coreper il 6.12.2023, è stata messa all’ordine del giorno del Consiglio ambiente del 18 dicembre (tra i punti “A”, per i quali non è necessaria la discussione)[8].

Al momento in cui si scrive le informazioni ufficiali circa gli esiti di quest’ultima riunione non fanno riferimento alcuno al punto relativo all’iniziativa del PE. Solo da un’agenzia di stampa si apprende che “the EU Council agreed to forward the MEPs’ request to convene a convention to reform the European treaties based on Article 48 of the EU Treaty, to the European Council. It will therefore be up to the Belgian Presidency of the EU Council, which begins on 1 January, to invite the President of the European Council, Charles Michel, to put the issue of treaty revision on the agenda of a European summit”[9].

L’interpretazione della parte dell’art. 48.2 TUE che fa riferimento alla trasmissione del progetto al Consiglio europeo da parte del Consiglio non sembra pacifica. L’espressione utilizzata - “tali progetti [di modifica] sono trasmessi dal Consiglio al Consiglio europeo e notificati ai parlamenti nazionali” - e l’assenza dell’indicazione di una maggioranza richiesta in Consiglio suggeriscono un ruolo puramente formale di quest’ultima istituzione, di “passacarte”. Questa è senz’altro la lettura del PE, come ben emerge dall’esplicita richiesta di una trasmissione immediata e senza previa deliberazione e dalla previsione di un progetto di modifica volto ad esplicitare questo aspetto. Tuttavia, durante i lavori della commissione AFCO, il rappresentante del Consiglio aveva sostenuto la necessità di procedere a votazione (a maggioranza, in virtù del carattere procedurale della questione)[10].

A parere di chi scrive, emerge dall’art. 48.3 TUE che la decisione in merito all’esame delle modifiche proposte spetta al Consiglio europeo e che, pertanto, il Consiglio ha l’obbligo di trasmettere il progetto di modifica[11]. Al più, la verifica che potrebbe essere svolta dal Consiglio riguarda l’effettiva esistenza di un tale progetto di modifica: si pensi, ad esempio, alla ricordata risoluzione adottata dal PE poco prima della chiusura ufficiale dei lavori della CoFE, nella quale si chiedeva l’attivazione della procedura di revisione ordinaria, senza formulare specifici progetti di modifica, ma dando al contrario incarico alla commissione AFCO di procedere alla elaborazione degli stessi[12].

La mancanza di informazioni ufficiali sul punto non consente al momento di sapere se e come la questione sia stata sciolta in seno al Consiglio ambiente del 18 dicembre. Ciò che pare abbastanza evidente è, in ogni caso, l’accoglienza fredda dell’iniziativa da parte del Consiglio. Non sembra un caso che dai documenti relativi alla riunione del 12 dicembre della formazione “Affari generali” emerga una visione molto distante da quella del PE circa la necessità di una riforma organica dei Trattati tramite procedura di revisione ordinaria per dare seguito agli esiti della CoFE. Secondo il Consiglio “la stragrande maggioranza delle proposte e delle misure scaturite dalla conferenza è stata attuata o è in fase di attuazione”; si legge altresì che l’istituzione “ha inoltre iniziato a lavorare all'attuazione delle misure della Conferenza che richiedono un miglioramento di alcuni aspetti del processo decisionale del Consiglio, e in particolare un'estensione del ricorso al voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. La maggior parte di tali misure può essere affrontata mediante le flessibilità previste dall'attuale quadro del trattato, in particolare le clausole passerella generali o specifiche”[13].

In aggiunta, in occasione della sua ultima riunione dell’anno, il 14 e 15 dicembre 2023, il Consiglio europeo si è occupato della questione della riforma dei Trattati nell’ottica dell’allargamento, come anticipato nella Dichiarazione di Granada dello scorso 6 ottobre. I leader europei hanno preso importanti decisioni sull’allargamento dell’Unione - tra cui quella di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia -, affermando, al contempo, la necessità di sforzi paralleli da parte sia degli aspiranti Stati membri sia dell’Unione, che deve intraprendere i lavori preparatori interni e le riforme necessari[14]. In particolare, nella prospettiva dell’allargamento, il successo del processo di integrazione europea esige che le politiche dell'Unione siano adeguate alle necessità del futuro e finanziate in modo sostenibile, in base ai valori su cui si fonda l'Unione, e che le istituzioni dell'UE continuino a funzionare efficacemente. Il Consiglio europeo ha prospettato l’adozione di conclusioni su una tabella di marcia sui lavori futuri relativi alle riforme interne entro l’estate 2024.

Sembra dunque inevitabile che la proposta del PE venga inglobata nel discorso - ormai all’ordine del giorno - sulle prospettive di riforma dell’Unione “nell’ottica dell’allargamento” e che, in tale contesto, essa debba confrontarsi con altre opzioni di modifica già “sui tavoli”, che presentano punti di contatto ma anche significativi profili di divergenza, non solo rispetto ai contenuti, ma anche ai metodi e alle ragioni ispiratrici[15].

Tanto premesso sulla genesi dell’iniziativa del PE e le prime fasi della suo percorso istituzionale, verranno ricordate alcune tra le più significative modifiche prospettate, senza alcuna pretesa di esaustività[16].

Senza sorpresa, emerge l’intenzione del PE di rafforzare il proprio ruolo, in particolare nei processi decisionali, ma non solo. L'istituzione proponente chiede infatti di poter stabilire la propria composizione, previa approvazione del Consiglio a maggioranza qualificata rafforzata (emendamento 23)[17]; di avere un ruolo più incisivo nella predisposizione della disciplina della elezioni europee (emendamento 178)[18]; di godere di un vero e proprio potere di iniziativa legislativa, superando l’attuale sostanziale monopolio della Commissione europea (emendamenti 189 e 211), e di poter attivare la procedura di infrazione, secondo la stessa procedura prevista per gli Stati membri (cfr. emendamenti 199-200-201).

Quanto ai processi decisionali, il PE prospetta il superamento, in molte ipotesi, dell’utilizzo della procedura legislativa speciale, a favore della procedura legislativa ordinaria e, dunque, del proprio ruolo di co-legislatore pieno al pari del Consiglio. Ciò riguarda, ad esempio: l’art. 19 TUE, che consente l’adozione di provvedimenti volti a combattere taluni tipi di discriminazione (emendamento 86; si v., altresì, l’emendamento 85, che aggiunge alla lista già esistente alcuni ulteriori motivi di discriminazione, ossia il genere, l’origine sociale, la lingua, le opinioni politiche, l’appartenenza a una minoranza nazionale); l’art. 81.3 TFUE, relativo alle misure sul diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali (emendamento 103; cfr. anche l’emendamento 105, sulla rimozione del potere di veto che attualmente consente a un solo Parlamento nazionale di bloccare “sul nascere” l’iter di adozione di tali misure); l’art. 312 TFUE, relativo al regolamento che fissa il quadro finanziario pluriennale (emendamento 228).

Parallelamente, si propone un rafforzamento del ruolo del PE nella procedura di negoziazione e conclusione degli accordi internazionali di cui all’art. 218 TFUE, introducendo come regola generale la previa approvazione, fatta eccezione per la conclusione degli accordi che riguardino esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune (emendamenti da 180 a 182).

Sempre con riguardo alle procedure decisionali, si propone il superamento sistematico del voto all’unanimità in seno al Consiglio, in favore di quello a maggioranza qualificata, e ciò anche nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune e con riguardo all’utilizzo della base giuridica residuale (o clausola di flessibilità) dell’art. 352 TFUE. Anche l’attivazione delle cd. clausole passerella di cui all’art. 48.7 TUE dovrebbe avvenire con la maggioranza qualificata in seno al Consiglio europeo, anziché all’unanimità.

Importanti modifiche riguardano la Commissione europea (ridenominata l’“Esecutivo”: cfr. emendamento 36) e ai rapporti tra questa e il PE. Si chiede, innanzitutto, di ridurre in modo significativo le dimensioni dell’istituzione, i cui membri non dovrebbero essere più di 15 e - secondo quanto già previsto dall’attuale art. 17.5 TUE, rimasto al momento “congelato”[19] - dovrebbero essere individuati secondo un sistema di rotazione rigorosamente paritaria; dovrebbero essere altresì nominati dei sottosegretari tra i cittadini degli Stati membri “che non hanno un cittadino rappresentato nel Collegio”. La terminologia della “rappresentanza” (benché riferita al cittadino e non al suo Stato membro) pare poco adeguata rispetto all’istituzione in questione. Al contempo, si deve osservare che - diversamente da quanto accadeva nella proposta della commissione AFCO - queste modifiche non risultano da specifici emendamenti (all’art. 17.5 TUE) ma solo dal testo della risoluzione[20].

Il PE chiede anche di “invertire” il proprio ruolo e quello del Consiglio europeo nella procedura di nomina del Presidente dell’Esecutivo (ridenominato “Presidente dell’Unione europea”; emendamento 41). Sarebbe, dunque, il PE a individuare - attraverso un voto a maggioranza dei membri che lo compongono - il candidato Presidente, che dovrebbe poi ottenere l’approvazione del Consiglio europeo a maggioranza qualificata. Con riguardo alla individuazione degli altri membri, la proposta prevede che l’elenco sia composto dal Presidente eletto, anziché dal Consiglio di comune accordo con quest’ultimo (ibid.). Tra i membri dell’Esecutivo, insieme al “Segretario” (non più “Alto rappresentante”) dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, viene previsto anche un “Segretario per la governance economica”; entrambi sarebbero vice-presidenti di diritto e, in caso di mozione di censura collettiva, decadrebbero dalle sole funzioni che esercitano nell’Esecutivo (emendamento 40). Si propone altresì di attribuire al Parlamento europeo il potere di votare una mozione di censura individuale, nei confronti di un singolo membro dell’Esecutivo (emendamento 42).

Alcune modifiche, ulteriori a quelle relative al PE e ai suoi rapporti con l’“Esecutivo europeo”, sono ispirate alla volontà di rafforzare la partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell’Unione, nel quadro della democrazia rappresentativa[21]. A tal fine, si domanda di inserire all’art. 10.3 TUE, dopo il riferimento al diritto di ogni cittadino di partecipare alla vita democratica dell’Unione, la previsione secondo cui “L’Unione garantisce la disponibilità di strumenti che consentono ai cittadini di esercitare [tale diritto]”, nonché di aggiungere un nuovo comma 4-bis all’art. 11 TUE in base al quale “Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare disposizioni volte a garantire il loro processo decisionale e la conformità ai principi di cui agli articoli 10 e 11”.

Il progetto della commissione AFCO conteneva invero anche un emendamento volto all’introduzione di uno strumento di partecipazione democratica diretta, il referendum europeo[22]. Lo stesso PE vi aveva fatto riferimento in una risoluzione approvata a settembre, dove veniva collegato a “questioni fondamentali che inneschino cambiamenti di paradigma nelle azioni e nelle politiche dell'Unione, come la riforma dei trattati dell'UE”[23]. Senza un’espressa previsione nel diritto primario, non sembra che lo strumento del referendum potrebbe essere introdotto utilizzando la base giuridica di cui al nuovo comma 4-bis dell’art. 11 TUE; l’art. 10.1 TUE, che non è oggetto di emendamenti, stabilisce che il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa e lo stesso PE, nella risoluzione da ultimo citata, invocava una riforma dei trattati (anche) per la previsione del referendum.

Si propone altresì di rafforzare il ruolo dei parlamenti nazionali attraverso la previsione che ciascuno di essi (o, nel caso di sistemi bicamerali, ciascuna camera) possa chiedere al PE (sul presupposto che esso diventi co-titolare dell’iniziativa legislativa) o alla Commissione di presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l'elaborazione di un atto dell'Unione ai fini dell'attuazione dei Trattati. In tal caso, l’istituzione sollecitata avrebbe l’obbligo di motivare le ragioni della mancata presentazione della proposta nei sei mesi successivi alla richiesta (emendamento 222). Poco convincente è la collocazione della nuova disposizione all’interno della disciplina sul controllo del rispetto del principio di sussidiarietà, attualmente contenuta nel Protocollo n. 2 e che il PE domanda di inserire all’interno del TFUE (emendamenti da 215 a 225). Sebbene la novità sia comunemente denominata “meccanismo del cartellino verde”, essa non sembra infatti condividere la ratio e la funzione degli attuali meccanismi del cartellino giallo e del cartellino arancione.

Tutt’altro che marginali sono poi le novità relative alle procedure di cui all’art. 7 TUE, poste a presidio dei valori fondanti dell’Unione, che si sono rivelate ampiamente inadeguate nel contesto della cd. crisi dello Stato di diritto in alcuni Stati membri dell’Est (in particolare, ma non solo, Polonia ed Ungheria). Le modifiche prospettate (emendamenti da 9 a 12), se accolte, determinerebbero un mutamento della natura stessa di tali procedure.

Nella versione vigente, l’art. 7 TUE delinea alcuni meccanismi squisitamente politici, nell’ambito dei quali la determinazione dell’esistenza del rischio di violazione dei valori fondanti, o di una violazione in atto, è rimessa alle istituzioni intergovernative (rispettivamente, il Consiglio e il Consiglio europeo) ed è subordinata a maggioranze molto gravose (la maggioranza dei quattro quinti nel Consiglio ovvero l’unanimità nel Consiglio europeo, senza diritto di voto dello Stato membro in questione). Il PE propone, innanzitutto, che il Consiglio si pronunci sull’esistenza di un rischio evidente di violazione grave dei valori a maggioranza qualificata, anziché a maggioranza dei quattro quinti, entro un termine (oggi non previsto) di 6 mesi dalla richiesta.

La proposta di modifica di maggiore “rottura” consiste, tuttavia, nell’attribuzione alla Corte di giustizia (e non più al Consiglio europeo) della competenza a determinare l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori fondanti, dopo aver sentito lo Stato membro interessato. In tal modo, la suddetta determinazione - che prelude all’adozione delle misure sanzionatorie di cui all’art. 7.3 TUE (anch’esso oggetto di modifiche: cfr. infra) - verrebbe ancorata a una valutazione prettamente giuridica piuttosto che politica, previa concretizzazione del contenuto dei valori ex art. 2 TUE. Il ricorso alla Corte potrebbe essere presentato dal Consiglio (previo voto a maggioranza qualificata[24]), dalla Commissione o dal PE (che, secondo la disciplina vigente, non può proporre al Consiglio europeo di deliberare sull’esistenza di una violazione dei valori fondanti). Se accolta, la modifica determinerebbe il superamento della natura politica dei meccanismi ex art. 7 TUE. Si tratta di un mutamento dirompente, sulla cui opportunità si può tuttavia accampare qualche dubbio. Come ben emerge dalla giurisprudenza recente, la Corte di giustizia dell’Unione europea può utilizzare l’art. 2 TUE nell’ambito delle sue competenze e dei limiti di applicazione del diritto UE (limiti che, invece, non rilevano rispetto all’art. 7 TUE). In questo contesto non sembra irragionevole né privo di utilità un sistema di tutela dei valori fondanti “a doppio binario” - giurisdizionale e politico - garantendo l’effettivo funzionamento di quest’ultimo attraverso maggioranze meno gravose.

Alla luce della prassi recente, sarebbe anche opportuno un intervento - non previsto nel progetto di modifica - sul testo dell’art. 354.1 TFUE volto a prevedere che nel calcolo del terzo degli Stati membri o della maggioranza qualificata in Consiglio non siano computati, oltre allo Stato membro in questione, eventuali altri Stati membri nei cui confronti sia richiesta o già avviata l’attivazione di una procedura ex art. 7.1 o 7.2 TUE.

Le misure conseguenti alla determinazione ex art. 7.2 rimarrebbero di competenza del Consiglio, ma gli interventi formulati dal PE rispetto al testo dell’art. 7.3 TUE vanno nel senso di limitare la discrezionalità alla scelta delle “opportune misure” e non anche all’an della loro adozione. L’attuale espressione “il Consiglio può decidere” verrebbe infatti sostituita da “ il Consiglio (...) decide entro sei mesi di adottare le opportune misure”. Anche la previsione del termine costituisce una novità.

Soprattutto, il riferimento alle “opportune misure” sembra idoneo a ricomprendere un novero di conseguenze astrattamente più ampio ed eterogeneo rispetto all’ipotesi - attualmente prevista - della sospensione di alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei Trattati. Nel testo modificato, quest’ultima indicazione compare a titolo esemplificativo, insieme alla sospensione degli impegni e dei pagamenti a titolo del bilancio dell'Unione, nonché del diritto dello Stato membro in questione di esercitare la presidenza del Consiglio.

Non sarebbe quindi più preclusa già dal tenore letterale della disposizione la possibilità di porre fine alla membership dello Stato in questione. In pratica, tuttavia, anche alla luce di quanto rilevato dalla Corte di giustizia nella sentenza Wightman[25] con riguardo al diverso contesto del recesso unilaterale, tale conseguenza potrebbe essere difficilmente riconciliata con la cittadinanza europea e con la natura anche inter-individuale dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea. Peraltro, il progetto di modifica, in modo opportuno, lascia inalterata la previsione secondo cui il Consiglio “tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche”. Inoltre, e soprattutto, anche l’art. 7 TUE partecipa all’obiettivo ultimo della creazione di una “ever closer Union”: in assenza di una chiara volontà di recesso dello Stato membro in questione, lo scopo primario delle misure sanzionatorie deve consistere nel ripristino di una situazione di osservanza dei valori fondanti.

Quanto alle competenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, oltre alla novità derivante dagli interventi sull’art. 7 TUE, il progetto prospetta due ulteriori modifiche, entrambe - astrattamente - di grande impatto.

Da un lato, si chiede di abolire il requisito dell’incidenza individuale dell’atto ai fini della legittimazione attiva delle persone fisiche e giuridiche nell’ambito del ricorso di annullamento (emendamento 205). La probabilità che questo emendamento venga accolto non è alta, per usare un eufemismo. Come noto, la stessa Corte di giustizia non ha mai mostrato un atteggiamento generoso rispetto all’interpretazione della cd. formula Plaumann, e anche la nuova ipotesi di legittimazione attiva delle persone fisiche e giuridiche introdotta con la riforma di Lisbona (quella relativa agli “atti regolamentari”) è stata oggetto di una lettura che ha limitato il potenziale di apertura della novità.

Dall’altro lato, il PE chiede che la Corte di giustizia dell’Unione europea acquisisca giurisdizione piena anche rispetto alle disposizioni e agli atti PESC (emendamenti 45 e 206). Quest’ultima proposta porta alle estreme conseguenze la tendenza alla “giurisdizionalizzazione” o “normalizzazione” della PESC gradualmente emersa nella giurisprudenza post-Lisbona. Ove accolta, determinerebbe un mutamento radicale della natura di questo settore.

Importanti modifiche vengono prospettate anche con riguardo alle competenze dell’Unione. Si propone, ad esempio, di attribuire all’Unione una competenza esclusiva in materia di ambiente e biodiversità e per i negoziati sui cambiamenti climatici (emendamento 69)[26], chiedendo al contempo di specificare - nella disposizione sugli obiettivi, l’art. 3 TUE - che lo sviluppo dell’Unione si basa (anche) “sull’attenuazione del riscaldamento globale e sulla salvaguardia della biodiversità in linea con gli accordi internazionali” (emendamento 4) e altresì di inserire un riferimento alle esigenze del clima e della biodiversità, oltre che a quelle - già menzionate - dell’ambiente nella clausola di mainstreaming di cui all’art. 11 TFUE. Altra modifica significativa - anch’essa, evidentemente, sulla scia delle sfide che l’Unione ha dovuto affrontare nel passato recentissimo o che sta attualmente affrontando - consiste nella richiesta di mutare la natura - da parallela a concorrente - delle competenze in materia di sanità pubblica, tutela e promozione della salute umana, protezione civile, industria e istruzione (emendamenti da 70 a 79). Importanti modifiche riguardano anche il settore dell’energia, con l’introduzione del riferimento - tra l’altro - alla “politica energetica comune” (emendamenti da 162 a 166). Si propone, poi, di inserire un riferimento a “affari esteri, sicurezza e difesa” nell’elenco esemplificativo delle competenze concorrenti, che supererebbe l’attuale incertezza circa la natura della competenza dell’Unione in ambito PESC (emendamento 73) Si chiede altresì di sopprimere l’attuale art. 122 TFUE (secondo cui il Consiglio può adottare misure adeguate alla situazione economica, soprattutto in caso di gravi difficoltà di approvvigionamento) e, al contempo, di sostituirlo con una clausola di emergenza che consenta al Consiglio e al Parlamento europeo, agendo congiuntamente, di dichiarare lo stato di emergenza e conferire poteri straordinari alla Commissione (emendamenti 119 e 186).

Con riguardo alla cittadinanza europea, una proposta interessante (emendamento 88) consiste nella previsione che Parlamento europeo e Consiglio possano adottare, secondo la procedura legislativa ordinaria, disposizioni comuni per impedire la vendita di passaporti o altri abusi riguardanti l'acquisizione e la perdita della cittadinanza dell'Unione da parte di cittadini di paesi terzi. Questa modifica, che trae ispirazione, in particolare, dai problemi posti dai cd. golden passport schemes, attualmente oggetto di una procedura di infrazione nei confronti di Malta[27], consentirebbe, se accolta, la possibilità di ravvicinare le condizioni di acquisto (e perdita) della cittadinanza nazionale e, dunque, della cittadinanza europea, innovando profondamente il quadro attuale. Allo stato attuale, infatti, un’incidenza sulla competenza esclusiva degli Stati membri può derivare solo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

Infine, una modifica riguarda, infine, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e consiste nella richiesta di aggiungere un comma 2 bis all’art. 3, ora rubricato “Diritto all'integrità della persona” (che diverrebbe “Diritto all'integrità della persona e all'autonomia fisica”), secondo cui “Ogni persona ha diritto all'autonomia fisica e all'accesso libero, informato, pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, come pure a tutti i servizi sanitari correlati, senza discriminazioni, compreso l'accesso all'aborto sicuro e legale.” Questa modifica, che all’apparenza tocca temi che solo incidentalmente o indirettamente possono chiamare in causa le competenze dell’Unione, deve tuttavia essere messa in relazione con un’altra proposta, che ne amplifica il significato: il PE chiede infatti l’introduzione di una competenza concorrente dell’Unione sulle “questioni in materia di sanità pubblica, specialmente la tutela e il miglioramento della salute umana, con particolare riferimento alle minacce sanitarie a carattere transfrontaliero, compreso l'accesso pieno e universale alla salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, e l'approccio "One Health"”.

 

[1] Risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 sui progetti del Parlamento europeo intesi a modificare i trattati (2022/2051(INL)).

[2] Ad oggi, questa procedura è stata utilizzata solo in un’occasione e per una modifica la cui entità ha consentito di saltare il passaggio della convocazione (su cui cfr. infra, nel testo): si v. la Decisione 2010/350/UE del 17.6.2010, in GU L 160 del 26.6.2010, relativa all’esame, da parte di una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, delle modifiche dei trattati proposte dal governo spagnolo per quanto riguarda la composizione del Parlamento europeo, senza convocazione di una convenzione.

[3] La commissione AFCO ha pubblicato il proprio rapporto sui progetti del Parlamento europeo per la modifica dei Trattati il 22.08.2023, lo ha votato il 25.10.2023 e depositato il 7.11.2023.

[4] Ibid., punti B, C, D ed E.

[5] Risoluzione del Parlamento europeo del 4 maggio 2022 sul seguito da dare alle conclusioni della Conferenza sul futuro dell'Europa (2022/2648(RSP)).

[6] Risoluzione del Parlamento europeo del 9 giugno 2022 sulla richiesta di convocare una Convenzione per la revisione dei Trattati (2022/2705(RSP)).

[7] Fonte: Euractiv Italia, Il Parlamento europeo approva la proposta per la riforma dei trattati UE, 22 novembre 2023.

[8] Qui l’elenco dei punti “A”.

[9] Fonte: Agence Europe, EU Council agrees to forward European Parliament’s request for a convention to European Council, Europe Daily Bulletin No. 13316, 19 dicembre 2023 (la stessa agenzia è riportata anche dal sito Euractiv, Trasmessa al Consiglio europeo la richiesta degli eurodeputati di convocare una convenzione sulla riforma dei trattati, 19 dicembre 2023).

[10] Lo riporta F. Martines, “Le proposte di modifica dei Trattati presentate dal Parlamento europeo”, in Adinolfi, Lazzerini, Una Unione di cittadini. La costruzione della cittadinanza europea attraverso la partecipazione e la formazione, Giappichelli (in corso di stampa).

[11] Cfr. sul punto Martines, cit., p. 77, secondo cui “un voto a sfavore della trasmissione del progetto in Consiglio bloccherebbe la procedura fin dalla fase iniziale sottraendo al Consiglio europeo la decisione se procedere o meno con il processo di riforma”.

[12] Alcuni progetti di modifica erano invece contenuti nella risoluzione del PE del 9 giugno, cit.: nel senso che il Consiglio, non procedendo alla trasmissione al Consiglio europeo, è venuto meno a un proprio obbligo, si v., ad esempio, A. Duff, “Five Surgical Strikes on the Treaties of the European Union”, European Papers, Vol. 8, 2023, No 1, European Forum, Insight of 11 April 2023, pp. 9-17.

[13] Nota relativa alla Valutazione delle proposte e delle misure contenute nella relazione finale della Conferenza, 7 dicembre 2023.

[14] Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo del 14 e 15 gennaio 2023, in particolare punti da 13 a 18.

[15] Un documento di poco successivo al rapporto della commissione AFCO che pare destinato ad avere un rilievo nella discussione è il Report of the Franco-German working group on EU institutional reform, Sailing on High Seas: Reforming and Enlarging the EU for the 21st Century (18 settembre 2023), cd. rapporto franco-tedesco, elaborato su iniziativa dei governi francese e tedesco da 12 esperti indipendenti.

[16] Per un più approfondito commento, si v. il testo già citato di Martines.

[17] Allo stato attuale, il PE sottopone una proposta relativa alla propria composizione al Consiglio europeo, che adotta la relativa decisione all’unanimità, previa approvazione del PE: cfr. art. 14.2, seconda parte, TUE

[18] Secondo il testo vigente dell’art. 223.1 TFUE, il Consiglio delibera all’unanimità su una proposta (rectius, progetto) del PE e previa approvazione di questo. Il progetto di modifica prevede che il PE elabori una proposta di regolamento, che il Consiglio può respingere a maggioranza qualificata e che può altrimenti essere adottato dal PE, previa approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio.

[19] Il riferimento è all’art. 17.5 TUE, secondo cui: “A decorrere dal 1° novembre 2014, la Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità, non decida di modificare tale numero. I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in base ad un sistema di rotazione assolutamente paritaria tra gli Stati membri che consenta di riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri”. L’operatività della prevista riduzione dei membri della Commissione è stata tuttavia preclusa dalla decisione del Consiglio europeo del 22 maggio 2013 relativa al numero dei membri della Commissione europea (2013/272/UE), parte integrante delle “garanzie giuridiche” accordate all’Irlanda nella riunione del Consiglio europeo dell’11 e 12 dicembre 2008, a seguito dell’esito negativo del (primo) referendum sul Trattato di Lisbona in quello Stato membro.

[20] Cfr. il punto 7 della risoluzione del 22 novembre 2023.

[21] Ibid., punto 12.

[22] L’emendamento 20 del della commissione AFCO, volto a introdurre un nuovo comma 4-ter all’art. 11 TUE, del seguente tenore: “Il Parlamento europeo, a maggioranza dei membri che lo compongono, può presentare al Consiglio europeo una proposta di referendum europeo. La proposta di referendum europeo è conforme ai valori europei di cui all'art. 2. Se il Consiglio europeo adotta a maggioranza una decisione a favore del referendum proposto, la Commissione ne organizza uno. Tutti i referendum europei sono organizzati nello stesso giorno in tutta l'Unione. Il referendum si considera approvato se la maggioranza degli elettori a livello dell'UE, e a livello nazionale nella maggioranza degli Stati membri, vota a favore”.

[23] Risoluzione del Parlamento europeo del 14 settembre 2023 sul parlamentarismo, la cittadinanza europea e la democrazia (2023/2017(INI)), punti U e 30.

[24] Scompare la possibilità che la procedura venga attivata su richiesta di un terzo degli Stati membri, sostituita dal voto a maggioranza qualificata nel Consiglio. Tale modifica appare prima facie poco coerente con il tenore generale delle novità proposte, che mirano a favorire il funzionamento dell’art. 7 TUE.

[25] Cfr. Sentenza della Corte (Seduta plenaria) del 10 dicembre 2018, causa C-621/18, Andy Wightman e a. contro Secretary of State for Exiting the European Union, ECLI:EU:C:2018:999, punto 64.

[26] Il riferimento alla proposta di istituire una competenza esclusiva (anche interna) per l’ambiente e la biodiversità emerge dal punto 13 della risoluzione del 22 novembre, ma non anche da un emendamento (all’art. 3.1 TFUE), come invece era previsto nel progetto della commissione AFCO. Si vedano tuttavia le modifiche proposte alle attuali disposizioni del TFUE in materia di ambiente: emendamenti da 155 a 161.

[27] Informazioni disponibili al link https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_22_2068.

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