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Causa C-409/13 - Esistenza, condizioni e limiti del potere della Commissione di ritirare una propria proposta di iniziativa legislativa (2/2015)

Sentenza della Corte (grande sezione) del 14 aprile 2015, Consiglio c. Commissione[1], ECLI:EU:C:2015:217[2]

Nella sentenza che si segnala la Corte di giustizia, deliberando su un ricorso di annullamento promosso dal Consiglio dell’Unione nei confronti della Commissione, ha affermato che quest’ultima è titolare del potere di ritirare le proprie proposte di iniziativa legislativa; l’esercizio di questo potere soggiace, tuttavia, ad alcuni limiti e condizioni, il rispetto dei quali può essere controllato dalla Corte.

Il Consiglio chiedeva l’annullamento della decisione della Commissione europea di ritirare la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di disposizioni generali relative all’assistenza macrofinanziaria ai paesi terzi[3]. Formalmente, la decisione consisteva in una semplice lettera con la quale il commissario Rehn, vice-presidente della Commissione europea, aveva informato i presidenti di Parlamento europeo e Consiglio della decisione presa dal collegio dei commissari di ritirare la suddetta proposta. Tuttavia, in base ad una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, “l’azione di annullamento deve (...) potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a produrre effetti giuridici” (cfr. sent. 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione c. Consiglio (cd. causa AETS), in Raccolta, p. 263, ECLI:EU:C:1971:32). Come osservato dalla Corte, “una decisione di ritiro che interviene in circostanze come quelle del caso di specie costituisce un atto che può formare oggetto di un ricorso di annullamento, posto che (...) impedisce al Parlamento e al Consiglio di esercitare, come avrebbero voluto, la loro funzione legislativa” (par. 77).

Riferendosi alle “circostanze del caso di specie”, la Corte allude al fatto che la proposta oggetto di ritiro non era divenuta obsoleta, né la discussione sulla stessa era stata di fatto accantonata. All’origine del ritiro c’era invece una divergenza tra la Commissione, da un lato, e i due co-legislatori, dall’altro, circa un aspetto non secondario del contenuto della proposta. Nel corso delle discussioni trilaterali (i cd. triloghi), Consiglio e Parlamento avevano progressivamente raggiunto un accordo sulla necessità di modificare la proposta nella parte in cui attribuiva alla competenza esecutiva della Commissione la concessione dell’assistenza macrofinanziaria, prevedendo, invece, il ricorso alla procedura legislativa ordinaria. La Commissione, ritenendo che tale modifica avrebbe snaturato la proposta, pregiudicando l’obiettivo di assicurare la celerità del processo decisionale in materia di assistenza macrofinanziaria, aveva a più riprese reso noto che stava valutando la possibilità di ritirarla, eventualità poi messa in atto.

I Trattati non attribuiscono espressamente alla Commissione il potere di ritirare le proprie proposte di atti legislativi. L’art. 293 fa riferimento solo al potere di modifica, che la Commissione detiene fintantoché il Consiglio non ha deliberato. Ciononostante, il Consiglio non contestava la titolarità del potere di revoca, ma piuttosto il suo esercizio nel caso concreto, che sarebbe avvenuto in violazione dei principi dell’equilibrio istituzionale e di leale cooperazione tra le istituzioni dell’Unione, nonché dell’obbligo di motivare gli “atti giuridici” (art. 296, comma 2, TFUE).

Neanche la Corte di giustizia si è molto soffermata sulla titolarità da parte della Commissione di un potere di ritirare le proprie proposte, considerandolo, in sostanza, inerente al potere di iniziativa legislativa: “[c]osì come spetta, in linea di principio, alla Commissione decidere di presentare o meno una proposta legislativa e, eventualmente, determinarne l’oggetto, la finalità e il contenuto, la Commissione ha anche, fintantoché il Consiglio non ha deliberato, il potere di modificare la propria proposta ovvero, se necessario, di ritirarla” (par. 74; si veda anche il par 96, in cui la Corte afferma che non c’è violazione del principio di democrazia di cui all’art. 10 TUE, in quanto “[il] potere di ritiro della Commissione è indissolubilmente legato al diritto di iniziativa di cui tale istituzione è investita ed è inquadrato nel suo esercizio dalle disposizioni [dei Trattati]”). 

La Corte si è invece soffermata più diffusamente sul controllo della legittimità del ritiro della proposta nel caso di specie, individuando una serie di limiti al potere della Commissione. Quest’ultimo, infatti, non implica alcun “diritto di veto nello sviluppo del procedimento legislativo, [poiché ciò] sarebbe contrario ai principi di attribuzione delle competenze e dell’equilibrio istituzionale” (par. 75). Innanzitutto, la Commissione è tenuta a “esporre al Parlamento e al Consiglio i motivi [del] ritiro, i quali, in caso di contestazione, devono essere suffragati da elementi convincenti” (par. 76). Tuttavia, la motivazione non deve essere necessariamente scritta, poiché “un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto agli interessati” (par. 79). Tra i motivi idonei a giustificare il ritiro della proposta c’è il fatto che “un emendamento prospettato dal Parlamento e dal Consiglio snatura la proposta di atto legislativo in modo da ostacolare la realizzazione degli obiettivi da essa perseguiti e da privare, pertanto, detta proposta della sua ragion d’essere” (par. 83). Tuttavia, dal principio di leale cooperazione tra le istituzioni dell’Unione discende che, “[p]rima di effettuare il ritiro, [l]a Commissione deve (...) prendere in considerazione (...) le preoccupazioni del Parlamento e del Consiglio all’origine della loro volontà di emendare [la] proposta” (par. 84). Il suo ritiro si atteggia quindi come una soluzione di last resort e, in ogni caso, al pari della modifica, rimane precluso una volta che il Consiglio ha deliberato (par. 74).

La Corte ha ritenuto che questi limiti e condizioni fossero soddisfatti nel caso di specie. La Commissione ha proceduto al ritiro della proposta prima che il Consiglio deliberasse sulla stessa (par. 74) e “solo allorché è parso chiaro che [i co-legislatori] intendevano emendare tale proposta in senso contrario agli obiettivi perseguiti da quest’ultima” (par. 98), dopo aver “tentato di giungere ad una soluzione che, pur preservando gli obiettivi perseguiti dalla proposta (...), tenesse conto dell[e loro] preoccupazion[i]” (par. 103). Sebbene la lettera del vice-presidente della Commissione taccia sui motivi del ritiro, questi “[sono] stati portati sufficientemente a conoscenza del Parlamento e del Consiglio” nel corso degli incontri tra le tre istituzioni (par. 81). Infine, la Corte ha accolto la posizione della Commissione secondo cui l’emendamento proposto “avrebbe snaturato un elemento essenziale della proposta di regolamento quadro in maniera inconciliabile con l’obiettivo perseguito da tale proposta, che consisteva nel potenziare l’efficacia della politica dell’Unione in materia di [assistenza macrofinanziaria]” (par. 90).

Il ricorso proposto dal Consiglio è stato quindi respinto.



[1] Il testo della sentenza può essere letto al seguente link. 

[2] ECLI è il nuovo “Identificatore europeo della giurisprudenza” e consiste in un codice, formato da un insieme di metadati, che consente di individuare correttamente e in modo inequivocabile le sentenze in materia di diritto dell'Unione emesse da organi giurisdizionali europei e nazionali: per informazioni, si veda qui.  

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Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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