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L'Italia compie nuovi passi nel cammino dell'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale: l'attuazione delle direttive "accoglienza" e "procedure" (3/2015)

(Decreto legislativo 18 agosto 2015 n. 142 di attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e della direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale)

Con il decreto legislativo 142 del 2015, entrato in vigore lo scorso 30 settembre, l'Italia ha attuato le direttive 2013/33/UE (denominata anche direttiva "accoglienza") e 2013/32/UE (denominata anche direttiva "procedure"), entrambe rifusioni rispettivamente delle direttive 2003/9/CE e 2005/85/CE. Come è noto, le due direttive hanno ampliato la tutela riconosciuta ai richiedenti protezione internazionale nel territorio dell'Unione europea e insieme formano uno dei pilastri fondanti il sistema europeo comune di asilo. In particolare, la prima stabilisce le norme comuni relative alle modalità di accoglienza, fissando lo standard da garantire ai richiedenti protezione internazionale nelle more della definizione della procedura di esame della domanda. La seconda detta le norme volte ad armonizzare le procedure per il riconoscimento e la revoca dello status di protezione internazionale negli Stati membri dell'Unione europea.

L'attuazione delle due direttive in Italia realizza pertanto un obiettivo fondamentale della costruzione del sistema di asilo, delineando e ampliando la portata dei diritti dei migranti proprio nella fase di maggiore vulnerabilità.

Il d. lgs. 142 del 2015 presenta una struttura dicotomica che riflette la duplice finalità dell'intervento di attuazione: il capo I contiene 24 articoli dedicati alle nuove norme in materia di accoglienza, che abrogano il d. lgs. 140 del 2005, mentre il capo II, agli articoli 25 e 26, reca modifiche al d.lgs. 25 del 2008 e al d. lgs. 150 del 2011. Esso prevede, inoltre, l'adozione, entro il 30 marzo 2016, di successivi decreti attuativi, al fine di istituire i centri governativi di prima accoglienza e di realizzare ulteriori interventi di attuazione.

La disciplina dell'accoglienza, di cui al capo I, si applica fin dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale in tutto il territorio nazionale, incluse dunque le frontiere, le zone di transito e le acque territoriali. Il suo campo di applicazione comprende le imbarcazioni e gli aeromobili battenti bandiera italiana che si trovano in spazio marino e aereo internazionale.

Essa prevede che il richiedente abbia il diritto di ottenere una informativa sui diritti in una lingua a lui comprensibile ed un permesso di soggiorno della durata di 6 mesi rinnovabile fino al termine della procedura. Egli, inoltre, beneficia del diritto all'istruzione obbligatoria, del diritto all'accesso al lavoro dopo due mesi dal rilascio del permesso, dell'assistenza sanitaria alle stesse condizioni previste dal TU sull'immigrazione (d. lgs. 286/1998) ed eventualmente di un documento di viaggio rilasciato dal prefetto per recarsi all'estero qualora lo richiedano gravi ragioni umanitarie.

Il decreto considera implicitamente che il richiedente possa trovarsi in situazioni diverse e, in particolare, avere un proprio domicilio oppure essere ospitato nei centri governativi di accoglienza predisposti dal governo oppure, ancora, essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione (CIE), dal quale abbia invocato protezione internazionale.

Il nucleo fondamentale dei diritti del richiedente asilo è garantito in ciascuna di queste diverse situazioni, alle quali sono inoltre dedicate norme specifiche. Quest'ultime attengono ai profili più delicati della disciplina dell'accoglienza perché connessi al godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione italiana, dalla Carta dei diritti fondamentali e dai trattati sui diritti umani dei quali l'Italia è parte contraente.

Nei casi in cui il richiedente non sia trattenuto in un CIE, il permesso di soggiorno potrebbe anche prevedere, su decisione del prefetto, un luogo di residenza o un'area geografica ove il richiedente possa circolare. Questa possibilità è prevista dall'art. 7 della direttiva "accoglienza" per motivi di ordine pubblico, pubblico interesse e, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda. L'art. 5 del d.lgs. 142 del 2015, nel recepire questa disposizione, ha stabilito che "il prefetto competente in base al luogo di presentazione della domanda ovvero alla sede della struttura di accoglienza può stabilire, con atto scritto e motivato, comunicato al richiedente con le modalità di cui all'articolo 6, comma 5, un luogo di residenza o un'area geografica ove il richiedente può circolare". Questa disposizione dovrebbe essere interpretata in modo conforme all'art. 7 della direttiva, anche al fine di evitare violazioni della libertà di circolazione dello straniero di cui all'art. 16 della Costituzione. Di conseguenza, la circolazione del richiedente dovrebbe essere limitata, nel rispetto dei principi di necessità e proporzionalità, esclusivamente per il perseguimento delle finalità di ordine pubblico, pubblico interesse e rapidità ed efficacia dell'esame della domanda. Il relativo provvedimento dovrebbe essere adeguatamente motivato al riguardo.

Alcune disposizioni specifiche riguardano poi la situazione del richiedente che è ospitato nel sistema di accoglienza predisposto dalla legge. Esso è basato nel funzionamento di centri governativi di accoglienza che sono deputati all'espletamento delle operazioni di identificazione, verbalizzazione delle domande e accertamento sanitario e sulla presenza diffusa nel territorio di centri territoriali di accoglienza (SPRAR). In quest'ultimi i richiedenti possono essere ospitati soltanto dopo aver già effettuato la domanda e nelle more della sua definizione purché dispongano di risorse economiche annue inferiori all'ammontare dell'assegno sociale. Il sistema prevede, inoltre, la predisposizione di misure speciali per l'accoglienza delle persone vulnerabili, quali i minori non accompagnati, i disabili e le vittime di tratta o di violenza.

I richiedenti asilo che sono ospitati in tali centri non possono essere sottoposti a misure coercitive limitative della libertà personale.

Le modalità di accoglienza devono tutelare i diritti fondamentali e, in particolare, devono garantire condizioni rispettose della dignità e della salute umana, preservare l'unità e l'intimità dei nuclei familiari e, in generale, consentire la piena realizzazione dei diritti (istruzione, salute, accesso al lavoro etc.) riconosciuti dalle direttive.

La corretta realizzazione di queste condizioni è essenziale per evitare che l'Italia subisca ulteriori condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per le carenze del proprio sistema di accoglienza. L'ultima sentenza, del 1° settembre 2015, resa nel caso Khlaifia et autres c. Italie ha riguardato le violazioni degli articoli 3 (divieto di trattamenti disumani e degradanti), 5 (libertà personale), 13 (diritto a un ricorso effettivo) e 4 del Protocollo 4 (divieto di espulsioni collettive) per le pessime condizioni igieniche, il sovraffollamento, l'isolamento e il trattamento generale riservato ad alcuni richiedenti asilo accolti nel centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola.

I centri di accoglienza possono, tuttavia, stabilire precise regole di condotta, come, ad esempio, il divieto di allontanarsi nelle ore notturne. Alla violazione grave e ripetuta di tali prescrizioni e, in particolare, all'allontanamento ingiustificato, è infatti ricollegata la revoca dell'accoglienza. Al riguardo, sorprende che il d. lgs. 142 del 2015 abbia previsto che il provvedimento di revoca possa essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo visto che il provvedimento coinvolge i diritti soggettivi, e non i meri interessi legittimi, del richiedente.

Una disciplina specifica è poi dedicata alla situazione del richiedente asilo trattenuto nei CIE. La materia coinvolge evidentemente profili delicati di tutela dei diritti fondamentali della persona. Per questa ragione il d. lgs. 142 del 2015 prevede importanti limitazioni riguardo alla definizione dei casi, alla durata e alle modalità del trattenimento.

Innanzitutto è previsto che esso possa essere applicato mediante provvedimento motivato del questore soltanto nei casi previsti dell'avvenuta commissione di crimini internazionali o reati gravi, della pericolosità sociale, della sospetta appartenenza ad organizzazioni terroristiche, del rischio di fuga desumibile dal comportamento del richiedente (ad esempio in caso di falsa dichiarazione delle proprie generalità) e del pregresso trattenimento qualora si abbia motivo di ritenere che la domanda sia pretestuosa. Tuttavia le fattispecie che consentono il trattenimento sono tipizzate in modo generico e lasciano ampia discrezionalità al questore, suscitando perplessità sulla corretta osservanza dei principi di legalità e tassatività.

Certamente, è da considerare illegittima qualsiasi prassi amministrativa che applichi il trattenimento al solo fine dell'espletamento delle procedure di identificazione come quella adottata nei cosiddetti hotspots che l'Italia ha recentemente attivato per beneficiare del meccanismo di ricollocazione previsto dalle decisioni 2015/1523 e 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituiscono misure temporanee a beneficio dell'Italia e della Grecia (sull'incerta natura giuridica degli hotspots si veda anche il documento redatto dall'Associazione sugli studi giuridici sull'immigrazione consultabile al sito: http://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/ministero-interno-natura-giuridica-hotspots).

Anche il profilo temporale risulta problematico. Si prevede, infatti, che il trattenimento non possa durare più del tempo necessario ai fini dell'esame della domanda e comunque non oltre la durata massima di 12 mesi e che sia sottoposto periodicamente al riesame e alla convalida da parte del giudice al fine di verificare che persistano le ragioni che ne hanno giustificato l'applicazione. La durata massima prevista per il trattenimento dei richiedenti asilo sembra peraltro eccessiva se la si confronta con quella fissata dal TU sull'immigrazione in 30 giorni prorogabili per due volte soltanto.

Qualche dubbio sorge anche con riferimento all'art. 6, commi 7 e 8, del d. lgs. 142 del 2015 che prevede che il richiedente che "presenta ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale...rimane nel centro" per tutto il tempo in cui è autorizzato a permanere nel territorio nazionale in conseguenza del provvedimento giurisdizionale proposto, salvo il termine massimo dei 12 mesi, ed il questore "chiede la proroga". È fondamentale, al fine di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, che la disposizione sia letta alla luce delle ragioni generali che giustificano l'applicazione della misura del trattenimento, in modo da escludere l'automatismo che potrebbe ricavarsi dalla sua formulazione.

Nell'ambito della disciplina dell'accoglienza assumono, inoltre, particolare rilevanza le norme che regolano le modalità del trattenimento. Al riguardo il d. lsg. 142 del 2015 prevede che siano predisposti appositi centri o quanto meno spazi separati dai detenuti ordinari nelle strutture di reclusione esistenti. Qui il richiedente deve poter fruire di spazi all'aperto e la sistemazione deve garantire l'unità dei nuclei familiari, la separazione tra uomini e donne, misure particolari dedicate ai minori e l'accesso dei consulenti legali e dei familiari in fasce orarie consentite.

Le ultime due disposizioni del d. lgs. 142 del 2015 concernono l'attuazione della direttiva "procedure" e apportano modifiche, in particolare, al d. lgs. 25/2008. Il sistema procedurale si basa sulla presenza di una Commissione nazionale per il diritto di asilo - che dovrebbe garantire il raccordo con la Commissione europea e con i sistemi procedurali degli altri Stati membri e potrebbe assumere un ruolo di "indirizzo" rispetto all'operato delle Commissioni territoriali - e le Commissioni territoriali stesse, che esaminano e assumono le decisioni sulle domande di asilo.

La nuova disciplina incide, in particolare, sulla composizione di questi organi che, anche in considerazione del compito delicato e sempre più complesso che sono chiamati a svolgere, deve essere "specialistica". Ciò sia perché i componenti devono dimostrare competenze e/o esperienze specifiche sul campo, sia perché potranno essere coadiuvati da esperti in varie materie chiave, quali la medicina, la psicologia, la mediazione culturale etc.

Norme particolari riguardano poi la durata della procedura, che non dovrebbe superare i 6 mesi se non in casi di particolare complessità o di emergenza dovuta all'intensità dei flussi, e la disciplina della tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di diniego pronunciati dalle Commissioni territoriali. A quest'ultimo proposito è interessante notare che di regola il ricorso determina effetto sospensivo del provvedimento di espulsione derivante dal diniego della protezione internazionale. Tale provvedimento deve essere adottato entro 6 mesi dal ricorso e ha ad oggetto gli elementi esistenti al momento della decisione e non soltanto quelli che sono stati valutati dalla Commissione territoriale.

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