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UE - Le sentenze della Corte di giustizia nelle cause C-396/11, Radu e C-399/11, Melloni (1/2013)

Ancora sulla rilevanza dei diritti fondamentali - quali garantiti dalla Carta UE e dalle costituzioni nazionali - nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo

Nell’arco di poco meno di un mese, la Corte di giustizia, nella composizione della Grande Sezione, ha deliberato due sentenze in cui emerge ancora il delicato rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali della persona e una cooperazione giudiziaria efficace ed efficiente nell’ambito del sistema del mandato d’arresto europeo, istituito dalla decisione quadro 2002/584/GAI.[1] Nella sentenza Radu, emessa il 29 gennaio 2013, la Corte era sostanzialmente chiamata a chiarire se l’omessa audizione della persona destinataria di un mandato d’arresto europeo finalizzato all’esercizio dell’azione penale costituisce una violazione dei diritti garantiti dagli articoli 47 e 48 della Carta, idonea a giustificare un eventuale rifiuto di eseguire il mandato al di là dei motivi di non esecuzione, obbligatori e facoltativi, previsti dalla decisione quadro. Invece, nella sentenza Melloni, emessa il 26 febbraio 2013 e originata da un rinvio pregiudiziale proposto dal Tribunal Constitucional (Corte costituzionale spagnola), la Corte era chiamata ad esaminare la compatibilità dell’art. 4 bis della decisione quadro 2002/584/GAI, nella versione modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI,[2] con gli articoli 47 e 48, par. 2, della Carta. Inoltre, il giudice del rinvio chiedeva anche alla Corte di interpretare l’art. 53 della Carta, onde chiarire se il richiamo al livello di protezione garantito dalle costituzioni nazionali - e più alto rispetto a quello della Carta stessa - deve essere interpretato come una deroga al principio del primato del diritto dell’Unione europea.

 

Di seguito, si riportano brevemente i fatti all’origine dei due rinvii pregiudiziali, le questioni giuridiche sottoposte all’attenzione della Corte e le risposte fornite dalla stessa, cominciando dalla sentenza Radu e proseguendo con la sentenza Melloni.

La Curtea de Apel Constanţa (Corte d’appello di Costanza, Romania) veniva richiesta di dare esecuzione a quattro mandati d’arresto europei spiccati da altrettante corti tedesche al fine di esercitare l’azione penale nei confronti del Sig. Radu. Il giudice rumeno disponeva l’esecuzione di tre mandati, ma sospendeva il quarto, adducendo che il sig. Radu era sottoposto a procedimento penale in Romania per il medesimo fatto che era alla base del suddetto mandato. Pertanto, la sua consegna veniva sospesa fino alla definizione del procedimento penale pendente. Questa decisione veniva successivamente cassata dalla Înalta Curte de Casație şi Justiție a României (Alta Corte di Cassazione e di Giustizia della Romania). A questo punto, il Sig. Radu si opponeva, dinanzi alla Curtea de Apel Constanţa, alla esecuzione dei quattro mandati, affermando che, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la decisione quadro 2002/584/GAI doveva essere interpretata e applicata in conformità alla Carta. Il giudice rumeno decideva di rivolgere alla Corte di giustizia sei questioni pregiudiziali in merito.

Cinque questioni, secondo la riformulazione operata dalla Corte di giustizia (para. 23), erano, in sostanza, volte a chiarire se l’esecuzione del mandato d’arresto europeo può essere rifiutata in caso di non conformità dello stesso ai diritti fondamentali, anche laddove si ricada al di fuori delle ipotesi di non esecuzione previste dalla decisione quadro. In particolare, la pretesa violazione degli artt. 48 e 49 della Carta consisteva nella mancata audizione del Radu prima dell’emissione dei mandati finalizzati all’esercizio dell’azione penale. Con la quinta questione, che la Corte ha invece dichiarato irricevibile in quanto ipotetica, il giudice del rinvio chiedeva se è possibile rifiutare di eseguire il mandato nel caso in cui la citata decisione quadro non sia stata trasposta nello Stato membro di emissione. Il Radu aveva infatti argomentato che la normativa tedesca di trasposizione della decisione quadro era stata dichiarata incostituzionale e nulla dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale della Germania), con sentenza del 18 luglio 2005, prima dell’adozione di una nuova legge. A tal riguardo, la Corte di giustizia ha osservato che il fatto stesso che dei giudici tedeschi avevano emesso dei mandati d’arresto europeo provava con tutta evidenza l’avvenuta trasposizione della decisione quadro al momento della loro emissione (para. 24).

Venendo dunque ad esaminare congiuntamente le cinque questioni dichiarate ricevibili, la Corte di giustizia ha innanzitutto ricordato, in linea con la sua precedente giurisprudenza, che «gli Stati membri possono rifiutare l’esecuzione di un mandato siffatto soltanto nei casi di non esecuzione obbligatoria previsti all’articolo 3 della [decisione quadro] nonché nei casi di non esecuzione facoltativa di cui ai suoi articoli 4 e 4 bis» (para. 36; si veda anche la sentenza 16 novembre 2010, C‑261/09, Mantello [2010], in Raccolta, I‑11477, para. 37).[3] La Corte ha poi evidenziato la differenza circa i motivi di non esecuzione relativi a pretese violazioni dei diritti della difesa, a seconda che si tratti di un mandato per l’esecuzione di una condanna, emessa a seguito di procedimento contumaciale - nel qual caso «la violazione dei diritti della difesa (…) può, a talune condizioni, costituire un motivo di non esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà» (para. 37) -, ovvero di mandato finalizzato all’esercizio dell’azione penale - rispetto al quale «la persona ricercata sia stata sentita dalle autorità giudiziarie emittenti non rientra nel novero dei motivi di non esecuzione di un siffatto mandato, quali previsti dalle disposizioni della decisione quadro 2002/584» (para. 38).

A quest’ultimo proposito, la Corte ha poi precisato che, al contrario di quanto affermato dal Radu, il fatto che non sia necessario sentire la persona prima dell’emissione di un mandato d’arresto europeo nei suoi confronti non integra una violazione degli artt. 47 e 48, par. 2, della Carta. Invero, se così fosse stato, la decisione quadro, in quanto fonte subordinata alla Carta - che, ai sensi dell’art. 6, par. 1, TUE «ha lo stesso valore giuridico dei Trattati» - avrebbe dovuto essere, se possibile, interpretata in modo da evitare il contrasto con la Carta stessa, o altrimenti dichiarata invalida (verosimilmente, nei limiti dell’incompatibilità ravvisata). Ad avviso della Corte, un tal problema non si pone, tuttavia, dal momento che il legislatore UE ha realizzato, rispetto allo specifico aspetto in questione, un corretto bilanciamento tra la protezione delle garanzie procedurali fondamentali delle persone interessate da un mandato d’arresto europeo e le finalità di questo peculiare strumento di cooperazione giudiziaria. Da un lato, la Corte ha rilevato che «un obbligo, per le autorità giudiziarie emittenti, di sentire la persona ricercata prima dell’emissione di un siffatto mandato d’arresto europeo vanificherebbe inevitabilmente il sistema (...) previsto dalla decisione quadro (...) dal momento che (...) [il] mandato d’arresto deve potersi giovare di un certo effetto sorpresa» (para. 40); dall’altro, ha tuttavia evidenziato che «[i]n ogni caso, il legislatore europeo ha garantito il rispetto del diritto all’audizione nello Stato membro di esecuzione in modo tale da non compromettere l’efficacia del meccanismo del mandato d’arresto europeo» (para. 41).

Per tali motivi, la Corte ha concluso che l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale non può essere rifiutata a motivo del fatto che la persona ricercata non è stata sentita nello Stato membro emittente prima dell’emissione di tale mandato d’arresto.           

Passando alla sentenza Melloni, si deve in primo luogo evidenziare che questa ha avuto origine dal primo rinvio pregiudiziale effettuato dal Tribunal Constitucional. I fatti della causa ed il contesto giuridico in cui si inscrivono le questioni sollevate dalla Corte costituzionale spagnola possono essere sintetizzati in questi termini.[4] Il Sig. Melloni veniva condannato per bancarotta fraudolenta dal Tribunale di Ferrara, a seguito di un procedimento contumaciale. Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Bologna emetteva un mandato d’arresto europeo nei confronti del Melloni, che veniva arrestato in Spagna. Il giudice spagnolo competente autorizzava l’esecuzione del mandato con ordinanza. Avverso la stessa, il Melloni proponeva un recurso de amparo al Tribunal Constitucional, adducendo una violazione indiretta dei requisiti tassativamente imposti dal diritto a un processo equo sancito dall’articolo 24, par. 2, della Costituzione spagnola.

Si deve precisare che, nella sua sentenza n. 91 del 30 marzo 2000, la Corte costituzionale spagnola ha affermato che le autorità pubbliche spagnole si rendono responsabili di una violazione indiretta della Costituzione nazionale se autorizzano la consegna di una persona ad uno Stato che non garantisce il rispetto del cd. contenuto assoluto dei diritti fondamentali garantiti dalla stessa. Quest’ultimo è un contenuto più limitato di quello rilevante rispetto ai casi di violazione diretta della Costituzione, posto a presidio della dignità umana. Nel caso del diritto al processo equo, il contenuto assoluto comprende la garanzia che la concessione dell’estradizione verso Stati che, in caso di reati molto gravi, considerano legittime le sentenze di condanna pronunciate in absentia, sia subordinata alla condizione che gli interessati possano impugnare tali sentenze per tutelare i loro diritti della difesa. La decisione quadro istitutiva del mandato d’arresto europeo conteneva, nella sua versione originaria, una disposizione che consentiva all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di subordinare la consegna «alla condizione che l’autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d’arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro emittente», laddove la sentenza all’origine del mandato facesse seguito ad un procedimento in absentia e a condizione che una tale garanzia fosse prevista dalla legge. Tuttavia, la successiva decisione quadro 2009/299/GAI, ha soppresso l’articolo 5, par. 1, della decisione quadro 2002/584, ed ha introdotto in quest’ultima un articolo 4 bis, relativo alle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente. In estrema sintesi, questa disposizione consente ancora di dare rilievo alla garanzia di cui sopra, laddove prevista dalla legge nazionale applicabile, ma al contempo individua alcuni casi in cui ciò non è possibile. Tra questi vi è, in particolare, l’ipotesi in cui il procedimento si sia svolto in absentia per una scelta volontaria dell’imputato che, informato della data dell’udienza, ha deciso di farsi rappresentare da un legale piuttosto che partecipare personalmente.[5] Infatti, rispetto al procedimento dinanzi al Tribunale di Ferrara, il Melloni aveva conferito un mandato a due avvocati di fiducia.

Alla luce di questo contesto giuridico, nazionale e sovranazionale, il Tribunal Constitucional ha deciso di rivolgere tre questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia. Con la prima, si chiedeva di interpretare l’art. 4 bis della decisione quadro 2009/299/GAI, onde stabilire se esso osta a che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione subordini l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena alla condizione che la sentenza di condanna pronunciata in absentia possa essere oggetto di revisione nello Stato membro emittente, quando si ricade in una delle eccezioni previste dalla stessa disposizione. Con la seconda questione, proposta per l’ipotesi di risposta affermativa alla prima, si chiedeva di valutare la compatibilità dell’art. 4 bis della decisione quadro con gli artt. 47 e 48, par. 2, della Carta. Da ultimo, con la terza questione, proposta in via ulteriormente gradata, si chiedeva alla Corte di chiarire se la Spagna poteva avvalersi dell’articolo 53 della Carta, al fine di salvaguardare, anche nell’ambito di applicazione della decisione quadro, il più alto livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dalla Costituzione nazionale.

In primo luogo, la Corte di giustizia ha respinto l’argomento, proposto da alcune delle parti che hanno presentato osservazioni, secondo cui il ricorso doveva essere dichiarato irricevibile, a motivo della non applicabilità ratione temporis dell’art. 4 bis della decisione quadro al caso di specie, che per conseguenza avrebbe fatto venir meno la necessità e rilevanza del rinvio pregiudiziale. La Corte ha osservato che la decisione quadro 2009/299/GAI, per sua espressa previsione, si applica, a far data dal 28 marzo 2011, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo, tanto anteriori che posteriori (para. 31). La Corte ha anche precisato che una diversa conclusione non era imposta dalla circostanza che l’Italia si è avvalsa della facoltà, prevista da quella decisione, di rimandare fino al 1° gennaio 2014 al più tardi l’applicazione di tale decisione al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo. Ciò sulla base del rilievo che «al fine di interpretare i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione spagnola conformemente ai trattati internazionali ratificati dal Regno di Spagna, il giudice del rinvio intende prendere in considerazione le disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione al fine di stabilire il contenuto essenziale del diritto ad un processo equo garantito dall’articolo 24, par. 2, di tale Costituzione» (para. 33).

Venendo alla prima questione pregiudiziale, relativa all’interpretazione dell’art. 4 bis, par. 1, della decisione quadro, la Corte ha - abbastanza prevedibilmente - respinto la possibilità di interpretarlo nel senso che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può subordinare la consegna alla garanzia del riesame anche nelle quattro eccezioni previste da quella disposizione. Una tale interpretazione è infatti preclusa non solo dal tenore letterale dell’art. 4 bis, ma anche dalla sua analisi sistematica - si tratta, infatti, di una modifica al precedente art. 5, par. 1, che invece subordinava quella garanzia alla sola condizione che essa fosse prevista dalla legge nazionale - e dalla considerazione delle finalità che essa persegue - segnatamente, «facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale, migliorando il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri attraverso un’armonizzazione dei motivi di non riconoscimento delle decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente» - (paragrafi 39 - 43). Pertanto, la Corte di giustizia ha ritenuto che «la soluzione adottata dal legislatore dell’Unione [consiste] nel prevedere in maniera esaustiva le fattispecie nelle quali l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una decisione pronunciata in absentia deve essere considerata non lesiva dei diritti della difesa» (para. 44).

Dunque, la Corte ha proceduto all’esame della seconda questione pregiudiziale, relativa alla compatibilità dell’art. 4 bis della decisione quadro con gli artt. 47 e 48, par. 2, della Carta.[6] Facendo riferimento anche alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (par. 50), la Corte ha affermato che i diritti garantiti dalle disposizioni menzionate non costituiscono delle prerogative assolute. In particolare, per quanto riguarda il diritto dell’imputato di comparire personalmente nel processo penale, questo può essere oggetto di rinuncia da parte dell’imputato «di sua spontanea volontà, espressamente o tacitamente, a condizione che la rinuncia risulti in modo inequivocabile, che sia accompagnata da garanzie minime corrispondenti alla sua gravità, e che non contrasti con un interesse pubblico importante»; inoltre, «anche quando l’imputato non sia comparso personalmente, la violazione del diritto ad un equo processo non sussiste allorché egli è stato informato della data e del luogo del processo o è stato assistito da un difensore da lui nominato a tal fine» (par. 49). Ad avviso della Corte di giustizia, il legislatore dell’Unione avrebbe realizzato, attraverso l’art. 4 bis della decisione quadro, un corretto contemperamento delle esigenze di tutela dei diritti processuali fondamentali delle persone interessate, da un lato, ed il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri, dall’altro. Per questi motivi, la Corte ha affermato la compatibilità dell’art. 4 bis con gli artt. 47 e 48(2) della Carta.

Da ultimo, e per conseguenza, la Corte ha affrontato la terza questione pregiudiziale relativa all’art. 53 della Carta. Quest’ultima disposizione, rubricata ‘Livello di protezione’, recita che «[n]essuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri». A prima vista, questa disposizione richiama - anche nella numerazione - l’art. 53 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, che sancisce il carattere sussidiario del livello di protezione assicurato dalla stessa rispetto al livello, eventualmente più elevato, garantito dal diritto nazionale o comunque da altro diritto applicabile negli Stati contraenti. Tuttavia, se così fosse, si dovrebbe concludere nel senso che l’art. 53 della Carta avrebbe aperto una breccia al principio del primato del diritto dell’Unione, poiché almeno il livello di protezione più elevato assicurato dalle costituzioni nazionali dovrebbe essere sempre salvaguardato.[7]

Questa è comunque la prima delle possibili interpretazioni dell’art. 53 della Carta individuate dal Tribunal Constitucional nella sua ordinanza, il quale ha però anche proposto due letture alternative.[8] In base alla seconda interpretazione proposta, l’art. 53 della Carta non farebbe altro che ribadire il suo art. 51, precisando che, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione,[9] il grado di protezione dei diritti fondamentali che deve essere applicato è quello offerto dalla Carta; invece, mentre al di fuori del campo di applicazione del diritto dell’Unione, la Carta non impedirebbe di applicare gli standards di protezione dei diritti fondamentali previsti nella Costituzione di uno Stato membro. Questa interpretazione, caldeggiata dall’Avvocato generale, farebbe perno sull’inciso «nel rispettivo ambito di applicazione», di cui all’art. 53 della Carta, ed avrebbe, ad avviso dello stesso, il ‘merito’ di chiarire che, nei casi che si collocano al di fuori dell’ambito di applicazione della Carta, gli Stati membri non possono ‘approfittarsi’ di questa per abbassare il livello di protezione, eventualmente più elevato, garantito dalle proprie costituzioni nazionali.[10]

Più ambigua è invero la terza interpretazione proposta dal Tribunal Constitucional, secondo cui si dovrebbe adottare «l’una o l’altra delle prime due interpretazioni a seconda del problema concreto di protezione dei diritti fondamentali in esame e del contesto nel quale va valutato il livello di protezione che deve prevalere».[11]

La Corte di giustizia ha escluso, in modo perentorio, la prima interpretazione dell’art. 53 della Carta, che «sarebbe lesiva del principio del primato del diritto dell’Unione» (par. 58). La Corte ha quindi ricordato che «[s]econdo una giurisprudenza consolidata, infatti, in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, che è una caratteristica essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione nel territorio di tale Stato» (par. 59; si veda, al riguardo, anche la sentenza ’8 settembre 2010, causa C-409/06, Winner Wetten [2010], in Raccolta, I‑8015, par. 61).[12] Una diversa conclusione pareva, invero, assai poco ?probabile. Sembra infatti ragionevole affermare che una deroga al principio del primato,[13] sebbene nei limiti sopra descritti, avrebbe necessitato quantomeno di una formulazione più netta al riguardo.

Inoltre, la Corte ha fornito anche delle indicazioni in positivo circa la funzione dell’art. 53 della Carta. Tale disposizione «conferma che, quando un atto di diritto dell’Unione richiede misure nazionali di attuazione, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione» (par. 60). Questo rilievo sembra accogliere uno spunto dell’Avvocato Generale, secondo il quale «[o]ccorre (..) distinguere i casi in cui esiste, a livello di Unione, una definizione del grado di protezione che deve essere accordato a un diritto fondamentale in sede di attuazione di un’azione dell’Unione rispetto a quelli in cui detto livello di protezione non è oggetto di una definizione comune».[14] Mentre nel primo caso, gli Stati membri non potrebbero accordare un livello di protezione più elevato, ciò non sarebbe invece precluso nel secondo caso. Tuttavia, la Corte ha rilevato che «l’articolo 4 bis, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584 non attribuisce agli Stati membri, quando l’interessato si trova in una delle quattro situazioni indicate in tale disposizione, la facoltà di rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo» (par. 61). Al contrario, quella disposizione «procede ad un’armonizzazione delle condizioni di esecuzione di un mandato d’arresto europeo in caso di condanna in absentia, che riflette il consenso raggiunto dagli Stati membri nel loro insieme a proposito della portata da attribuire, secondo il diritto dell’Unione, ai diritti processuali di cui godono le persone condannate in absentia raggiunte da un mandato d’arresto europeo» (par. 62).

Per questi motivi, la Corte di giustizia ha escluso che uno Stato membro, al fine di evitare un abbassamento del livello di tutela del diritto ad un processo equo e ai diritti della difesa garantiti dalla sua Costituzione, possa invocare l’art. 53 della Carta per subordinare la consegna di una persona condannata in absentia alla condizione che, nello Stati membro di emissione del mandato d’arresto europeo, sia garantita la possibilità di un riesame della sentenza.



[1] G.U. 2002 L 190, p. 1 ss. 

[2] Decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 , che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo, G.U. 2009 L 81, p. 24 ss. 

[4] Per un’analisi approfondita del contesto nazionale interno, si rimanda a A. Torres Pérez, ‘Constitutional Dialogue on the European Arrest Warrant: The Spanish Constitutional Court Knocking on Luxembourg’s Door; Spanish Constitutional Court, Order of 9 June 2011, ATC 86/20111’, European Constitutional Law Review, 2012, p. 105 ss. 

[5] Il testo integrale dell’art. 4 bis, par. 1, che prevede un totale di quattro eccezioni, recita «1. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può altresì rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione, salvo che il mandato d’arresto europeo indichi che l’interessato, conformemente agli ulteriori requisiti processuali definiti nel diritto interno dello Stato membro emittente: a) a tempo debito: i) è stato citato personalmente ed è quindi stato informato della data e del luogo fissati per il processo terminato con la decisione o è stato di fatto informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo, in modo tale che si è stabilito inequivocabilmente che era al corrente del processo fissato; e ii) è stato informato del fatto che una decisione poteva essere emessa in caso di mancata comparizione in giudizio; o b) essendo al corrente della data fissata, aveva conferito un mandato ad un difensore, nominato dall’interessato o dallo Stato, per patrocinarlo in giudizio, ed è stato in effetti patrocinato in giudizio da tale difensore; o c) dopo aver ricevuto la notifica della decisione ed essere stato espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello cui l’interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria: i) ha dichiarato espressamente di non opporsi alla decisione;

o ii) non ha richiesto un nuovo processo o presentato ricorso in appello entro il termine stabilito; o d) non ha ricevuto personalmente la notifica della decisione, ma: i) riceverà personalmente e senza indugio la notifica dopo la consegna e sarà espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello cui l’interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria; e ii) sarà informato del termine entro cui deve richiedere un nuovo processo o presentare ricorso in appello, come stabilito nel mandato d’arresto europeo pertinente (…)». 

[6] L’art. 47 della Carta, rubricato ‘Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale’ recita che «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia». L’art. 48 della Carta, rubricato ‘Presunzione di innocenza e diritti della difesa’, al par. 2, prevede che «[i]l rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».  

[7] Sui dubbi sollevati da questa disposizione, si veda J.B. Liisberg, ‘Does the EU Charter of Fundamental Rights threaten the Supremacy of Community law?’, Common Market Law Review, 2002, p. 1172 ss. 

[8] Per le tre interpretazioni proposte dal Tribunal Constitucional, si vedano le ampie e interessanti conclusioni dell’AG Bot. 

[9] Si noti che, nello stesso giorno, la Corte di giustizia ha deliberato la sua sentenza nella causa C-617, Åkerberg Fransson [2013], non ancora pubblicata nella Raccolta, recensita in questo stesso fascicolo dell’Osservatorio, in cui ha chiarito che l’ambito di applicazione della Carta corrisponde a quello dei diritti fondamentali qua principi generali. 

[10] Si veda il par. 134 delle conclusioni. 

[11] Ibid., par. 95. 

[13] Confermato, peraltro, nella Dichiarazione n. 17 all’Atto Finale del Trattato di Lisbona, secondo cui «La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza. Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato nel documento 11197/07 (JUR 260): "Parere del Servizio giuridico del Consiglio del 22 giugno 2007. Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 [1]) non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio del la preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia». 

[14] Ibid., par. 124. 

 

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