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Notizia n. 1. Parziale adeguamento dell’Italia allo Statuto della Corte penale internazionale (1/2013)

     

     1. Sull’adeguamento dell’Italia allo Statuto della Corte penale internazionale mediante legge n. 237/2012

Il Parlamento italiano ha recentemente approvato la legge n. 237/2012. Con tale legge l’Italia ha provveduto, almeno parzialmente, all’adeguamento dell’ordinamento interno con le previsioni dello Statuto della Corte penale internazionale.

Il testo adottato dal Parlamento nazionale non incide, però, significativamente sul diritto penale nazionale sostanziale. Le modifiche al codice penale riguardano soprattutto l’introduzione dei reati contro l’amministrazione della Corte penale internazionale previsti dall’articolo 70 dello Statuto della Corte.

E‘ mancata dunque l’introduzione nell’ordinamento italiano delle fattispecie penali previste nello Statuto. Ciò comporta che a distanza di ben quindici anni dalla firma dello Statuto della Corte penale internazionale da parte dello Stato italiano nel nostro ordinamento non sono ancora tipizzati i crimini previsti dalla Corte.    

 

 

 

La legge nazionale n. 5 disciplina piuttosto gli aspetti relativi alla cooperazione tra Stato italiano e Corte internazionale. E per quanto concerne la cooperazione può dirsi che essa è articolata in tre distinte fasi. Innanzitutto, deve essere assicurata assistenza al Procuratore della Corte internazionale per lo svolgimento delle attività istruttorie da tenersi in territorio italiano. E’ poi prevista la cooperazione in caso di richiesta da parte della Corte di consegna dell’indagato. Infine, è stabilita la cooperazione nella fase della esecuzione dei provvedimenti disposti dalla Corte internazionale a carico di persone che si trovino sul territorio nazionale relativi a mandati di arresto, pene detentive, pene pecuniarie, a misure patrimoniali e a ordini di riparazione in favore delle vittime.

La legge è intervenuta inoltre in relazione alla procedura applicabile nel caso in cui l’Italia sia individuata dalla Corte internazionale come Stato sul cui territorio deve essere eseguita una pena detentiva.

 

     2. Le disposizioni principali della legge n. 237/2012

Il Capo I della legge contiene disposizioni generali ed individua autorità competenti e modalità di cooperazione con la Corte penale internazionale. In particolare, l'articolo 1 afferma che la cooperazione dello Stato italiano con la Corte penale internazionale avviene sulla base delle disposizioni contenute nello Statuto della Corte nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.

Il meccanismo di cooperazione previsto dalla legge prevede che al Ministro della Giustizia sia affidato il compito di Autorità centrale per la cooperazione (articolo 2). In particolare, l’articolo 3 stabilisce che in materia di consegna, di cooperazione e di esecuzione di pene si osservano le norme contenute nel codice di procedura penale nella parte relativa ai rapporti giurisdizionali con autorità straniere.

L'articolo 4 disciplina le modalità di esecuzione della cooperazione giudiziaria con la Corte penale internazionale individuando nella Corte d’appello di Roma l’autorità giudiziaria competente.

La trasmissione di atti e documenti è disciplinata dall'articolo 5 e consente al Ministro della giustizia di non procedere quando ritenga che tali attività possano compromettere la sicurezza nazionale.

L'articolo 6 disciplina il caso in cui, in esecuzione di una richiesta di assistenza della Corte penale internazionale, sia necessario citare in Italia una persona che si trova all’estero. La disposizione stabilisce che colui che entra in territorio italiano non potrà essere sottoposto a restrizione della libertà personale per fatti antecedenti alla notifica della citazione.

L'articolo 7 stabilisce inoltre l’applicabilità delle disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato anche alle procedure di esecuzione in relazione a richieste avanzate dalla Corte penale internazionale.

L’articolo 8 disciplina il caso di richieste dell’autorità giudiziaria italiana trasmesse alla Corte internazionale. La richiesta è formulata per il tramite del procuratore generale presso la corte d’appello di Roma che si rivolge al Ministro della giustizia. Se il Ministro non ottempera entro 30 giorni, il procuratore generale presso la corte d’appello potrà trasmettere direttamente la richiesta alla Corte internazionale.

L'articolo 9 prevede infine che il procuratore generale presso la corte d’appello di Roma e il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello possono assistere alle consultazioni con la Corte penale internazionale previste dallo Statuto.

 

     3. Le disposizioni della legge italiana in materia di consegna delle persone indagate o condannate dalla Corte penale internazionale

Il Capo II della legge 237 disciplina la consegna alla Corte penale internazionale di persone che si trovano sul territorio italiano.

In forza di quanto disposto dall’articolo 11, se la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto o una sentenza di condanna a pena detentiva a carico di una persona che si trovi sul territorio italiano, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma chiede alla Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. La persona destinataria della misura potrà richiedere, in forza di quanto previsto dallo statuto della Corte, la libertà provvisoria.

L’articolo 12 si sofferma sulla possibile revoca della misura. La custodia cautelare è revocata in alcuni casi. Ciò avviene se dall’inizio dell’esecuzione è trascorso un anno senza che la Corte di appello si sia pronunciata sulla richiesta di consegna; se la Corte d’appello si è pronunciata negando la consegna; se sono trascorsi venti giorni dal consenso dell’interessato alla consegna e il Ministro della giustizia non ha ancora emesso il decreto per realizzare la consegna; se sono trascorsi quindici giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte penale internazionale e la consegna non è avvenuta.

L’articolo 13 riguarda invece la procedura per la consegna. E’ richiesta una decisione emessa in camera di consiglio dalla Corte d’appello di Roma. Il giudice italiano può negare la consegna solo in alcune ipotesi. Ciò si verifica quando la Corte penale internazionale non ha emesso una sentenza irrevocabile di condanna o un provvedimento restrittivo della libertà personale; quando non vi è corrispondenza tra l’identità della persona richiesta e di quella oggetto della procedura di consegna; quando la richiesta della Corte penale internazionale contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico; quando per lo stesso fatto e per la stessa persona è già stata pronunciata in Italia una sentenza irrevocabile.

Nel caso in cui venga eccepito il difetto di giurisdizione della Corte penale internazionale, la Corte d’appello di Roma dovrà sospendere con ordinanza il procedimento in attesa di pronuncia della Corte internazionale, a meno che il difetto sollevato non sia considerato manifestamente infondato.

Sia nell’ipotesi di consenso dell’interessato, sia nell’ipotesi di favorevole pronuncia della Corte d’appello di Roma, spetta poi al Ministro della giustizia provvedere entro venti giorni alla consegna.

L’articolo 14 stabilisce infine che la misura della custodia cautelare in carcere può essere disposta provvisoriamente anche prima che pervenga dalla Corte internazionale la richiesta di consegna. In tale caso la custodia sarà revocata se entro trenta giorni la Corte penale internazionale non richiede la consegna.

 

      4. Le disposizioni della normativa nazionale in materia di esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale

Il Capo III della legge 237 disciplina l’esecuzione dei provvedimenti della Corte penale internazionale.

Ai sensi dell’articolo 15 la Corte d’appello di Roma è giudice dell'esecuzione dei provvedimenti della Corte.

Nel caso in cui l’Italia sia individuata dalla Corte internazionale come Stato di esecuzione di una pena detentiva, ai sensi dell’articolo 16 il Ministro della Giustizia deve chiedere alla Corte d’appello il riconoscimento della sentenza della Corte penale internazionale.

L’articolo 17 dispone che l’esecuzione della pena avverrà in base alle regole proprie dell’ordinamento penitenziario italiano e in conformità allo statuto e al regolamento di procedura e prova della Corte penale internazionale. Il Ministro della giustizia potrà disporre che il trattamento penitenziario del detenuto avvenga secondo il regime carcerario speciale di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario.

Ai sensi dell’articolo 18 spetta alla Corte penale internazionale il controllo sull’esecuzione carceraria e il Ministro della giustizia dovrà trasmettere immediatamente alla Corte le richieste del detenuto relative all’accesso a benefici o a misure alternative alla detenzione. Se la Corte internazionale non accetta, il Ministro può chiedere alla Corte di disporre il trasferimento del condannato in altro Stato.

L’articolo 19 disciplina gli ulteriori obblighi di tempestiva informazione alla Corte penale internazionale relativi alla situazione del condannato da parte del Ministro della Giustizia.

L'articolo 20 stabilisce che il luogo di esecuzione della pena può consistere in una sezione speciale di un istituto penitenziario o in un carcere militare.

L’articolo 21 dispone in ordine all’esecuzione delle pene pecuniarie che su richiesta del procuratore generale la Corte d’appello di Roma può provvedere all’esecuzione della confisca dei profitti e dei beni disposta dalla Corte penale internazionale. I beni confiscati vengono messi a disposizione della Corte internazionale per il tramite del Ministero della giustizia. La disposizione disciplina anche l’esecuzione degli ordini di riparazione a favore delle vittime.

Nel caso di difficoltà nell’esecuzione di provvedimenti sopra indicati l'articolo 22 disciplina la procedura di consultazione con la Corte penale internazionale.

L'articolo 23 contiene, infine, disposizioni in materia di giurisdizione prevedendo l’applicazione delle disposizioni vigenti in materia di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella penale militare. Per i fatti rientranti nella giurisdizione penale militare le funzioni attribuite al Ministro della giustizia debbono essere esercitate d’intesa con il Ministro della difesa.

 

      5. Le modifiche apportate al Codice penale

L’articolo 10 della legge non risolve il problema della esigenza della c.d. doppia incriminazione, ossia l’esigenza di introdurre anche nel nostro ordinamento le fattispecie definite dallo Statuto della Corte e per le quali la Corte penale internazionale ha giurisdizione. L’articolo 10 della legge introduce però l’articolo 322 bis del codice penale in materia di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi e funzionari dell’Unione europea e di Stati esteri, inserendo tra coloro che possono compiere i delitti anche i membri della Corte internazionale di giustizia, i funzionari e i soggetti equiparati.

Viene poi introdotto l’articolo 343 bis che estende ai membri della Corte penale internazionale e ai funzionari e soggetti equiparati l’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 336 in materia di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, all’articolo 337 in materia di resistenza a un pubblico ufficiale, all’articolo 338 in materia di violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, all’articolo 342 e 343 in materia di oltraggio a un corpo politico, amministrativo e giudiziario e oltraggio a un magistrato in udienza.

Sono poi apportate al codice penale alcune modifiche minori. All’articolo 371 bis in tema di false informazioni al pubblico ministero il procuratore della Corte penale internazionale è equiparato al pubblico ministero italiano. All’articolo 372 in materia di falsa testimonianza colui che depone dinanzi alla Corte penale internazionale è inserito tra i possibili autori del reato. La frode processuale di cui all’articolo 374 è applicabile anche in caso di procedimento penale dinanzi alla Corte penale internazionale. Il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria di cui all’articolo 374 bis può comprendere adesso anche gli atti destinati ad essere prodotti dinanzi alla Corte penale internazionale. L’ipotesi di cui all’articolo 377 in materia di intralcio alla giustizia è applicabile anche laddove le dichiarazioni siano rese dinanzi alla Corte penale internazionale. Il favoreggiamento personale di cui all’articolo 378 è esteso a colui che aiuta taluno ad eludere indagini svolte da organi della Corte penale internazionale o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi organi. Il delitto di patrocinio o consulenza infedele di cui all’articolo 380 si applica adesso anche quando l’attività sia svolta dinanzi alla Corte penale internazionale.

In sostanza, le novità maggiori riguardano l’inserimento di delitti contro la Corte, avvenuto con l’introduzione dell’articolo 322 bis relativo alla corruzione del personale della Corte e dell’articolo 343 bis relativo all’oltraggio ai giudici e ai funzionari della Corte. Ancora troppo poco però per adeguare l’ordinamento italiano allo Statuto della Corte penale internazionale. Infatti, i crimini di competenza della Corte che integrano le categorie dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio non sono previsti come tali nel nostro ordinamento.

In proposito si può rilevare che ciò può porre problemi di coerenza interni all’ordinamento. Infatti, l’articolo 13 del codice penale prevede che l’estradizione non può essere concessa se il fatto oggetto di estradizione non è previsto dalla legge italiana e da quella straniera come reato (c.d. principio della doppia incriminazione). Tuttavia, se in forza di tale considerazione l’Italia rifiutasse di consegnare un individuo incorrerebbe nella responsabilità internazionale per mancata cooperazione con la Corte penale internazionale.

Occorre dunque un impegno ulteriore del legislatore italiano con l’adozione delle fattispecie incriminatrici previste dallo Statuto della Corte. Tale ulteriore adeguamento è peraltro imposto anche dal principio di complementarietà di cui all’articolo 17 dello Statuto di Roma. Il principio attribuisce anzitutto ai singoli Stati il compito di procedere nei confronti di persone sospettate di avere commesso crimini internazionali. La giurisdizione della Corte sussiste solamente quando lo Stato avente giurisdizione non voglia o non possa procedere.

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