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Notizia n. 1: Le modifiche alla Legge "Pinto" introdotte dal Legislatore: dubbi sulla compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (3/2012)

La Convenzione europea per i diritti dell'uomo e la Legge Pinto.

Con decreto legge n. 83, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 22 giugno 2012, poi convertito in legge (n. 134/2012) pubblicata in Gazzetta ufficiale in data 7 agosto 2012, il Governo italiano ha adottato misure urgenti per la crescita.

L'articolo 55 del suddetto provvedimento introduce alcune significative modifiche alla legge n. 89/2001 (c.d. legge Pinto).

Con la legge Pinto fu prevista la possibilità per quanti siano stati parte in un procedimento giudiziario che ha ecceduto i termini di ragionevole durata di richiedere un indennizzo attraverso la presentazione di un ricorso straordinario presso la Corte di Appello competente. Tale strumento fu introdotto dal Legislatore italiano per limitare il numero di ricorsi che venivano presentati alla Corte europea contro l'Italia per violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

La convenzione, trattato multilaterale in vigore dal 1953 e ratificato dall'Italia nel 1955 (legge n. 848/1955), elenca, infatti, i diritti fondamentali che gli Stati debbono rispettare. La Convenzione ha inoltre istituito la Corte alla quale possono ricorrere le persone fisiche per denunciare pretese violazioni alla convenzione da parte degli Stati membri. I giudici della Corte possono condannare gli Stati, se riscontrano sussistere la violazione lamentata, anche al pagamento di un equa soddisfazione in favore del ricorrente. Sono dunque i giudici della Corte dei diritti dell'uomo depositari della corretta interpretazione ed applicazione della convenzione.

In particolare, l'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione riconosce il diritto di ogni persona a che la causa, di cui è parte, sia esaminata e decisa entro un lasso di tempo ragionevole. La durata ragionevole è infatti elemento costitutivo del diritto ad un processo equo. L'articolo 13 della Convenzione afferma invece il diritto dei cittadini ad un ricorso effettivo contro ogni possibile violazione della Convenzione.

Le novità introdotte dal Decreto Legge 83/2012 convertito in Legge 134/2012

Le novità introdotte dalla normativa sono significative ed attengono a diversi aspetti.

Ad esempio, con la riformulazione dell'articolo 2, comma secondo, della legge 89/2001 viene imposto al giudice del procedimento di accertare la complessità del caso e il comportamento delle parti del giudizio in cui si è ecceduta la ragionevole durata. Si può presumere che tale accertamento debba essere condotto al fine di valutare se c'è stata violazione della ragionevole durata del procedimento. Tale obbligo, che viene imposto al giudice in merito alla verifica della sussistenza della eventuale violazione, si collega a quanto previsto all'articolo 2 bis e 2, comma secondo quinquies.

L'articolo 2 bis stabilisce l'esatta quantificazione dell'indennizzo che spetta alla parte. Nel determinare tale ammontare il giudice dovrà tenere conto del comportamento delle parti e del valore della controversia.

L'articolo 2 comma secondo quinquies stabilisce invece alcuni casi nei quali viene espressamente escluso l'indennizzo. Si tratta di casi in relazione ai quali il Legislatore ritiene che alla Parte debbano essere attribuite alcune responsabilità nella lunghezza del giudizio.

Un ulteriore elemento di novità attiene alla precisa individuazione, contenuta nell'articolo 2, comma 2 bis, dei tempi il cui sforamento determina violazione del principio della ragionevole durata.

Inoltre, il nuovo articolo 3 modifica radicalmente la procedura da attivare per chiedere ed ottenere l'indennizzo. A decidere è un giudice monocratico che inaudita altera parte emette un decreto su domanda di ingiunzione di pagamento presentata ad istanza di parte. Contro il decreto è possibile fare opposizione aprendo così un giudizio che comunque è destinato a concludersi in pochi mesi.

L'articolo 4 prevede invece un termine di proponibilità. La domanda per la riparazione può essere posta solo entro 6 mesi dal momento in cui la decisione che definisce il procedimento è divenuta definitiva.

Infine, significativa novità attiene anche a quanto previsto dall'articolo 5 quater che stabilisce che, se la domanda di indennizzo è giudicata inammissibile o manifestamente infondata, la parte è condannata al pagamento di una ammenda che è compresa tra le 1.000 euro e le 10.000 euro.

I profili di dubbia compatibilità con la Convenzione europea

Si tratta ora di stabilire se le modifiche alla legge Pinto introdotte dal Legislatore possano essere considerate compatibili con il sistema della convenzione europea per i diritti dell'uomo, così come ricostruito dai giudici della CEDU, al cui rispetto l'Italia è tenuta. E' bene infatti precisare che tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la ratifica della CEDU c'è anche l'obbligo di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato nel significato attribuito dalla Corte, che è stata specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione.

In merito all'intervento operato dal legislatore italiano può dirsi che alcuni aspetti non sembrano sollevare particolare criticità. In particolare, non pone problemi di compatibilità la procedura interna che la parte deve instaurare per ottenere l'indennizzo. La procedura precedentemente in vigore è stata radicalmente modificata. L'obiettivo perseguito con la modifica è lo snellimento delle procedure. Non vengono dunque meno le esigenze di celerità e speditezza. Inoltre, la nuova procedura dovrebbe sgravare l'ampio numero di ricorsi attualmente pendenti in cassazione. L'unico aspetto che meriterebbe un ulteriore approfondimento attiene alla documentazione che la parte deve esibire. Le copie autentiche degli atti del giudizio di primo grado costituiscono un appesantimento, anche economico, per l'espletamento del ricorso rispetto al sistema previgente.

Scenari più critici si aprono invece per altre modifiche. Tralasciamo gli aspetti critici non attinenti alle ricadute sulla compatibilità con la convenzione europea. Lo strumento utilizzato infatti non appare appropriato. Si può dubitare infatti che ricorrano i requisiti di urgenza e necessità che legittimano il ricorso da parte del Governo allo strumento del decreto legge. Purtroppo, invece, sempre più spesso la prassi mostra l'abuso nell'utilizzo di tale strumento legislativo.

Altri interventi hanno invece una ricaduta sugli obblighi internazionali. Alcune critiche peraltro sono state già rilevate in sede internazionale. Infatti, la Direzione generale dei diritti dell'uomo e dello Stato di diritto, organo del Segretariato del Consiglio d'Europa, già in data 8 agosto ha scritto al Governo italiano sollevando alcune criticità che l'Italia dovrebbe risolvere.[1]

In primo luogo, la nuova previsione di cui all'articolo 4 della legge Pinto in forza della quale la parte è obbligata ad attendere la conclusione definitiva del giudizio prima di adire lo strumento previsto dalla legge Pinto è contraria alla giurisprudenza CEDU (tra gli altri, Robert Lesjak v. Slovenia, n. 33946/03, Pasquale De Simone v. Italia, n. 42520/1998 in cui la Corte ha stabilito che le vittime del diritto ad una ragionevole durata del processo possono far valere il diritto all'indennizzo prima della conclusione definitiva del giudizio quando la ragionevole durata è stata superata). Non pone invece problemi di compatibilità con la convenzione europea la conferma del termine di decadenza per la presentazione della domanda.

In secondo luogo, mediante le modifiche normative è stato previsto che l'indennizzo può essere richiesto solo se il procedimento non si è concluso nell'arco di 6 anni (articolo 2, comma 2 ter). Tuttavia, la giurisprudenza CEDU ha più volte statuito che anche procedimenti di durata inferiore a 6 anni possono legittimare l'ottenimento di un indennizzo (Santina Pelosi v. Italy, n. 51165/1999; Di Meo and Masotta v. Italy, n. 52813/1999; Nuvoli v. Italy, n. 41424/1998).

Può poi essere evidenziata una ulteriore criticità. Le modifiche normative hanno previsto che il quantum dell'indennizzo non può superare il valore della causa o del diritto in concreto accertato dal giudice nel procedimento in cui è violata la ragionevole durata (articolo 2 bis, comma terzo). Tale limite non è previsto né nella convenzione né nella giurisprudenza CEDU.

Viene inoltre confermata la precedente previsione della legge in forza della quale il giudice liquiderà l'indennizzo solo in relazione al periodo di tempo eccedente la durata ragionevole (art. 2 bis comma 1). Anche tale previsione è in contrasto con la giurisprudenza CEDU che ha più volte ribadito che, ecceduti i termini della ragionevole durata, il procedimento nel suo complesso risulta essere in violazione della convenzione europea (in tal senso tra le altre sentenza Apicella c. Italia, n. 64890/01; sentenza Cocchiarella c. Italia, n. 64886/01). Sembra invece corretta la nuova previsione che stabilisce l'ammontare dell'indennizzo (art. 2 bis comma 1) poiché tale previsione è coerente con quanto statuito dai giudici della CEDU.

Inoltre, appare criticabile la nuova previsione in forza della quale l'indennizzo è escluso se una parte abbia rifiutato il regolamento amichevole proposto dal giudice. Si tratta infatti di un limite ancora una volta non previsto nella convenzione e nella giurisprudenza CEDU.

E' da considerare poi che le nuove previsioni normative di cui all'articolo 2 comma 2 sembrano attribuire al giudice notevoli (ed eccessivi) margini di discrezionalità nella valutazione delle circostanze del caso concreto anche in relazione al comportamento tenuto dalle parti. Non diversamente il nuovo articolo 2 comma 2 quinquies prevede alcune ipotesi in cui l'indennizzo è escluso in conseguenza del comportamento tenuto dalle parti (ad esempio, in caso di condanna della parte per lite temeraria; in caso di estinzione del reato per prescrizione se è stato determinante un comportamento dilatorio della parte). Tuttavia, tali previsioni sollevano alcuni dubbi di coerenza con il sistema della convenzione perché l'obbligo di assicurare la ragionevole durata del procedimento grava sugli organi dello Stato i quali dovrebbero garantire un processo in tempi ragionevoli quando anche le Parti avessero assunto comportamenti dilatori.

Infine, la previsione per cui l'indennizzo viene pagato nei limiti delle risorse disponibili non è coerente con il sistema della convenzione europea. Lo Stato italiano dovrebbe piuttosto preoccuparsi di realizzare un sistema di finanziamento adeguato per fare fronte ai propri obblighi (in tal senso, era già stata chiara la sentenza Simaldone v. Italy, n. 22644/2003; Gaglione c. Italia, n. 45867/2007).

E' poi da evidenziare che suscita perplessità anche la previsione di cui al nuovo articolo 5 quater in forza del quale è stabilito che, se la domanda per equa riparazione è dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice può condannare il ricorrente al pagamento di una ammenda compresa tra 1.000,00 euro e 10.000,00 euro. Tale previsione potrebbe svolgere una funzione dissuasiva alla presentazione di un ricorso che però è finalizzato ad ottenere soddisfazione per violazione di un diritto previsto nella convenzione.

Conclusioni

Con il decreto legge 83 poi convertito in legge 134 il Legislatore ha adottato alcune significative modifiche alla legge Pinto. In particolare, è stata modificata la procedura interna finalizzata all'ottenimento di un indennizzo per assicurare maggiore celerità. Tuttavia, altri interventi sollevano dubbi di compatibilità con la Convenzione europea per i diritti dell'uomo. Tali dubbi sono stati peraltro evidenziati prontamente dal Segretariato generale della Direzione generale dei diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa che ha chiesto all'Italia di adoperarsi per adottare le modifiche che rendano compatibile la normativa nazionale con la Convezione. Tra gli interventi più problematici sono da menzionare il ruolo eccessivamente ampio riconosciuto al giudice nel valutare il comportamento delle parti, il divieto di concedere l'indennizzo se il giudizio è durato meno di 6 anni e l'impossibilità di chiedere l'indennizzo prima che il giudizio sia divenuto definitivo e sempre che siano trascorsi 6 anni.

[1] La comunicazione può essere letta sul sito http://www.marinacastellaneta.it/wp-content/uploads/2012/09/2012dd806DH.pdf.

 

Osservatorio sulle fonti

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