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La Corte lascia chiusa la porta del giudizio incidentale (ma apre quella del conflitto tra poteri) per il sindacato sui regolamenti parlamentari (2/2014)

Sentenza n. 120/2014 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 9 maggio 2014 – Pubblicazione in G.U. del 14 maggio 2014

Motivo della segnalazione

Con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica, impugnato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in riferimento agli artt. 3, 24, 102, seconda comma, 111, commi primo, secondo e settimo, e 113, primo comma, Cost., nella parte in cui attribuisce al Senato il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall'amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti dei propri dipendenti.

 

La sentenza presenta un interesse notevole, dato che offre alla Corte l'occasione per tornare a pronunciarsi sulla controversa autodichia delle Camere, segnatamente sotto il profilo della loro giurisdizione esclusiva (interna) sulle controversie con i loro dipendenti.

La Corte, in poche righe, decide per l'inammissibilità del ricorso in via incidentale sulla base del dato testuale per il quale, mentre «[n]el sistema delle fonti delineato dalla stessa Costituzione, il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall'art. 64 come fonte dotata di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria [...]», l'art. 134 Cost., indicando come sindacabili dalla Corte «la legge e gli atti che, in quanto ad essa equiparati, possono regolare ciò che rientra nella competenza della stessa legge, non consente di includere tra gli stessi i regolamenti parlamentari» (par. 4.2). Viene quindi confermata la giurisprudenza della stessa Corte, che menziona in particolare la sentenza n. 154 del 1985 e le successive ordinanze n. 444 e n. 445 del 1993.

Tuttavia, rapidamente sgombrato il campo dalla possibilità di un giudizio in via incidentale, la Corte s'interroga – parrebbe, anche sulla base degli argomenti storici e sovranazionali addotti dal giudice a quo, oltreché su riferimenti ad altri ordinamenti costituzionali – sulla sindacabilità "sostanziale" dell'autodichia, prescindendo dalla sindacabilità sugli atti-fonte nei quali si sostanzia (ovvero, i regolamenti). In particolare, quindi, prima di tutto la Corte ribadisce che per «l'ambito di competenza riservato ai regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l'organizzazione interna e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la parte non direttamente regolata dalla Costituzione [...] le vicende e i rapporti che ineriscono alle funzioni primarie delle Camere sicuramente ricadono nella competenza dei regolamenti e l'interpretazione delle relative norme regolamentari e sub-regolamentari non può che essere affidata in via esclusiva alle Camere stesse» (par. 4.3).

Subito dopo, però – ed è questo il profilo di maggiore interesse pro futuro della sentenza – la Corte ammette che «[s]e altrettanto valga per i rapporti di lavoro dei dipendenti e per i rapporti con i terzi, è questione controversa, che, in linea di principio, può dar luogo ad un conflitto fra i poteri» (par. 4.4). Si apre quindi ad un sindacato circa la "latitudine" dell'autodichia delle Camere, suggerendone apertamente lo strumento: il conflitto fra poteri dello Stato. È questa la «sede naturale», dichiara la Corte, nella quale «trovano soluzione le questioni relative alla delimitazione degli ambiti di competenza riservati è quella del conflitto fra i poteri dello Stato», come già affermato dalla stessa nella sentenza n. 379 del 1996, espressamente richiamata. Una sede nella quale la Corte si riserva di delimitare le "sfere" di competenza dei diversi organi costituzionali, a prescindere quindi dalla sua sindacabilità sugli atti diversi da quelli indicati (ancora) rigidamente dal primo comma dell'art. 134 Cost.

La questione presenta anche motivi d'interesse di natura procedurale, dato che nell'ambito del giudizio è stato ammesso (con ordinanza letta all'udienza del 25 marzo 2014) l'intervento della Camera dei Deputati, che pur non essendo parte del giudizio principale (riferito al regolamento del Senato della Repubblica) risulta «titolare di un interesse qualificato, suscettibile di essere direttamente inciso dalla pronuncia della Corte, in quanto immediatamente inerente allo specifico rapporto sostanziale dedotto nel giudizio» (cfr. sentenza n. 38 del 2009 e ordinanze n. 346 del 2001 e n. 67 del 1998).

Osservatorio sulle fonti

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