Giurisprudenza costituzionale

La Corte salva la norma sul Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime dei crimini nazisti (3/2023)

Titolo completo "La Corte salva la norma sul Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime dei crimini nazisti che realizza un corretto bilanciamento tra garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti e principio del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali"

Sent. n. 159/2023 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 21/07/2023 – Pubblicazione in G. U. 26/07/2023, n. 30

Motivo della segnalazione

La sentenza in esame ha ad oggetto la risoluzione di questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Roma in sede civile, ufficio esecuzioni immobiliari, in rapporto all’art. 43, comma 3, del d.l. n. 36 del 2022, come convertito. Si tratta di una disposizione dedicata all’«Istituzione del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945», per la lesione di diritti inviolabili della persona, disposizione la quale ha previsto, a fronte dell’istituzione del Fondo, che le procedure esecutive fondate su titoli aventi ad oggetto la liquidazione dei danni prodotti dalla succitata lesione non possano essere iniziate o proseguite e i giudizi di esecuzione eventualmente promossi siano estinti.


Il processo nell’ambito del quale le questioni sono state sollevate è costituito proprio da una procedura esecutiva iniziata in forza di una sentenza passata in giudicato nei confronti della Repubblica federale di Germania, con conseguente pignoramento di beni di tale Stato situati sul territorio italiano. Si tratta di una procedura finalizzata, su impulso dell’erede di una persona oggetto di trattamento disumano da parte delle truppe tedesche nel corso degli anni del secondo conflitto mondiale, all’ottenimento della somma corrispondente al quantificato risarcimento dei danni derivanti dal succitato trattamento. Il giudice dell’esecuzione evidenzia che, nell’espropriazione immobiliare, è intervenuta anche una Regione greca, sulla scorta di una sentenza di condanna, munita di exequatur dalla Corte d’appello di Firenze, pronunciata da un Tribunale greco per il risarcimento degli eredi delle vittime di una strage compiuta nel 1944 in territorio greco dalle forze armate tedesche.
Della disposizione impugnata è asserito il contrasto con gli artt. 2 e 24 Cost., affermandosi che lederebbe il diritto alla tutela giurisdizionale delle vittime dei crimini nazisti (e dei loro eredi), che comprende quella esecutiva, dal momento che, negando ai soggetti individuati dalla stessa disposizione la possibilità di promuovere procedure di esecuzione forzata e producendo l’estinzione delle procedure già in corso, sarebbe capace di pregiudicarne irrimediabilmente le ragioni creditorie. Sarebbero altresì violati gli artt. 3 e 111 Cost., con riferimento ai principi di eguaglianza sovrana fra gli Stati e di parità delle parti nel processo, dato che l’estinzione delle procedure esecutive imporrebbe ai creditori della Germania un sacrificio immediato delle proprie ragioni che non troverebbe adeguata compensazione nel Fondo contemplato dal comma 3, anche a causa della mancata emanazione della normativa regolamentare di attuazione della disciplina del Fondo. Infine – rileva il giudice remittente – la preclusione, che si desumerebbe dalla formulazione della disposizione impugnata, della possibilità di promuovere procedure esecutive operante per i cittadini italiani e non per cittadini di altri Stati si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).
La Corte respinge innanzitutto un’eccezione di inammissibilità basata sulla mancata indicazione nell’ordinanza di rimessione dei beni pignorati, cosa che impedirebbe di valutare se si tratti o meno di beni destinati a funzioni pubblicistiche dello Stato, perciò non pignorabili in applicazione della norma di diritto internazionale consuetudinario dell’immunità cosiddetta ristretta degli Stati dall’esecuzione forzata, e impedirebbe altresì di valutare la sussistenza della giurisdizione in capo al giudice rimettente. Rileva a tal proposito il giudice delle leggi che, pur controvertendosi effettivamente nel processo esecutivo sull’assoggettabilità o no ad espropriazione forzata degli immobili pignorati, tale circostanza non rileva ai fini dell’applicabilità della norma impugnata e quindi della rilevanza delle questioni sollevate, dato che la succitata norma prevede l’estinzione ex lege di tutti i processi esecutivi aventi ad oggetto l’esecuzione forzata di pronunce esecutive di condanna della Germania al risarcimento di danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, nel periodo 1° settembre 1939-8 maggio 1945, senza che sia operata alcuna distinzione basata sulla destinazione, pubblicistica o meno dei beni pignorati.
Prima di entrare nel merito delle questioni sollevate, la Corte ricostruisce il quadro normativo e giurisprudenziale relativo al tema della riparazione dei danni di guerra del secondo conflitto mondiale, concentrando l’attenzione in modo particolare sugli specifici profili concernenti l’esigenza di apprestare un ristoro alle vittime dei crimini di guerra nazisti. A tal proposito sono richiamati, in quanto rilevanti ai fini della risoluzione delle questioni di costituzionalità in esame, due contestuali (e connessi) Accordi tra la Repubblica Italiana e la Repubblica federale di Germania del 1961, ratificati ed eseguiti nell’ordinamento italiano nel 1962 (quello che regolava alcune questioni di carattere economico-finanziario e patrimoniale) e nel 1963 (quello concernente gli indennizzi a favore dei cittadini italiani che erano stati colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste).
Con il secondo, che più rileva nel caso di specie, la Repubblica federale di Germania – nota la Corte – si impegnava a versare alla Repubblica italiana 40 milioni di marchi «a favore di cittadini italiani i quali per ragione di razza, fede o ideologia» fossero stati oggetto di «misure di persecuzione nazionalsocialiste e che a causa di tali misure avessero sofferto privazioni di libertà o danni alla salute, nonché a favore dei superstiti di coloro che erano deceduti a causa di queste persecuzioni», con la finalità di chiudere, mediante il riconoscimento di indennizzi ritenuti adeguati, la tragica vicenda dei danni patiti, in particolare, dai deportati nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale e segnatamente nel periodo, successivo all’8 settembre 1943 e fino al termine del conflitto, di occupazione del territorio nazionale da parte delle forze armate tedesche. L’accordo includeva una clausola liberatoria con cui si stabiliva che con il versamento della somma di cui sopra venivano regolate in modo definitivo tutte le questioni tra la Repubblica italiana e la Repubblica federale di Germania formanti oggetto dell’accordo stesso, senza pregiudizio delle eventuali pretese di cittadini italiani in base alla legislazione tedesca sui risarcimenti. Era poi stato approvato un decreto legislativo con cui si era provveduto a disciplinare i criteri di ripartizione della somma tra i cittadini italiani aventi titolo ad ottenere l’indennizzo in quanto vittime della deportazione per ragioni di razza, fede o ideologia». A configurarsi in capo agli aventi titolo era un vero e proprio diritto soggettivo, per quanto non al risarcimento del danno, al ristoro del gravissimo pregiudizio subito a causa di quelli che il diritto interazionale consuetudinario considerava delicta iure imperii, ricadenti nell’immunità degli Stati, con conseguente schermatura di ogni pretesa risarcitoria individuale, ulteriore rispetto ai benefici percepibili, quale indennizzo, ai sensi della succitata normativa.
Dopo che tali orientamenti giurisprudenziali erano rimasti a lungo immutati, lo scenario era cambiato a partire dalla sentenza Ferrini (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 11 marzo 2004, n. 5044) che aveva sancito la sussistenza di una deroga al principio dell’immunità, pur ristretta, degli Stati, con riferimento agli atti posti in essere nel corso di operazioni belliche costituenti crimini internazionali in violazione di diritti fondamentali della persona umana (la c.d. “eccezione umanitaria”). A fronte della smentita ad opera della Corte internazionale di giustizia, che con la sentenza del 3 febbraio 2012 aveva riconfermato pienamente e interamente sussistente la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati, il legislatore italiano aveva, nel 2013, introdotto una previsione normativa che faceva discendere dall’adozione di una decisione della Corte internazionale di giustizia del tenore della succitata decisione del 2012 l’obbligo per un giudice procedente italiano di dichiarare il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo.
Come è noto – ricorda il giudice delle leggi – la sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale aveva poi affermato in sostanza la giurisdizione del giudice comune a conoscere delle pretese risarcitorie per danni da crimini di guerra, in ragione del contrasto con un principio supremo dell’ordinamento costituzionale della norma interna corrispondente alla consuetudine internazionale sull’immunità degli Stati, nella parte in cui, sottraendo alla giurisdizione condotte integranti crimini di guerra e contro l’umanità, violava il «diritto al giudice (art. 24), congiuntamente al principio posto a tutela di diritti fondamentali della persona (art. 2)». All’orientamento della Corte costituzionale si erano poi adeguati i giudici comuni.
È in tale contesto, in cui veniva sostanzialmente messa in discussione la sistemazione dei rapporti tra Italia e Germania derivante dagli accordi stipulati all’inizio degli anni ’60 del XX secolo, che si inserisce l’adozione della disposizione impugnata nella sentenza qui segnalata (l’art. 43, comma 3, del d.l. n. 36 del 2022), istitutiva di un Fondo destinato al ristoro, a carico dello Stato italiano, dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità tedeschi compiuti sul territorio italiano, per la lesione di diritti inviolabili della persona, con previsione che dal danno risarcibile siano comunque detratte le somme eventualmente già ricevute dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi. Il danno deve essere stato accertato e liquidato con sentenza passata in giudicato, a seguito di azioni avviate al momento dell’entrata in vigore del d.l. n 36/2022 o entro il 28 giugno 2023. Le sentenze di condanna al risarcimento dei danni è previsto che siano eseguite esclusivamente a valere sull’istituito Fondo e non possono essere, per contro, iniziate o proseguite procedure esecutive, mentre i giudizi di esecuzione eventualmente intrapresi sono dichiarati estinti. La puntuale definizione della procedura di accesso al Fondo e le modalità di erogazione degli importi agli aventi diritto sono state rimesse al citato decreto interministeriale del 28 giugno 2023.
Sulla scorta di tale ricostruzione del panorama giurisprudenziale e normativo, nonché dello specifico significato della norma impugnata, il giudice delle leggi giunge a dichiarare infondate innanzitutto le questioni sollevate in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., affermando che tale norma realizza un bilanciamento conforme a Costituzione tra garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti assicurata dall’art. 24 Cost. e principio del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma, Cost.). Nel caso di specie infatti – rileva il giudice delle leggi – a fronte del previsto arresto della procedura esecutiva in corso si pone la tutela approntata dal Fondo “ristori” che consiste nella titolarità, a valere sulle risorse del Fondo, di un diritto di analogo contenuto del credito risarcitorio nei confronti della Germania, diritto che, a differenza del citato credito, non soffrirebbe peraltro della limitazione derivante dall’immunità ristretta degli Stati.
La Corte respinge poi per analoghe ragioni anche le questioni di costituzionalità sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., rilevando che la soluzione individuata dalla norma impugnata realizza un ragionevole bilanciamento tra l’obbligo di rispetto dell’Accordo di Bonn del 1961 e la tutela giurisdizionale delle vittime dei crimini di guerra nazisti.
Ad essere rigettata è infine anche la questione di costituzionalità sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.. Se infatti – nota la Corte – la formulazione originaria dell’art. 43 del d.l. n. 36/2022 sembrava offrire appigli ad una lettura da cui emergeva una disparità di trattamento tra le procedure esecutive instaurate sulla base di titoli formati dall’autorità giudiziaria italiana e quelle promosse in forza di titoli costituiti da pronunce di un giudice straniero, delibate dall’autorità giudiziaria italiana, per le quali ultime pareva non operare l’estinzione d’ufficio del processo esecutivo, con la successiva modifica apportata dalla legge di conversione, intervenuta già prima dell’ordinanza di rimessione, si è previsto espressamente che non possono essere proseguite e sono estinte d’ufficio anche le procedure esecutive basate sui titoli costituiti da sentenze straniere. Vengono dunque meno i presupposti dell’asserita disparità di trattamento.

 

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