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Leggi di interpretazione autentica e principio di non retroattività (1/2012)

Sentenza n. 271/2011 - Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 21/10/2011 Pubblicazione in G. U. 26/10/2011

Motivi della segnalazione

Nel giudizio in epigrafe, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 44, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l'anno 2008 ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8).

La disposizione impugnata è una norma di interpretazione autentica dell'art. 7, comma 6, della legge regionale n. 8 del 2005, secondo la quale tale ultima previsione deve essere intesa nel senso che nel concetto di retribuzione lorda (ai fini della determinazione della indennità supplementare pari a otto mensilità della retribuzione spettante ai dipendenti titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di perfezionamento dell'accordo risolutivo) va escluso il rateo di tredicesima mensilità.

La decisione merita di essere segnala poiché con essa la Corte costituzionale torna sui limiti delle disposizioni di interpretazione autentica con alcune utili precisazioni in riferimento al principio di non retroattività delle leggi.

La Corte ricorda infatti che «il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010, n. 24 del 2009, n. 170 del 2008 e n. 234 del 2007). Al riguardo «non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere interpretativo, e sia perciò retroattiva, ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Invero, in entrambi i casi si tratta di accertare se la retroattività della norma, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo il disposto dell'art. 25, secondo comma, Cost., trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (ex plurimis: sentenze n. 93 del 2011, n. 234 del 2007 e n. 374 del 2002). Nella decisione la Corte richiama quindi i limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi individuati nella propria giurisprudenza: limiti attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali, tra cui il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto d'introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994).

Alla luce di tale giurisprudenza, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità della disposizione impugnata, non avendo essa imposto una scelta rientrante tra le possibili varianti di senso del testo originario, ma avendo realizzato, con efficacia retroattiva, una sostanziale modifica della normativa precedente. Tale innovazione legislativa ha quindi inciso, in violazione dell'art. 3 Cost., in modo irragionevole sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, «che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto» (in senso analogo, si vedano le sentenze n. 209 del 2010 e n. 236 del 2009), in quanto i dipendenti regionali, nel proporre l'accordo di risoluzione consensuale e nel sottoscrivere il relativo contratto, avevano riposto un legittimo affidamento nel fatto che, per la determinazione dell'indennità, si dovesse tenere conto anche della tredicesima mensilità.

Osservatorio sulle fonti

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