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Causa C-165/14 - Il “godimento reale ed effettivo del nucleo essenziale” della cittadinanza UE quale limite all’espulsione di un cittadino di uno Stato terzo dallo Stato membro di cittadinanza di un cittadino UE “statico” (3/2016)

Sentenza della Corte di giustizia (grande sezione) del 13 settembre 2016, Rendón Marín, ECLI:EU:C:2016:675

Nella sentenza che si segnala la Corte di giustizia, deliberando nella composizione della Grande sezione, ha precisato che il “godimento reale ed effettivo del nucleo essenziale” della cittadinanza UE - concetto introdotto nella sentenza Zambrano (causa C‑34/09, 8 marzo 2011, EU:C:2011:124) - può essere invocato come limite all’espulsione di un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino di uno Stato membro che non si è avvalso della libertà di circolazione conferita dal diritto UE, solo in “situazioni molto particolari”. Allo stesso tempo, la Corte ha precisato che il diritto (derivato) di un cittadino di uno Stato terzo di ottenere, in un tale caso particolare, un permesso di soggiorno, può essere limitato per ragioni di ordine pubblico. Tuttavia, il limite dovrà risultare compatibile con i diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare con il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 7, letto in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’art. 24, par. 2.

Il diritto dell’Unione europea non viene in rilievo, in linea di principio, nelle situazioni "puramente interne", ossia quelle in cui tutti gli elementi caratterizzanti della fattispecie sono "collocati" (da un punto di vista geografico e normativo) entro i confini di uno stesso Stato membro. Sempre in linea di principio, la circostanza che la fattispecie riguardi un cittadino di uno Stato membro - e quindi un cittadino dell’Unione europea - non è di per sé sufficiente a chiamare in causa il diritto dell’Unione europea, segnatamente per sindacare una normativa nazionale alla luce dello stesso o per affermare l’esistenza di un obbligo di interpretare detta normativa in modo conforme a quel diritto.

Ciò, come evidenziato, è però vero in "linea di principio". Nella nota sentenza Zambrano, la Corte di giustizia - ricordando che lo status di cittadino dell’Unione europea "è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri" (ibid., par. 41) - ha affermato che "l’art. 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione" (ibid., par. 42). Applicando questa enunciazione di principio al caso di specie, la Corte aveva ritenuto che l’art. 20 TFUE "osta a che uno Stato membro, da un lato, neghi al cittadino di uno Stato terzo, che si faccia carico dei propri figli in tenera età, cittadini dell’Unione, il soggiorno nello Stato membro di residenza di questi ultimi, di cui essi abbiano la cittadinanza, e, dall’altro, neghi al medesimo cittadino di uno Stato terzo un permesso di lavoro, qualora decisioni siffatte possano privare detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione" (ibid., par. 45). In altre parole, la Corte ha introdotto un limite alla situazione puramente interna - nella quale, per definizione, il diritto dell’Unione europea non si applica -, in presenza di un pregiudizio potenziale al "godimento reale ed effettivo"dei diritti che discendono dalla titolarità della cittadinanza di diritto UE.

I confini applicativi di questo limite non risultavano però del tutto chiari nella sentenza Zambrano, sebbene i fatti del caso di specie ne suggerissero la rilevanza solo in casi eccezionali, in cui il cittadino dell’Unione, trovandosi in una situazione di dipendenza materiale dal cittadino dello Stato terzo, in caso di espulsione di quest’ultimo sarebbe costretto ad abbandonare il territorio dell’Unione nel suo complesso. In effetti, questa interpretazione ha prevalso nella giurisprudenza successiva (cfr. le sentenze: 15 novembre 2011, Dereci e a., causa C‑256/11, EU:C:2011:734, paragrafi 6 e 67; 8 novembre 2012, Iida, causa C‑40/11, EU:C:2012:691, par. 71; 8 maggio 2013, Ymeraga e a., causa C‑87/12, EU:C:2013:291, par. 36; 10 ottobre 2013, Alokpa e Moudoulou, causa C‑86/12, EU:C:2013:645, par. 32), tesa implicitamente a escludere la rilevanza di una dipendenza di tipo solo “affettivo”o “emotivo” tra il cittadino dell’Unione europea “statico”e quello dello Stato terzo.

Tuttavia, è solo con la sentenza Réndon Marin che la Corte di giustizia è tornata ampiamente sulla giurisprudenza Zambrano, precisando che essa riguarda solo "situazioni molto particolari in cui, malgrado la circostanza che il diritto derivato relativo al diritto di soggiorno dei cittadini di Stati terzi non sia applicabile e che il cittadino dell’Unione interessato non si sia avvalso della sua libertà di circolazione, un diritto di soggiorno deve nondimeno essere attribuito a un cittadino di uno Stato terzo, familiare del [cittadino dell’Unione], a pena di pregiudicare l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione, se, in conseguenza del diniego di siffatto diritto, tale cittadino venisse di fatto costretto a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme, venendo quindi privato del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti da tale status" (Réndon Marin, par. 74, corsivo aggiunto).

Il caso di specie riguardava un cittadino colombiano, il sig. Réndon Marin, padre di due minorenni, entrambi con cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione (la Spagna il bambino e la Polonia la bambina). Dall’ordinanza del Tribunal Supremo (la Corte di Cassazione spagnola), che ha proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, si apprende che i bambini sono nati in Spagna da madre polacca, il cui domicilio è, tuttavia, ignoto. I minori hanno sempre vissuto con il padre in Spagna, e risultano accuditi e scolarizzati in modo adeguato. Tuttavia, il sig. Réndon Marin è stato condannato in Spagna a una pena detentiva di nove mesi. Benché sia stata concessa una sospensione condizionale di due anni, la normativa spagnola vigente vieta, senza alcuna possibilità di deroga, la concessione di un permesso di soggiorno in caso di precedenti penali nel paese in cui il permesso viene richiesto, ragione per la quale la domanda relativa a tale permesso avanzata dal Réndon Marin era stata rigettata. Il ricorso proposto dallo stesso avverso la decisione negativa giungeva davanti al Tribunal Supremo dopo che l’Audiencia Nacional (Tribunale competente per l’intero territorio in determinati ambiti penali, amministrativi e della legislazione sociale) aveva respinto la sua impugnazione. Nutrendo dubbi circa la compatibilità della normativa nazionale in questione con la giurisprudenza Zambrano, il Tribunal Supremo chiedeva alla Corte di giustizia, in sostanza, di fornire un chiarimento rispetto ai confini applicativi dell’orientamento espresso in quella sentenza.

La pronuncia in commento si articola in due parti, poiché la Corte ha valorizzato la diversa situazione dei due figli minori.

In primo luogo, tenuto conto che la figlia del sig. Réndon Marin ha la cittadinanza di uno Stato membro diverso da quello di residenza della famiglia, la Corte di giustizia ha chiesto al giudice nazionale di verificare l’applicabilità al caso di specie delle disposizioni di diritto UE - l’art. 21 TFUE, come specificato nella direttiva 2004/38 - in materia di diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare nel territorio dell’Unione. Infatti, come risulta dalla sentenza Zhu e Chen (causa C‑200/02, 19 ottobre 2004, EU:C:2004:639, par. 19), “la situazione, nello Stato membro ospitante, di un cittadino di un altro Stato membro che è nato nello Stato membro ospitante e che non si è avvalso del diritto alla libera circolazione non può, soltanto per questo motivo, essere assimilata ad una situazione puramente interna che priva il predetto cittadino del beneficio, nello Stato membro ospitante, delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di libera circolazione e di soggiorno delle persone”.

Pertanto, la Corte ha chiesto al giudice di verificare, in prima battuta, la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 7, par. 1, lett. b), della direttiva 2004/38, secondo cui ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza per una durata superiore a tre mesi se dispone, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante (par. 46). Sempre rifacendosi alla sentenza Zhu e Chen, la Corte ha precisato che, "sebbene il cittadino dell’Unione debba disporre di risorse sufficienti, il diritto dell’Unione non contiene, tuttavia, il minimo requisito in merito alla provenienza di dette risorse, potendo queste ultime essere fornite, in particolare, dal cittadino di uno Stato terzo, genitore dei minori cittadini di cui trattasi" (par. 48). La Corte ha quindi affermato che, in linea di principio, "se l’articolo 21 TFUE e la direttiva 2004/38 conferiscono un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante al cittadino minorenne di un altro Stato membro, che soddisfi le condizioni fissate all’art. 7, par. 1, lett. b), di tale direttiva, tali medesime disposizioni consentono al genitore che abbia la custodia effettiva di detto cittadino di soggiornare con lui nello Stato membro ospitante"(par. 52). Diversamente, infatti, "il rifiuto di consentire al genitore, cittadino di uno Stato terzo che abbia la custodia effettiva di un cittadino dell’Unione minorenne, di soggiornare insieme a tale cittadino nello Stato membro ospitante priverebbe di ogni efficacia il diritto di soggiorno di quest’ultimo" (par. 51).

A questo punto, tuttavia, la Corte ha ricordato che "il diritto di soggiorno nell’Unione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari non è incondizionato, ma può essere subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato nonché dalle relative disposizioni di attuazione" (par. 55). In particolare, gli Stati membri possono adottare una decisione di allontanamento giustificata da motivi di salute pubblica, ordine pubblico e pubblica sicurezza. Rispetto al motivo relativo all’ordine pubblico, che è quello al quale è astrattamente ascrivibile la limitazione introdotta dalla normativa nazionale in questione, la Corte ha tuttavia ricordato che "la sola esistenza di condanne penali precedenti non giustifica automaticamente l’adozione di provvedimenti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, che il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale e attuale nei confronti di un interesse fondamentale della società o dello Stato membro interessato e che giustificazioni estranee al caso individuale di cui trattasi o attinenti a ragioni di prevenzione generale non possono essere prese in considerazione" (par. 60, e, nello stesso senso, sentenze del 10 luglio 2008, Jipa, causa C‑33/07, EU:C:2008:396, paragrafi 23 e 24, e 23 novembre 2010, Tsakouridis, causa C‑145/09, EU:C:2010:708, par. 48). Pertanto, la Corte ha concluso che il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale come quella spagnola in questione.

Questa conclusione muove, però, dal presupposto - che spetta al giudice nazionale accertare - che la direttiva 2004/38 sia applicabile al caso di specie. Dunque, per l’ipotesi in cui detta condizione non risultasse soddisfatta, la Corte ha ritenuto di dover chiarire se un diritto di soggiorno derivato a favore del sig. Rendón Marín possa essere basato sull’articolo 20 TFUE. A questo punto, la Corte di giustizia ha ricordato la sentenza Zambrano e l’ha interpretata confinandone l’applicazione - come anticipato - solo a "situazioni molto particolari (...) caratterizzate dal fatto che, sebbene siano disciplinate da normative che rientrano a priori nella competenza degli Stati membri, [quali quelle] sul diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Stati terzi (...), presentano tuttavia un rapporto intrinseco con la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione, (...) al fine di non pregiudicare tale libertà" (paragrafi 74 e 75, corsivo aggiunto).

L’indicazione rivolta al giudice del rinvio è, pertanto, quella di verificare "se il diniego del permesso di soggiorno opposto al sig. Rendón Marín, cittadino di uno Stato terzo che ha l’affidamento esclusivo di tali figli minori, [lo obblighi] a lasciare il territorio dell’Unione, circostanza che [costringerebbe] i figli minori (...) ad accompagnare il sig. Rendón Marín e, quindi, a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme[, privandoli] quindi del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti che, nondimeno, il loro status di cittadini dell’Unione gli conferisce" (par. 78). A tal riguardo, rispondendo all’argomento - presentato da alcuni degli Stati membri intervenuti davanti alla Corte - secondo cui il sig. Rendón Marín e i suoi figli potrebbero recarsi in Polonia, Stato membro di cui è cittadina la figlia di quest’ultimo, la Corte ha precisato che "spetta al giudice del rinvio verificare se, alla luce dell’insieme delle circostanze del procedimento principale, il sig. Rendón Marín, in qualità di genitore che ha da solo la custodia effettiva dei suoi figli, possa, se del caso, effettivamente beneficiare del diritto derivato di accompagnarli e di soggiornare con essi in Polonia, cosicché il diniego, da parte delle autorità spagnole, di concedergli un diritto di soggiorno non comporterebbe l’obbligo, per i figli dell’interessato, di lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme" (par. 79).

Da ultimo, la Corte ha evidenziato che anche dall’art. 20 TFUE non si può trarre un diritto di soggiorno assoluto, non soggetto a limiti e condizioni. Rileva, anche in questo caso, il limite dell’ordine pubblico (paragrafi 82 e 84), alla luce del quale la normativa spagnola potrebbe essere astrattamente giustificata. La Corte ha dunque esposto delle considerazioni relative alla rilevanza di questo limite simili a quelle svolte nella prima parte del suo ragionamento, precisando anche che, nei casi in cui l’art. 20 TFUE consente di superare la configurazione di una fattispecie come situazione puramente interna, detta fattispecie rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, pertanto, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Come contrappunto alla possibilità di introdurre comunque delle limitazioni (e, quindi, consentire l’allontanamento) occorre allora tenere conto della necessità di valutare la situazione alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta, in particolare "del diritto al rispetto della vita privata e familiare, [di cui] all’art. 7 della Carta, (...) che deve essere letto (...) in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’art. 24, par. 2, della Carta".

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