Fonti internazionali

A cura di Annalisa Ciampi, con la collaborazione di Deborah Russo, Giulia Bazzoni, Federico Gianassi e Agnese Vitale


 

Il Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 29-bis, comma 1, e 30, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 ("Diritto del minore ad una famiglia"), nella parte in cui impediscono a persone non coniugate residenti in Italia di accedere alla procedura per l'adozione internazionale. Secondo il giudice rimettente, tale divieto viola gli articoli 2 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (d’ora innanzi “CEDU”), in quanto comprime il diritto alla vita privata e all’autodeterminazione, senza garantire un'effettiva tutela dell’interesse del minore.
La ricorrente, R.B., persona non coniugata, aveva chiesto l’idoneità per l’adozione internazionale di un minore. Dopo un’indagine psico-socio-familiare, era risultata idonea, ma non poteva procedere nella domanda a causa dell’esclusione normativa prevista dagli artt. 29-bis e 30 della legge 184/1983. Nella sua ordinanza il giudice rimettente faceva leva su una pluralità di argomentazioni: innanzitutto, il rilievo dell’interesse del minore a crescere in un ambiente familiare stabile e affettuoso, non necessariamente fondato sul matrimonio, e il riconoscimento nella pluralità dei modelli familiari, delle famiglie monoparentali.

Introduzione

La questione di costituzionalità, sfociata nell’attesa sentenza n. 95/2025, si fonda su quattordici ordinanze di rimessione  che sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 114 del 2024, che ha abrogato l’art. 323 cod. pen., in riferimento complessivamente: all’art. 3 Cost.; all’art. 97 Cost,  agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., ovvero al solo art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi discendenti complessivamente dagli artt. 1, 5, 7, paragrafo 4, 19 e 65 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida o UNCAC).

In sintesi, i rimettenti sostengono in primo luogo che la scelta legislativa di abolire il delitto di abuso di ufficio contrasti con gli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione di Mérida; con conseguente illegittimità costituzionale della disposizione censurata in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. (ovvero, secondo talune ordinanze, al solo art. 117, primo comma, Cost.).

Cass. civ., Sez. III, 17 marzo 2025, n. 7128

1. Introduzione

Con la sentenza n. 7128 del 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, si è pronunciata sull’ambito applicativo dell’art. 391-quater c.p.c., introdotto con la riforma del 2022 al fine di adeguare l’ordinamento interno agli obblighi derivanti dall’art. 46 CEDU, che impone agli Stati contraenti di conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo.

La questione oggetto del giudizio riguardava la proponibilità di un ricorso per revocazione avverso una sentenza passata in giudicato (n. 15721/2011), successivamente dichiarata in contrasto con la Convenzione EDU da parte della Corte di Strasburgo, ma priva di incidenza diretta su uno status personale.

Cass. civ., Sez. I, 5 giugno 2025, n. 15075

1. Introduzione

Con la sentenza n. 15075 del 5 giugno 2025, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dal Ministero dell’Interno avverso il decreto della Corte d’appello di Brescia, che aveva riconosciuto il diritto della madre intenzionale – unita civilmente alla madre biologica – a essere indicata quale genitore nei certificati di nascita di due minori, nati in Italia a seguito di fecondazione eterologa praticata all’estero.
Si tratta di una pronuncia di rilievo sistemico, resa possibile dalla sopravvenuta sentenza n. 68 del 2025 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40/2004, nella parte in cui non consente il riconoscimento, sin dalla nascita, del legame di filiazione tra il nato e la madre intenzionale che abbia partecipato al progetto genitoriale condiviso.

La sentenza Niort c. Italia[1], pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 27 marzo 2025, riaccende i riflettori sulle persistenti criticità del sistema penitenziario italiano, questa volta con riferimento alla detenzione di persone affette da gravi disturbi psichiatrici. Il caso riguarda Simone Niort, un uomo nato nel 1997, detenuto nel carcere di Sassari, affetto da disturbo borderline e antisociale della personalità, con un quadro clinico compromesso sin dall’infanzia. Fin dal suo ingresso in carcere, la sua detenzione è stata caratterizzata da continui episodi di grave agitazione, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo, in un contesto che si è rivelato profondamente incapace di garantire una presa in carico terapeutica adeguata.

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Osservatorio sulle fonti

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