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Anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il giudice comune non può disapplicare il diritto interno contrastante con la CEDU (2/2011)

Sent. n. 80/2011 – giudizio di costituzionalità in via incidentale

Deposito dell’11/03/2011 – Pubblicazione in G.U. del 16/03/2011

 

Motivi della segnalazione

Nella sentenza n. 80/2011 la Corte ha dichiarato inammissibili o infondate due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge n. 1423/1956 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) nella parte in cui non consente che, a richiesta di parte, il procedimento in materia di applicazione di misure di prevenzione – dinanzi, rispettivamente, al Tribunale e alla Corte d’appello, ovvero alla Corte di cassazione – venga trattato in udienza pubblica.

La sentenza in esame risulta meritevole di segnalazione perché la parte privata aveva chiesto, in subordine alla declaratoria d’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, che fosse rilevata l’inammissibilità della questione per effetto della sopravvenuta entrata in vigore del Trattato di Lisbona: “Secondo la parte privata, le innovazioni recate da detto Trattato ... avrebbero comportato un mutamento della collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti, tale da rendere ormai inattuale” la ricostruzione della CEDU stessa, come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla stregua di norma interposta nel giudizio di legittimità in relazione all’art. 117, comma 1, Cost. (sentenze nn. 348 e 349 del 2007). “Alla luce del nuovo testo dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, dette disposizioni sarebbero divenute, infatti, parte integrante del diritto dell’Unione: con la conseguenza che ... i giudici comuni ... risulterebbero abilitati a non applicare le norme interne ritenute incompatibili con le norme della Convenzione, senza dover attivare il sindacato di costituzionalità. Varrebbe, infatti, al riguardo, la ricostruzione dei rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, quali sistemi distinti e autonomi, operata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte sulla base del disposto dell’art. 11 Cost.”. L’effetto diretto delle disposizioni della CEDU, inoltre, non potrebbe essere revocato in dubbio qualora, come nel caso della pubblicità dei procedimenti applicativi delle misure di prevenzione, una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo abbia già riconosciuto una violazione da parte dell’Italia.

La Corte ribadisce quindi che prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona la CEDU – sulla base di un indirizzo giurisprudenziale della Corte di giustizia delle Comunità europee, poi codificato all’art. 6 TUE – non rilevasse nell’ordinamento dell’UE in quanto tale, bensì in via strumentale, in quanto da essa e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri si traevano i principi generali del diritto comunitario che l’Unione era tenuta a rispettare. Ne derivava, perciò, l’impossibilità di riferire la CEDU al parametro dell’art. 11 Cost., con ciò che ne sarebbe derivato in termini applicativi. A favore di questa conclusione militavano, inoltre, tre ordini di ragioni: a) la non riconducibilità del Consiglio d’Europa all’ordinamento sovranazionale dell’UE; b) la rilevanza dei principi generali del diritto comunitario esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile; c) il fatto che il rapporto tra CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri rimanesse rimesso alle variegate discipline nazionali.

“In una inequivoca prospettiva di rafforzamento dei meccanismi di protezione dei diritti fondamentali”, il nuovo testo dell’art. 6 TUE prevede, fra l’altro, che “l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” e che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione ... e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. A queste due fonti si affianca ora la c.d. Carta di Nizza, cui è riconosciuto il medesimo valore giuridico dei Trattati.

La Corte rileva, tuttavia, che “Con riferimento a fattispecie quali quella che al presente viene in rilievo, da nessuna delle predette fonti di tutela è, peraltro, possibile ricavare la soluzione prospettata dalla parte privata”. In primo luogo, non è ancora avvenuta l’adesione dell’UE alla CEDU: “la statuizione del paragrafo 2 del nuovo art. 6 del Trattato resta, dunque, allo stato, ancora improduttiva di effetti. La puntuale identificazione di essi dipenderà, ovviamente, dalle specifiche modalità con cui l’adesione stessa verrà realizzata”. Il richiamo alla CEDU contenuto all’art. 6, par. 3, TUE, invece, non fa che riprendere la forma di protezione preesistente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e su cui si basava la ricostruzione compiuta dalla Corte costituzionale nelle sentenze “gemelle” del 2007. Lo stesso si può dire anche della Carta di Nizza, “la cui equiparazione ai Trattati avrebbe determinato, secondo la parte privata, una ‘trattatizzazione’ indiretta della CEDU, alla luce della ‘clausola di equivalenza’ che figura nell’art. 52, paragrafo 3, della Carta”. Valgono anche in questo caso, come già per i principi generali dell’ordinamento comunitario, le considerazioni svolte a proposito dell’ambito di applicazione di tali fonti di protezione dei diritti fondamentali: “in sede di modifica del Trattato si [è] inteso evitare nel modo più netto che l’attribuzione alla Carta di Nizza dello ‘stesso valore giuridico dei Trattati’ abbia effetti sul riparto delle competenze fra Stati membri e istituzioni dell’Unione. L’art. 6, paragrafo 1, primo alinea, del Trattato stabilisce infatti che ‘le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati’”. La Corte ne trae la conseguenza che la Carta di Nizza non può, “con ogni evidenza”, costituire “uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea, come del resto ha reiteratamente affermato la Corte di giustizia”. “Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, dunque, che la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo ... e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto. Nel caso di specie ... detto presupposto difetta”.

Osservatorio sulle fonti

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