Giurisprudenza costituzionale

Viola il principio del simul stabunt, simul cadent la legge regionale che condiziona la decorrenza del termine per l’indizione delle nuove elezioni alla presa d’atto della causa di scioglimento anticipato da parte del Consiglio regionale (3/2023)

Sent. n. 203 del 2023 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 10/11/2023 -  Pubblicazione in G. U. 15/11/2023  n. 46

Motivo della segnalazione

La decisione in epigrafe è emessa nell’ambito di un giudizio in via principale sollevato dallo Stato nei confronti della Regione Puglia per sospetta incostituzionalità dell’art.96, comma 1, della L.R. 32/2022.
A giudizio della difesa statale, tale norma, contenuta appunto nella legge di stabilità regionale 2023, incidendo sui meccanismi di indizione delle nuove elezioni in caso di scioglimento del Consiglio regionale o dimissioni del Presidente della Giunta, e -segnatamente- introducendo la precondizione della presa d’atto da parte del Consiglio Regionale, si poneva in contrasto con gli artt.art.123 e 126, terzo comma, della Costituzione, ed, altresì, con lo stesso Statuto regionale (art.22, comma 4, della L.R. Puglia 7/2004).
La questione si riferisce, dunque, al rapporto trilaterale e gerarchico che si instaura tra Costituzione, Statuto e legge regionale, in questo caso, in relazione alla materia elettorale. Con una semplificazione, in quanto la norma regionale è supposta violare tanto la Costituzione quanto lo Statuto non sussistendo invece contrasti tra Statuto e Costituzione, dal momento che il primo non devia dal sistema “normale” individuato in Costituzione, ossia l’elezione diretta del Presidente della Regione.
Invero, l’art. 122, quinto comma, Cost. non obbliga le regioni a tale scelta, poiché attribuisce loro la potestà di disciplinare la materia anche in maniera diversa. Sul piano delle fonti, comunque, per divergere dalla via ordinariamente prevista in Costituzione non è sufficiente una legge regionale ordinaria ma è necessaria una modifica o, ab origine, una previsione di carattere statutario.


Nel caso di specie, l’art.41, comma 1, dello Statuto Regione Puglia è chiaro nel seguire l’indirizzo costituzionale dell’elezione diretta del proprio Presidente, eliminando alla radice ogni problema di compatibilità costituzionale del sistema prescelto. Difatti, se -come abbiamo detto- la Costituzione ammette che gli statuti regionali possano diversamente disporre, pare chiaro che l’elezione diretta prevista dalla l. cost. 1/99 si pone “nel solco di quanto già previsto per l’elezione dei sindaci e dei presidenti delle province, normativa che risale alla legge 25 marzo 1993, n. 81, recante «Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale»”, costituendo un modello nettamente preferito dal legislatore costituzionale, prima di tutto per l’intento di garantire quella “governabilità” che in ambito nazionale si fatica a raggiungere (sui modelli di sistemi elettorali v. almeno G. De Minico, G. Ferraiuolo, Legge elettorale e dinamiche della forma di governo, Firenze, 2019; G. Tarli Barbieri, La legislazione elettorale nell’ordinamento italiano, Milano, 2018).
Il caso che ci occupa, stante la necessaria premessa sul modello prescelto dalla Regione Puglia, riguarda un fondamentale corollario che proprio a quella scelta si ricollega. L’art. 126, terzo comma, Cost., infatti, consacra il principio del simul stabunt, simul cadent, prescrivendo che l’elezione diretta del Presidente della Giunta ricollega indissolubilmente la “sopravvivenza” della legislatura regionale alla permanenza in carica del Presidente. Viceversa venuto meno, per qualsiasi motivo, il Presidente della Giunta, il Consiglio decade automaticamente e si provvede a nuove elezioni.
Dunque, ricostruendo l’esatta portata delle fonti interessate, la Costituzione ammette che, per via statutaria, le regioni possano scegliere modelli elettorali diversi dall’elezione diretta del Presidente della Giunta, ma vieta, nel caso si sia effettivamente optato per tale soluzione, ogni variazione al tema del principio del simul stabunt, simul cadent.
L’art. 22, comma 4, dello statuto della Regione Puglia, osserva la Corte, rispetta la suddetta prescrizione in quanto ricalca pedissequamente l’art.126, terzo comma Costituzione (ma sull’incerto rapporto tra normazione statutaria e legislativa in materia v. già A. Ruggeri, In tema di elezione diretta dei Presidenti regionali e di altri profili attinenti all’organizzazione regionale (prime notazioni), in Le Regioni, 6/99, spec. par.2.)
Con queste opportune premesse, scendendo di rango e venendo alla norma indubbiata, essa va a sostituire proprio l’art.5, comma 2, della legge regionale 2/2005 che regola, appunto, l’elezione di Consiglio e Presidente prima di tutto prevedendo che, nei casi di scioglimento del Consiglio regionale, l’indizione delle elezioni deve avvenire non più entro tre ma entro sei mesi (art.5 comma 2, secondo periodo); ma, soprattutto, disponendo che il predetto termine decorre a partire dalla presa d’atto da parte del Consiglio regionale (art.5, comma 2, terzo periodo); presa d’atto che, nel caso di dimissioni del Presidente della Regione, deve intervenire entro 30 giorni (art.5, comma 2, quarto periodo).
Dunque, tra scioglimento degli organi e indizione di nuove elezioni si viene a prevedere un elemento procedimentale aggiuntivo, la presa d’atto, che pare alterare la declinazione naturale del principio simul stabunt, simul cadent, che non contempla la necessità di ulteriori passaggi.
Tuttavia, come rilevato dalla Consulta, la norma non mette formalmente in discussione il principio consacrato nell’art.126, terzo comma, Cost. poiché, in effetti, alla cessazione del mandato presidenziale corrisponde lo scioglimento del Consiglio regionale.
Aut simul stabunt, aul simul cadent.
Dunque, anche nella formulazione sospettata di incostituzionalità, le stesse cause che determinano la decadenza di una delle due istituzioni, Presidente o Consiglio, comportano la decadenza dell’altra.
Ma, come osservato dalla difesa statale e poi confermato dalla Consulta, l’introduzione di un ulteriore passaggio, quello della presa d’atto del Consiglio regionale, di fatto può surrettiziamente provocare un prolungato disallineamento del rinnovamento degli organi regionali. Con un’anomala permanenza, peraltro di incerta durata, nelle proprie funzioni del Consiglio regionale.
Dunque la Corte, innanzitutto precisa che il (nuovo) termine per l’indizione delle elezioni di cui all’art.5, comma 2, l.r. Puglia n.2/2005, invero non investito da censure dirette del ricorrente, “già sensibilmente lungo” in quanto da tre viene portato a sei mesi, potrebbe subire ulteriori, indebiti, allungamenti proprio in ragione della necessarietà della presa d’atto da parte del Consiglio.
In altri termini, l’introduzione della presa d’atto sarebbe funzionale a procrastinare ingiustificatamente la legislatura regionale in violazione sostanziale del principio espresso nell’art.126, terzo comma. Cost., la cui finalità non può certo essere soltanto quella della formale decadenza conseguenzialmente reciproca degli organi, ma anche quella di un celere ritorno alle urne per la ricostituzione degli stessi.
Intento che pare invece estraneo alla volontà del legislatore regionale. La Corte mette, infatti, in evidenza come la stessa relazione illustrativa all’emendamento che ha introdotto la norma indubbiata afferma esplicitamente che “l’automatico scioglimento del Consiglio regionale per intervenute dimissioni volontarie del Presidente apparirebbe eccessivamente gravoso per il proseguimento del programma di governo condiviso in sede di insediamento del Consiglio regionale”, anche perché “gli elettori si aspettano venga rispettata la durata quinquennale della legislatura”.
Tra le pur tentate difese regionali, il richiamo al possibile scioglimento sanzionatorio di cui all’art.126, primo comma, non coglie nel segno poiché, come già abbiamo visto, il problema non è quello dello decadenza degli organi, che in effetti si realizza ipso facto, ma quello di aver attribuito al Consiglio regionale il compito di adottare una presa d’atto che di fatto potrebbe non intervenire, provocando una indebita sopravvivenza dello stesso in un’anomala prorogatio, magari fino a fine legislatura.
A questo proposito si deve osservare come la volontà dilatoria della legge emerge non solo dall’ambiguità dell’istituto introdotto, la presa d’atto, che qui non rappresenta un semplice atto dovuto con funzione dichiarativa dello scioglimento del consiglio regionale, ma anche un atto con effetti costitutivi, poiché la norma condiziona la decorrenza del termine per indire le nuove elezioni all’intervenuta presa d’atto.
La volontà dilatoria è, poi, evidente perché la norma non chiarisce in nessun modo quale sia la conseguenza della mancata presa d’atto della causa che dà origine allo scioglimento.
Il passaggio della presa d’atto genera, per conseguenza, una dilazione del termine naturale per il ritorno alle urne; dilazione che potrebbe essere molto breve ma che nulla impedisce sia talmente lunga dal condurre alla fine della legislatura con un Presidente decaduto ed un consiglio regionale sciolto ma comunque operante.
Dunque, la norma in parola permette un’ipotesi anomala di prorogatio, peraltro del tutto distonica con il principio simul stabunt, simul cadent.
In merito alla possibile illegittima dilatazione dei tempi ad libitum del Consiglio regionale (ad esempio nelle votazioni in parola, oltre alla mancata presa d’atto per decisione espressa, potrebbe mancare costantemente il quorum strutturale o funzionale), la Consulta rifiuta di considerare il richiamo, operato dalla difesa regionale, ai casi delle regioni Toscana e Umbria, poiché in tali ipotesi non solo si tratta dell’argomento nei rispettivi statuti, ma le dimissioni del Presidente della Giunta sono “congelate” per un tempo certo e breve (20 e 15 giorni), al solo fine di una ulteriore ponderazione della decisione; un breve periodo in cui entrambi gli organi rimangono in un limbo destinato subito dopo ad avere un destino che rimane comune: aut simul stabunt, aut simul cadent.
Conseguentemente, la normativa impugnata viene dichiarata incostituzionale sia per contrasto con l’art.126, terzo comma, Cost. che per violazione dell’art.22, comma 4, dello Statuto Regione Puglia anche in relazione all’art.123 Cost.

 

 

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