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PARERI DELLA SEZIONE CONSULTIVA PER GLI ATTI NORMATIVI DEL CONSIGLIO DI STATO – SETTEMBRE 2011 / DICEMBRE 2011 (1/2012)

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Nel terzo quadrimestre dell'anno 2011 si segnalano alcune interessanti pronunce della Sezione Consultiva per gli atti normativi, talune per l'ampiezza degli argomenti trattati o per il riepilogo sistematico delle vicende degli istituti esaminati, altre per aspetti di vera e propria novità.

Le osservazioni sulla normativa correttiva dell'ordinamento militare

Alla prima categoria sono sicuramente da iscrivere i pareri nn. 2602/2011 e 4163/2011 relativi alla normazione in materia di ordinamento militare: oggetto di parere erano infatti il decreto legislativo correttivo del d.lgs. n. 66/2010 (Codice dell'ordinamento militare) ed il regolamento governativo correttivo del d.P.R. n. 90/2010 (Testo unico regolamentare delle disposizioni in materia di ordinamento militare); con l'occasione del parere, favorevole con osservazioni per entrambi i testi esaminati, la Sezione Consultiva affronta vari argomenti di portata generale attinenti alla teoria delle fonti, in particolare l'ambito di intervento dei cc.dd. decreti correttivi, l'efficacia delle clausole che non consentono la modificazione o abrogazione di testi organici se non con disposizione espressa, nonché il fenomeno della reviviscenza delle norme abrogate.

 

Quanto al d.lgs. correttivo del codice dell'ordinamento militare esso è stato elaborato sulla base della delega conferita al governo dagli artt. 14 della legge n. 246/2005 e 20 della legge n. 59/1997 (richiamato a sua volta dalla legge n. 246); il comma 14 del citato articolo 14 ha previsto infatti la possibilità di emanare disposizioni integrative, di riassetto o correttive, sempre nel rispetto dei principi e criteri direttivi della delega principale (c.d. taglia-leggi).

La delega correttiva è dunque volta a rendere possibile: a) l'eliminazione di imperfezioni testuali che costituiscono rettifiche materiali ai testi o inesatte riproduzioni di norme riassettate; b) il perfezionamento del riassetto delle fonti previgenti, mediante il loro coordinamento formale e sostanziale; c) il recepimento dello ius superveniens che non abbia direttamente modificato le disposizioni del codice.

La Sezione Consultiva prende infatti atto di come la complessità dell'operazione di riordino e riassetto abbia inevitabilmente comportato nel codice militare errori materiali e difetti di coordinamento, destinati ad essere emendati con lo strumento del d.lgs. correttivo, entro due anni dalla data di entrata in vigore (8 ottobre 2010), al fine precipuo di apportare al codice "le correzioni e integrazioni che l'applicazione pratica renda necessarie od opportune" (viene osservato come in G.U. siano stati pubblicati ben cinque avvisi di rettifica, tre aventi ad oggetto il Codice e due il t.u. regolamentare).

Preliminarmente però la Sezione ha inteso riepilogare, a tale dato è principalmente di interesse per questa esposizione, quali siano i limiti teorici della legislazione delegata correttiva, alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale, dell'Adunanza Generale nonché della Sezione normativa stessa del Consiglio di Stato (Corte cost. 26 giugno 2001 n. 206; Cons. St., ad. gen., 6 giugno 2007 n. 1; Cons. St., sez. per gli atti normativi, 9 luglio 2007 n. 2660/07; 5 novembre 2007 n. 3838/07); pertanto viene osservato che «i correttivi: a) possono intervenire solo in funzione di correzione o integrazione delle norme delegate già emanate, e non già in funzione di un esercizio tardivo, per la prima volta, della delega principale; b) hanno il delimitato fine "di consentire una prima sperimentazione applicativa di questi, sperimentazione che sembra assumere i connotati di un presupposto indispensabile, in linea con quella attenzione alla qualità anche sostanziale della legislazione che è da tempo all'attenzione del Parlamento e del Governo; ovviamente, a maggior ragione, deve ritenersi non solo possibile ma doveroso un intervento volto a garantire la qualità formale, e in particolare l'eliminazione di illegittimità costituzionali o comunitarie nonché di errori tecnici, illogicità, contraddizioni. E' da escludersi, pertanto, che con il decreto correttivo possano essere rimesse in discussione le scelte di fondo del codice. Si potrà invece: a) correggere errori materiali, refusi, difetti di coordinamento, illogicità, contraddizioni, illegittimità costituzionali; b) apportare, previa verifica di impatto della regolamentazione "le correzioni e integrazioni che l'applicazione pratica renda necessarie od opportune"».

In merito al recepimento dello ius superveniens successivo alla delibera definitiva del Consiglio dei ministri (in data 13 marzo 2010) che ha approvato il testo del Codice, la Sezione Consultiva dedica particolare attenzione all'istituto della clausola di salvaguardia «divenuta ormai tradizionale all'interno dei codici o dei testi unici di più recente conio (una clausola rafforzativa analoga si rinviene nelle leggi comunitarie che si sono succedute negli ultimi anni, in relazione ai testi unici e codici di settore che recepiscono direttive comunitarie - artt. 5, co. 2, l. 4 giugno 2010, n. 96; 5, co. 2, l. 7 luglio 2009, n. 88; 5, co. 3, l. 25 febbraio 2008, n. 34 -; si pensi, inoltre, agli artt. 255, codice dei contratti - d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163-; 3 bis, co. 3, codice dell'ambiente - d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; art. 21, l. 4 febbraio 2005, n. 11 – norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari -; art. 1, co. 4, t.u. espr. - d.P.R. 8 gennaio 2001, n. 327-; art. 1, co. 1, statuto del contribuente - l. 27 luglio 2000, n. 212)», clausola inserita anche nel Codice (art. 2267, comma 2), in coerenza con l'obbiettivo dell'autosufficienza della codificazione dell'ordinamento militare, ha introdotto una clausola di salvaguardia.

La clausola è stata aggiornata alla luce del nuovo art. 13 bis della legge n. 400/1988 (inserito dalla legge n. 69/2009), disposizione che esige: a) che ogni norma che sia diretta a sostituire, modificare, abrogare o derogare norme vigenti le indichi espressamente; b) che nelle materie oggetto di codici e testi unici le modifiche normative debbano essere effettuate mediante novella dei testi base.

Sempre con le parole del parere della Sezione: «Nell'intento del legislatore, i codici, i t.u., le leggi quadro (o di portata generale) al cui interno sono collocate clausole di salvaguardia come quella in esame, dovrebbero avere una particolare forza giuridica, tale che non è consentita la modificazione o abrogazione se non con disposizione espressa; tuttavia tale regola non è posta da nessuna norma della Costituzione, che è l'unica fonte idonea a stabilire la gerarchia delle fonti ad essa subordinate; sicché una legge ordinaria, ancorché di "sistema" o "generale", ha la stessa forza e valore di una qualsiasi altra legge e non si sottrae, pertanto, alla possibilità di una abrogazione tacita secondo quanto sancito dall'art. 15 disp. prel.; sul piano formale si rileva l'impossibilità giuridica che forme di auto rafforzamento contenute in norme primarie, in modo esplicito o implicito, possano determinare la resistenza passiva di una disposizione rispetto all'abrogazione implicita operata da una successiva equiparata.

Pertanto, l'affermazione che le disposizioni di una legge ordinaria possono essere abrogate solo con disposizione espressa, rimane priva di vincolatività giuridica, acquistando però altri tre possibili significati: a) esegetico, in caso di dubbio sulla portata abrogatrice o modificatrice di una legge successiva, il principio di coerenza dell'ordinamento deve indurre a ritenere che la legge successiva non abbia abrogato o modificato tacitamente la precedente (anche il giudice delle leggi si è mostrato incline a considerare le clausole abrogative espresse "quale criterio interpretativo per i futuri successivi interventi legislativi in materia...", cfr. Corte cost., 22 aprile 1997 n. 111); b) monitorio (nella parte in cui indirizza un sorta di messaggio affinché gli atti normativi futuri incidano con chiarezza sull'articolato e non con modificazioni o abrogazioni tacite); c) di indirizzo dell'attività normativa futura, affinché i titolari del potere di iniziativa e coordinamento normativo, in sede di istruttoria tecnica, assicurino la coerenza del sistema attraverso l'inserzione delle nuove disposizioni all'interno della legge di settore (codice o t.u. che sia)».

Dopo tali considerazioni di sistema, la Sezione Consultiva opera però un significativo distinguo: «Occorre ricordare che è possibile giungere a diverse conclusioni ove si ritenga la clausola contenuta nel co. 2 in esame come rafforzativa, in senso proprio, e non di mera salvaguardia, sul modello di quelle sancite dall'ordinamento degli enti locali (art. 1, co. 3, l. 8 giugno 1990, n. 142 trasfuso nell'art. 1, co. 4, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, secondo cui: "Ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni", o dallo Statuto dei diritti del contribuente (art. 1, co. 1, 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui: "Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali".

In questi casi le leggi generali di settore hanno una speciale resistenza passiva, potendo essere modificate solo in modo espresso, e non da disposizioni speciali extravaganti, in quanto:

a) direttamente attuative di norme e principi costituzionali o rappresentative di valori che traggono origine dalla Carta fondamentale; b) espressive di principi generali di settore.

Tutte queste caratteristiche si rinvengono quantomeno nei principi del riordino normativo operato dal codice e dal t.u., che hanno dato vita ad un ordinamento speciale, caratterizzato da una spiccata autonomia funzionale, organizzato sistematicamente per principi ed attuativo del dettato costituzionale (di cui all'art. 54 Cost. ).

Ciò premesso, osserva la Sezione che numerose norme attinenti la materia, come delimitata ai sensi dell'art. 1 del codice, entrate in vigore successivamente all'approvazione definitiva del codice stesso, sono rimaste al di fuori dell'impianto codicistico, determinando una nuova complicazione dell'assetto legislativo in materia di ordinamento militare.

E' inevitabile che i codici di settore non possano considerarsi la sede di disciplina esclusiva di una materia, ma va evitato, per quanto possibile, dopo un'operazione di codificazione, il fenomeno della "fuga" dal codice».

Infine il parere affronta la delicata questione dell'abrogazione, in sede correttiva, di abrogazioni ritenute "errate": nell'intento del legislatore delegato, osserva la Sezione Consultiva, le abrogazioni contenute nel decreto corretti comportano la soppressione delle abrogazioni errate e la contestuale reviviscenza retroattiva delle fonti primarie venute meno con effetto dall'approvazione del testo originario del d.lgs. n. 66/2010.

Si fa l'esempio quanto disposto al n. 993 dell'art. 2268 che viene abrogato facendo rivivere la legge 7 marzo 2001, n. 78 recante la disciplina per la tutela del patrimonio storico della Prima Guerra mondiale, inerente il settore e le competenze dei beni culturali, erroneamente inserita nel codice dell'ordinamento militare: ad essa corrisponde la contestuale abrogazione degli articoli (da 256 a 264 e 566), nei quali la legge n. 78 del 2001 era stata formalmente riassettata.

La Sezione dichiara non voler affrontare «la controversa questione dell'abrogazione (come atto o come fatto) e dei suoi effetti, questione assai controversa sul piano della teoria generale ed incidente sulla possibilità della configurazione di un fenomeno di riviviscenza delle norme, al pari di quella, pure incidente tangenzialmente sulla reviviscenza, relativa all'oggetto dell'abrogazione se vada individuato nelle disposizioni o nelle norme (dovendosi allora chiedere se la riviviscenza sia delle disposizioni o delle norme)» limitandosi «ad alcune considerazioni di metodo a fini di certezza».

Da questo punto di vista il parere ribadisce che l'abrogazione consiste in nuova valutazione del legislatore della fattispecie e quindi in una nuova disciplina del caso, ritenuta attualmente più opportuna: ciò ne comporta di per sé (e salvo un'espressa previsione contraria) l'operatività ex nunc, circoscrivendo nel tempo la vigenza della norma abrogata e senza disconoscere il valido operare della norma stessa per il tempo in cui è stata applicabile.

La normale proiezione solo per il futuro dell'abrogazione, ricorre, ad avviso della Sezione Consultiva, anche nel caso dell'abrogazione di disposizione (o norma) abrogatrice: l'abrogazione dell'abrogazione, a differenza della declaratoria di illegittimità costituzionale della norma abrogante, non comporterebbe, di regola, alcun fenomeno di riviviscenza retroattiva della norma per la prima volta abrogata e riportata in vita mediante l'abrogazione dell'abrogazione.

In merito al testo in esame, però, vi è una significativa precisazione, per cui «ove l'abrogazione sia stata solo effetto di un'operazione di coordinamento formale (come nella ipotesi di emanazione di un codice di riassetto), [sia] in sostanza pacifico che, in caso di abrogazione della predetta prima abrogazione, fermo l'effetto normale dell'abrogazione (e dell'abrogazione dell'abrogazione) per cui essa opera solo per il futuro, essa non determinerà soluzioni di continuità nella disciplina, che avrà (come nel caso della legge n. 78 del 2001) solo una diversa collocazione formale non trovandosi più nel codice per effetto dell'abrogazione dell'abrogazione, conseguente allo spostamento della disciplina al di fuori del codice militare, ripristinando così la collocazione precedente.

Ciò tuttavia non sembra consentito nel caso in cui le abrogazioni siano state operate in modo "secco", ossia in relazione a discipline ritenute sostanzialmente non più attuali, e perciò da rimuovere dall'ordinamento, e, successivamente, mediante abrogazione della disposizione (o della norma) abrogatrice, si voglia ritornare all'assetto normativo pregresso.

In tal caso la riviviscenza non sembra ammissibile, fatta salva l'eccezionale ipotesi – da valutarsi comunque sotto il profilo della ragionevolezza – della reintroduzione, a seguito della abrogazione della abrogazione, del testo normativo originariamente vigente, con effetto volutamente retroattivo».

Con il parere n. 4163/2011 del 24 novembre 2011, la Sezione Consultiva si è invece espressa in merito al regolamento di modifica del d.P.R. n. 90/2010, emanato in attuazione dell'art. 20, comma 3-bis, della legge n. 59/1997, per il quale il Governo, nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, completa il processo di codificazione di ciascuna materia emanando, anche contestualmente al decreto legislativo di riassetto, una raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia, se del caso adeguandole alla nuova disciplina di livello primario e semplificandole secondo i criteri di cui ai successivi commi dello stesso art. 20.

Riguardo l'ordinamento militare, l'art. 1, comma 3, del Codice stabilisce le norme regolamentari disciplinanti la medesima materia del codice sono raccolte in un testo unico organico, emanato ai sensi dell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59; specificando poi che il regolamento "è modificato secondo le procedure previste dall'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto delle ulteriori modalità individuate dal codice".

Le modifiche apportabili al testo unico regolamentare (oggi possono avere – a seconda dei casi – natura esecutiva, attuativa, integrativa, organizzatoria, delegata stante il richiamo all'art. 17, commi 1 e 2, della legge 400/1988; esse inoltre, possono costituire attuazione di fonti primarie non riassettate nel codice (si pensi alle norme in materia di disciplina dei termini del procedimento amministrativo e di accesso agli atti, nonché di riservatezza previste dalla l. n. 241 del 1990 e dal d.lgs. n. 196 del 2003, confluite nel libro VI del t.u.; a quelle previste in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, previste dal d.lgs. n. 81 del 2008, confluite nel libro I del t.u.).

In ordine alla natura giuridica del t.u. la Sezione segnala le seguenti peculiarità:

«Il co. 3– bis dell'art. 20 cit., non esplicita direttamente quale sia il procedimento di adozione e la forma di esternazione del t.u.; tuttavia il contenuto precettivo ed il tenore letterale della norma sono univoci nel far ritenere che il t.u. sia sussumibile nel genus dei regolamenti governativi dei quali segue l'iter formativo (puntualmente osservato dal Governo per l'emanazione del t.u.).

Come già accennato, sulla legittimità della procedura di emanazione del t.u. e della delegificazione operata in sede di riassetto si è già pronunciato favorevolmente questo Consiglio di Stato nel parere n. 149 – 152/2010 cit. conformemente, del resto, ai propri specifici precedenti.

Il sicuro fondamento giuridico della delegificazione è stato rintracciato nell'art. 20, co. 2, l. n. 59/1997 che autorizza espressamente il Governo, in sede di riassetto della materia, ad emanare i regolamenti di cui all'art. 17, co. 2, l. n. 400/1988; stante il richiamo a tale ultima disposizione il t.u. avrà, dunque, a seconda dei casi, natura esecutiva, attuativa, integrativa, organizzatoria, ovvero delegata.

Si è in presenza di un t.u. misto, nel senso che la natura giuridica delle disposizioni regolamentari che lo compongono è composita, dunque in un significato profondamente diverso da quello dei t.u. emanati secondo il modello, ormai superato, introdotto dalla l. n. 340 del 2000. Esso, infatti, contiene solo norme di rango regolamentare, senza alcuna commistione con norme primarie, ma con sicura forza innovativa dell'ordinamento giuridico (difettando, all'evidenza, la caratteristica essenziale dei t.u. meramente compilativi o cognitivi che è la pura conoscenza ordinata del diritto), e dunque capace di manipolare le fonti di riferimento (tutte coerentemente abrogate dall'art. 2269 c.m.).

Circa la procedura di modificazione del t.u. si osserva quanto segue.

Nel silenzio serbato dall'art. 20, co. 3-bis e 6 cit. sul punto specifico, il co. 3 dell'art. 1 c.m. – divisando una norma sulla produzione del diritto - ha previsto che le modifiche al t.u., successivamente alla sua emanazione, avvengano secondo il procedimento ordinario sancito dall'art. 17, l. n. 400 del 1988 (e dunque, a seconda dei casi, con regolamento governativo, ministeriale, interministeriale); l'unica innovazione, introdotta allo scopo di non modificare in alcun modo gli equilibri raggiunti nella disciplina riassettata, si esaurisce nella mera conferma di tutti quei pareri, intese, concerti, designazioni (previsti dal c.m. o da altre fonti primarie), che arricchiscono il procedimento di emanazione di specifiche norme regolamentari raccolte nel t.u. (si pensi all'adozione, da parte dell'organo centrale della rappresentanza militare, delle disposizioni regolamentari concernenti l'organizzazione e il funzionamento della rappresentanza militare - art. 20, co. 3, l. 11 luglio 1978 n. 382, ora confluito nell'art. 1482 c.m. -; o al parere del Cocer, previsto dall'art. 2, co. 629, l. 24 dicembre 2007 n. 244, ora art. 297 c.m., sullo schema di regolamento concernente la realizzazione degli alloggi di servizio)».

L'adozione normativa delle tariffe professionali

Di interesse anche il parere n. 3008/2011 del 28 settembre 2011, avente ad oggetto uno scherma di regolamento recante la proposta di una nuova tariffa degli onorari notarili.

Il regolamento è proposto dal Ministero della Giustizia sulla base della delibera del Consiglio Nazionale del Notariato che aveva approvato la proposta di una nuova tabella degli onorari.

Il parere tratta di una materia successivamente balzata al centro dell'attenzione, se non altro per l'intervenuto decreto-legge n. 1/2012, che ha disposto l'abrogazione totale di tutte le tariffe professionali,

La nuova tariffa notarile avrebbe dovuto sostituire quella precedente del 2001 recuperando l'inflazione, peraltro mantenendo il divieto assoluto di derogare ai minimi tariffari ritenuto giustificato dai notai (cfr. Corte di Giustizia CE 19 febbraio 2001 C. 35/99)

Il parere della Sezione però contiene una osservazione preliminare e dirimente, ovvero che il regolamento ad oggetto non può essere considerato un regolamento ministeriale (ancorché emanato con decreto del Ministro della Giustizia), consistendo piuttosto in un regolamento dell'ordine professionale, come tale sottratto alla necessità di parere da parte del Consiglio di Stato.

La Sezione osserva: «Le tariffe professionali sono definite da fonti normative, anche risalenti e non più in vigore, di varia tipologia:

1) in primo luogo vi sono tariffe professionali fissate attraverso leggi formali, o atti aventi la stessa forza, sentito il parere dell'ente professionale. Era l'ipotesi della tariffa notarile prevista dalla legge 22 novembre 1954 n. 1158, più volte modificata o della tariffa dei medici generici e specialisti fissata dalla legge 21 febbraio 1963 n. 244;

2) poi vi sono le tariffe professionali fissate con decreto del Presidente della Repubblica, in tal senso disponeva l'art. 23 lett. b) della legge 12 ottobre 1964 n. 1081 per i consulenti del lavoro;

3) poi vi sono le tariffe professionali su proposta dell'ordine professionale, in cui l'atto del Ministro ha natura di controllo di merito (in tal senso ad es. la tariffa dei chimici di cui alla legge 20 marzo 1975 n. 56)

4) poi vi sono le tariffe professionali deliberate dall'ordine professionale in cui l'atto di approvazione del Ministro attesta solo un controllo di legittimità positivo, per cui l'atto risulta un regolamento dell'ordine professionale.

5) In ultimo vi sono le tariffe professionali semplicemente emanate dall'ordine professionale come ad esempio le tariffe notarili determinate da delibere dei collegi notarili riguardanti compensi per prestazioni professionali non contemplate dalla tariffa nazionale (Cass. Sez. III 9 luglio 1968 n. 2388).

La proposta di tariffa in esame è ascrivibile alla tipologia di cui al numero 4) dell'elenco prima individuato.

La legge n. 41 del 1973 è chiarissima nel prevedere che la tariffa è stabilita con deliberazione del Consiglio Nazionale del notariato approvato con decreto del Ministro per la grazia e la giustizia.

Tale tariffa è, in definitiva, un mero regolamento dell'ordine professionale (Cass. S.U. 27 ottobre 1961 n. 2439).

Ne consegue che non v'è luogo ad espressione del parere del Consiglio di Stato non trattandosi di atto regolamentare, come, d'altra parte, si è ritenuto in occasione dell'adozione del D.M. 27 novembre 2001 (nelle cui premesse non è fatta menzione dell'avvenuta acquisizione dell'avviso del Supremo Consesso della Magistratura amministrativa sul presupposto implicito che l'atto non avesse natura regolamentare in senso proprio)».

È interessante notare che il successivo parere n. 4760/2011 del 7 dicembre 2011, avente ad oggetto il regolamento concernente l'approvazione della tariffa per l'esercizio della professione di psicologo, riconosce invece che «la competenza ad emanare il decreto recante le tariffe per l'esercizio della professione di psicologo appartiene al Ministero della giustizia, previa acquisizione del concerto del Ministero della salute»: la Sezione pare quindi ascrivere tale regolamento alla tipologia di cui al n. 3) suindicato, sulla scorta del dato letterale dell'art. 28, comma 6, della legge n. 56/1989 (istitutiva dell'ordine degli psicologi) in cui si afferma che il consiglio nazionale dell'ordine "propone le tabelle delle tariffe professionali degli onorari minime e massime e delle indennità ed i criteri per il rimborso delle spese, da approvarsi con decreto del Ministro di grazia e giustizia di concerto con il Ministro della sanità".

L'art. unico della legge n. 41/1973 sulla tariffa notarile dispone invece che tale tariffa sia stabilita con deliberazione del Consiglio nazionale del notariato, poi approvata con decreto del Ministro della Giustizia.

Con l'occasione del parere la Sezione ricapitola lo stato della disciplina generale in materia di tariffe professionali alla luce delle più recenti innovazioni (non potendo però certamente prevedere la successiva svolta radicale della soppressione delle tariffe ad opera del d.l. n.. 1/2012); si riportano per completezza le osservazioni della Sezione Consultiva: «Con il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è stata prevista una liberalizzazione delle tariffe professionali al fine di evitare che il mercato fosse distorto da pratiche anticoncorrenziali, recependo in parte i principi concorrenziali più volte affermati dall'Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Infatti, l'art. 2, ai commi 1 e 3, ha previsto la nullità delle disposizioni deontologiche di derivazione sia normativa sia pattizia che, al 1º gennaio 2007, risultavano non conformi alla disposizione contenuta nel sopra citato comma 1 che ha disposto, tra l'altro, l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime, e del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

La Cassazione (Sez. II Civile, sent. 20 maggio-19 ottobre 2011, n. 21633), ha avuto modo di recente di tornare a chiarire che la normativa sui minimi tariffari resta in vigore, non essendo stata abrogata dalle disposizioni di cui all'art. 2 della legge n. 248 del 2006, che consentono accordi derogatori tra le parti ( che applicano le tariffe minime).

Successivamente l'art. 3 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148 (c.d. manovra bis) aveva previsto che gli ordinamenti professionali, entro un anno dalla sua entrata in vigore, avrebbero dovuto recepire alcuni principi innovativi, tra cui quello secondo il quale " il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. E' ammessa la pattuizione dei compensi in deroga alle tariffe"

La legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012) ha eliminato ogni riferimento alla tariffe professionali e di conseguenza alla facoltà di derogarvi. Resta in piedi la seconda parte dell'art. 3, comma 5, lett. d) della "manovra bis", dove si prevede che "in caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, o nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi, si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della giustizia."

Le tariffe hanno così una funzione solo residuale, restando come criterio base la libera pattuizione del compenso.

Dunque, in atto, il criterio base resta la libera pattuizione delle tariffe; le deroghe a tale criterio devono essere normativamente previste; le tariffe minime giocano dunque un ruolo di riferimento orientativo; assumono invece una funzione di vincolo obiettivo solo in caso di committenza di un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale di compensi e nei casi di prestazione professionale resa nell'interesse di terzi».

La composizione del CNEL

Col parere n. 4274/2011 dell'8 ottobre 2011, la Sezione Consultiva si è espressa sullo schema di regolamento governativo avente ad oggetto la nuova ripartizione della composizione per categorie del CNEL a seguito della riduzione del numero dei suoi membri operata dal d.l. n. 138/2011 (c.d. "manovra d'agosto").

Se la norma primaria, di modifica della legge n. 936/1986, ha disposto la riduzione da 121 a 70 del numero dei membri, la ripartizione tra le varie categorie (lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi ed imprese) è stata dalla stessa demandata ad un d.P.R. da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge n. 400/1988, da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 138/2011.

La Sezione, nel dare parere sostanzialmente positivo osserva però che «il testo regolamentare in esame va collocato a valle della scelta emergenziale fatta dal legislatore, volta a ridurre in modo drastico e permanente le spese correnti e di funzionamento a carico della finanza pubblica; si tratta di una scelta legislativa che probabilmente, nel caso di un organo di rilevanza costituzionale, come il CNEL, non ha esplorato in modo compiuto i delicati profili funzionali e organizzativi connessi con la tecnica della riserva di legge relativa, contenuta nell'art. 99 della Costituzione. Infatti la composizione del CNEL è rimessa alla legge che deve tenere conto della importanza numerica e qualitativa delle categorie produttive».

Il concerto ministeriale

La Sezione Consultiva ha avuto anche modo di esprimersi compiutamente su di una questione attinente al procedimento di formazione degli atti normativi di rango secondario, ovvero in merito al concerto che la legge talvolta prescrive ad altro ministro rispetto all'atto normativo la cui proposta sia rimessa ad un determinato dicastero.

Nel parere n. 4312/2011 del 18 novembre 2011, la Sezione rileva che agli atti non risulta il concerto formale del Ministro bensì la lettera del capo del relativo ufficio legislativo, nella quale si manifesta il parere favorevole all'ulteriore corso del procedimento, non essendovi osservazioni da formulare o elementi ostativi al perfezionamento del provvedimento.

La Sezione puntualizza quindi che «Non vi è dubbio che altro è il concerto, altro è l'assenso all'ulteriore corso del procedimento di approvazione di un atto normativo, in quanto con il concerto il Ministero concertante non solo non trova obiezioni al contenuto del provvedimento, ma ne condivide in pieno sul piano politico e l'iniziativa e il contenuto. Tuttavia la più recente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. Atti normativi, 26 aprile 2010, n. 681/2010) ritiene necessario che, nelle more del perfezionamento del procedimento, l'Amministrazione riferente acquisisca il formale concerto onde evitare possibili contestazioni in ordine alla legittimità del procedimento di approvazione del provvedimento normativo in questione».

Si deve far notare che sino a tale pronuncia, la Sezione Consultiva in mancanza di concerto ha sempre emesso una pronuncia interlocutoria, rinviando l'esame definitivo ad altra adunanza: in questo caso però, la Sezione assume un atteggiamento diverso, concludendo la fase di sua competenza con parere immediatamente favorevole, sulla scorta del fatto che «può comunque presumersi che il parere espresso dai capi degli uffici legislativi possa, nella specie, ragionevolmente presupporre la manifestata volontà del Ministro».

Tale ultimo criterio è stato poi effettivamente seguito anche nei successivi pareri nn. 4656/2011 del 5 dicembre e 5107/2011 del 12 dicembre 2011, con la seguente formulazione conforme: «La Sezione considera assolta la prestazione del concerto, nella specie esternata tramite le lettere dei Capi Uffici legislativi delle Amministrazioni concertanti, in quanto esse, nell'esprimere l'assenso all'ulteriore corso del procedimento, presuppongono la volontà del Ministro di riferimento, nel senso, cioè, che il Ministro non solo non trova obiezioni al contenuto del provvedimento, ma ne condivide anche sul piano politico l'iniziativa ed il contenuto».

Tale atteggiamento della Sezione si può forse riflettere nel dato statistico per cui nel quadrimestre in esame non vi è stata alcuna pronuncia interlocutoria, avendo ogni volta la Sezione reso parere definitivo (e favorevole ma con numerose osservazioni, tranne sulla tariffa notarile, dove ha ritenuto non doversi nemmeno dar luogo al parere).

Nei prossimi mesi si potrà verificare se tale tendenza verrà confermata ed eventualmente tentare di trarne un indicatore della volontà di rendere il procedimento di approvazione della normativa regolamentare più spedito.

La possibilità del parere su leggi regionali

Con il parere n. 4478/2011 del 6 dicembre 2011, richiesta dalla regione Piemonte, la Sezione Consultiva si è espressa circa un disegno di legge regionale recente misure di razionalizzazione in materia di personale e di organizzazione regionale.

Circa l'ammissibilità del ricorso facoltativo al parere del Consiglio di Stato, la Sezione ha osservato in esatti termini: «è pacifico che le Regioni possano rivolgersi al Consiglio di Stato in via diretta, senza che rilevi l'art. 36 del r.d. n. 444 del 1942 che ravvisa nei soli Ministri i soggetti legittimati a richiedere il parere del Consiglio di Stato.

In proposito, sin dagli anni ottanta, si è ritenuta esistente tale facoltà nel sistema costituzionale che qualifica il Consiglio di Stato come organo di consulenza giuridico-amministrativa, attinente allo Stato ordinamento e non solo allo Stato apparato (Consiglio di Stato Sez. II n. 1855 del 2003 ).

Si è ritenuto quindi che il trasferimento di funzioni statali alle Regioni comporta il venir meno della consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato, prevista da specifiche fonti normative; e ciò per evidenti ragioni di rispetto dell'autonomia regionale. Peraltro, ciò non significa che alle Regioni sia preclusa la facoltà di avvalersi degli organi consultivi dello Stato, quale il Consiglio di Stato, cui spetta istituzionalmente la funzione consultiva . (Consiglio Stato a. gen. , 24 aprile 1980, n. 30)».

In particolare il parere è stato espresso su alcune questioni rilevanti in materia di procedure di stabilizzazione del pubblico impiego adottate dalle regioni a statuto ordinario: 1) la compatibilità dell'intervento con i principi di coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 117, comma 3, Cost., fissati dalla legge statale; 2) la compatibilità dell'intervento con i principi fondamentali esistenti in materia di pubblico impiego fissati dalla legge statale (ai sensi dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001 e delle leggi finanziarie che, dettando una disciplina della stabilizzazione valida per tutte le amministrazioni, hanno fissato principi che non possono non essere applicati anche alle regioni); 3) la compatibilità dell'intervento con gli insegnamenti della Corte Costituzionale in materia di concorsi pubblici riservati al personale dipendente già in servizio.

Sulla costituzionalità delle norme abilitanti il potere normativo secondario

Con il parere n. 2546/2011 del 19 dicembre, la Sezione Consultiva si è trovata a dubitare della fonte normativa rappresentante la base giuridica di un d.P.C.M. in materia di pubblico impiego: tale fonte infatti è collocata in un decreto legislativo correttivo al codice dell'amministrazione digitale sicché potrebbe avanzarsi il dubbio che la norma fonte del d.P.C.M. in esame sia collocata in un testo che non appare strettamente legato alla materia del pubblico impiego, «tanto da indurre a dubitare dell'esistenza stessa di una delega a sostegno della normativa primaria».

La Sezione Consultiva paventa dunque un vizio di eccesso di delega della norma primaria abilitante il potere regolamentare, che se accertata travolgerebbe la norma secondaria rappresentata dall'emanando d.P.C.M., concludendo però per un self-restraint: «Tale tematica tuttavia non è rilevante in sede consultiva, non essendo possibile per il Consiglio di Stato in sede consultiva, salvo che non si tratti di ricorsi straordinari al Capo dello Stato, sollevare questioni di costituzionalità delle leggi innanzi alla Corte Costituzionale».

In conclusione e per completezza, si rileva che l'Adunanza Generale, nel quadrimestre in esame, si è pronunciata una sola volta (parere n. 1535/2011 del 23 novembre 2011), ma non in materia di atti normativi, rispondendo infatti al quesito, proposto dalla Consob, in ordine alla natura giuridica della Camera di Conciliazione ed Arbitrato, istituita ai sensi del d.lgs. 8 ottobre 2007, n. 179 presso la Consob stessa.

Osservatorio sulle fonti

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