Fonti delle Regioni ordinarie

L’attività istruttoria del Governo nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi regionali: la nuova “direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2023” (3/2023)

La recente “direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 ottobre 2023” si occupa della razionalizzazione dell’attività istruttoria del Governo in materia di «esame delle leggi delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e delle questioni di legittimità costituzionale» ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.

Tale direttiva è stata adottata su proposta dell’attuale Ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli e costituisce un ulteriore e terzo intervento, in materia di controllo di costituzionalità delle leggi regionali, dopo quello realizzato dalla cd. «prassi Bassanini» (1997), sotto l’originario regime di controllo preventivo statale, e dalla cd. «direttiva Lanzillotta» (2006), in vigenza del riformato Titolo V.

 

Difatti, l’adozione della recente direttiva si è resa necessaria «considerati gli effetti positivi manifestati dalle forme di collaborazione già intraprese in passato con le Regioni e le Province autonome per circoscrivere, in particolare, i casi di ricorso in via principale del Governo avverso leggi regionali e provinciali».

Pertanto, la nuova direttiva si segnala per l’introduzione di un iter processuale contenente specifiche «previsioni» e «tempistiche» volte al raggiungimento di un duplice obiettivo: da un lato, l’atto mira ad assicurare «un efficace esercizio delle attribuzioni costituzionali del Consiglio dei ministri» e, dall’altro, a creare condizioni per avviare un confronto politico tra i due livelli di governo e sciogliere i dubbi di incostituzionalità delle leggi regionali, attraverso «forme di coordinamento tra lo Stato e la Regione».

La direttiva prevede così che le leggi regionali non appena pubblicate nei Bollettini Ufficiali delle Regioni siano trasmesse «senza indugio» dal Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie (d’ora in poi “Dipartimento”) «a tutti gli uffici e settori legislativi dei rispettivi Ministri» per le valutazioni di loro competenza; inoltre, ogni Ministero è invitato ad individuare un referente unico col compito di interloquire con gli uffici del Dipartimento nella fase istruttoria e in quella di negoziazione delle possibili modifiche alle leggi regionali (p. 3, l. a)).

Successivamente all’inoltro della legge da parte del Dipartimento, si prevede che i Ministeri competenti trasmettano «apposite note recanti i propri pareri» sull’incostituzionalità o meno delle leggi regionali entro trenta giorni dalla loro pubblicazione o entro il diverso termine indicato dal Dipartimento in sede di trasmissione del testo. Il mancato riscontro ministeriale è equiparato poi ad «assenza di osservazioni da parte delle amministrazioni interpellate» (p. 3, l. b)).

Più in particolare, la direttiva prescrive che le note predette debbano essere dotate del carattere della “autosufficienza” e contenere una «indicazione espressa, esaustiva e circostanziata» della disposizione regionale esaminata, di quella costituzionale o di quella interposta che si assume lesa e «un’adeguata, puntuale, ma sintetica argomentazione di merito». Pertanto, si sottolinea come si debbano evitare considerazioni apodittiche, di «opportunità politica» e riferimenti a norme statali inidonee a porsi a parametro di costituzionalità (p. 4, l. a)).

La direttiva dispone inoltre che, «ove possibile», i pareri ministeriali debbano individuare anche «soluzioni legislative idonee a fare venire meno le censure di costituzionalità», al fine di consentire al Governo il confronto con la Regione interessata «nel modo più celere ed efficace» (p. 4, l. b)).

Difatti, si prescrive che qualora i pareri rilevino aspetti di incostituzionalità nelle leggi regionali, il Dipartimento avvia «con massima tempestività» il confronto con le Regioni interessate e valuta le eventuali controdeduzioni di queste ultime con gli altri Ministeri; infine, si dispone che sia sempre il Dipartimento a comunicare «tempestivamente» all’Avvocatura generale dello Stato le disposizioni oggetto di possibile impugnazione (p. 3, l. c)).

In ossequio al primo obiettivo sopra riportato, diretto ad assicurare «un efficace esercizio delle attribuzioni costituzionali del Consiglio dei ministri», la direttiva stabilisce che ogni proposta di impugnazione o di non impugnazione debba essere sottoposta all’esame del Consiglio dei ministri «di norma almeno sette giorni prima della scadenza del termine di cui all’art. 127 della Costituzione»; tuttavia, la proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie deve essere inviata comunque il giorno precedente alla riunione del Consiglio stesso.

Tale previsione è stata inserita probabilmente per scongiurare l’invio dei pareri ministeriali a ridosso dello svolgimento del Consiglio dei ministri e consentire a quest’ultimo di elaborare con maggiore ponderazione la decisione relativa all’impugnazione o meno della legge regionale.

All’esame dello stesso Consiglio dei ministri è sottoposto anche il cd. “impegno” diretto a modificare, sostituire o abrogare la legge esaminata ed assunto di norma dal Presidente della Giunta regionale nei confronti del Governo (p. 3, l. e)).

Difatti, al fine di conseguire il secondo obiettivo già illustrato, diretto ad avviare un confronto politico tra i due livelli di governo, la direttiva prevede che l’assunzione dell’impegno renda irrilevante l’impugnazione statale della legge regionale. Tuttavia, si specifica che l’adozione di tale strumento segue alla «impraticabilità di altre soluzioni», quali interpretazioni costituzionalmente conformi, circolari interpretative della legge regionale e prevalenza di disposizioni europee. Inoltre, la direttiva specifica che le amministrazioni statali continueranno ad accettare impegni sottoscritti dai Presidenti di Giunta regionale, nell’attesa di un accordo sulle sue modalità di assunzione in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome.

Da tali passaggi risulta evidente come la direttiva avalli la prassi della cd. «contrattazione di legittimità»[1], secondo la quale il contenuto della legge regionale, nello schema di controllo statale ex art. 127 Cost., è talvolta oggetto di accordo tra i due livelli di governo al fine di evitare l’impugnazione statale dinanzi alla Corte costituzionale.

Già lo stesso Dipartimento, esattamente dieci anni fa, si rese testimone dell’esistenza di tale «contrattazione» nelle dinamiche dell’attuale giudizio in via principale tra i due livelli di governo[2]. Tuttavia, è la stessa direttiva a riconoscere, ora e in modo esplicito, come in molte occasioni le Regioni abbiano modificato le disposizioni non solo «per spontanea iniziativa, ma anche, molto spesso, all’esito di negoziazioni tra lo Stato e la Regione o la Provincia autonoma interessata», in ossequio al principio di leale collaborazione tra i due livelli di governo.

Inoltre, la direttiva prevede anche il «monitoraggio» degli impegni regionali da parte del Dipartimento., attraverso la richiesta alle Regioni di aggiornamenti sullo stato di avanzamento delle modifiche; inoltre, sulla base dei dati raccolti si prescrive che «con cadenza semestrale» il Ministro per gli affari regionali e le autonomie riferisce al Consiglio dei ministri «sullo stato di attuazione» degli stessi impegni (p. 5).

Infine, la direttiva si segnala anche per la procedimentalizzazione delle ipotesi in cui le modifiche regionali riguardino disposizioni già impugnate dal Governo e, pertanto, siano apportate in pendenza di giudizio. In tali casi, che conducono la Corte costituzionale a dichiarare la cessazione della materia del contendere o l’estinzione del giudizio[3], il Dipartimento chiede alla Regione una dichiarazione sulla mancata applicazione medio tempore della normativa impugnata e ai Ministeri di settore – «con celerità e, comunque, entro il termine di volta in volta indicato» dallo stesso Dipartimento – di far conoscere i propri pareri sulla possibilità di rinunciare al ricorso, per evitare che la rinuncia sia proposta a ridosso dell’udienza fissata dalla Corte costituzionale (p. 5).

In conclusione, non può non sottolinearsi come tale direttiva abbia il generale merito di tornare a razionalizzare la fase istruttoria dopo quasi vent’anni dall’ultimo intervento in materia.

Tuttavia, le sue prescrizioni passate in rassegna hanno valore meramente interno all’amministrazione statale e nulla può impedire l’adozione di una futura disciplina, anche di segno opposto.

 

[1] Secondo la felice formula adoperata da G. Falcon, Contestazione e Contrattazione di legittimità: aspetti di prassi e spunti ricostruttivi per l’applicazione dell’art. 127 della Costituzione, in AA. VV., Il controllo governativo sulle leggi regionali. Problemi e prospettive. Atti del seminario di Bologna (26 settembre 1979), Giuffrè, Milano, 1982, 79.

[2] Si v. Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, La giurisprudenza della Corte costituzionale nei giudizi promossi dal Governo ai sensi dell’art. 127 della Costituzione. Anni 2009-2012, 2013, 11-12 (cons. in www.affariregionali.it).

[3] Sul rapporto tra questi due tipi di dichiarazioni, già a ridosso della riforma del Titolo V, si v. E. Rossi, Delle conseguenze del riformarsi dell’arretrato nel giudizio in via principale (e sulle pronunce di cessazione della materia del contendere), in Giur. cost., 2000, I, 1346 ss. e E. Gianfrancesco, La rinuncia al ricorso nel giudizio in via principale all’indomani della riforma del titolo V. Alcune brevi considerazioni, in Giur. cost., 2002, III, 1495 ss.

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