Archivio rubriche 2016

Fascicolo 1/2016

Scheda n. 1 - Statuto e rappresentanza processuale dell’ente

CASSAZIONE CIVILE, sez. trib., 11.12.2015, n. 24996.

Nel caso in cui l'ente agisca in giudizio, proponendo appello avverso una sentenza totalmente o parzialmente sfavorevole della Commissione tributaria provinciale, possono configurarsi due diverse situazioni con riferimento alla mancanza del potere rappresentativo da parte del Sindaco, allorchè non sia previamente autorizzato ad agire in giudizio da parte della Giunta.

Occorre, infatti, verificare se lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, "ex" art. 6, comma 2) - preveda l'autorizzazione della Giunta, ovvero una preventiva determinazione del competente dirigente.

Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12868 del 16/06/2005).

Invece, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco.

Quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo 5 della Parte 2 della Costituzione dalla L. Cost. n. 3 del 2001 nonchè di quelle introdotte dalla L. n. 131 del 2003 con ripercussioni anche sull'impianto del D.Lgs. n. 267 del 2000, il cui art. 50 indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza dell'ente (ex multis Cass. 21330/06).

Nel caso di specie, dall'esame dello Statuto prodotto risulta che lo stesso non contiene alcuna specifica previsione che preveda la necessità di apposita autorizzazione alle liti da parte della Giunta comunale.

 


Scheda n. 2 - Statuto e rappresentanza processuale dell’ente.

CASSAZIONE CIVILE, sez. VI, 22.01.2016, n. 1195.

La CTR non ha fatto applicazione dei principi espressi dalla Corte di Cassazione in materia di poteri conferiti alla Giunta e al Sindaco in tema di autorizzazione alle liti. Le Sezioni Unite (n. 12868/2005), dopo avere ribadito che in virtù del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50 la decisione di resistere in giudizio compete al Sindaco, ha tuttavia riconosciuto particolari margini all'autonomia statutaria dell'ente ritenendo che nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (TUEL ex art. 6, comma 2)- di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza. Analoga posizione è stata espressa dal Consiglio di Stato, secondo il quale In via ordinaria - ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, artt. 35 e 36 poi trasfusi nel D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 48 e 50 - la decisione di agire e resistere in giudizio e il conferimento al difensore del mandato alle liti spettano al rappresentante legale dell'ente (cioè al Sindaco), senza bisogno di autorizzazione della Giunta o del dirigente competente ratione materiae. All'autonomia statutaria (legittimata a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio) è però conservata la possibilità di prevedere l'autorizzazione della Giunta ovvero di richiedere una preventiva determinazione del dirigente ovvero ancora di postulare l'uno e l'altro intervento (cfr. Cons. Stato, sez. 5, 7 febbraio 2012, n. 650) - Cons. Stato n. 4277/2014 -.

Nel caso la parte controricorrente ha documentato, con la produzione dello Statuto comunale e della certificazione rilasciata dal Segretario generale del Comune di Teramo prot. n. 8875 del 26.2.2014, che l'art. 26 dello Stato del Comune di Teramo attribuisce, tra l'altro, alla competenza della Giunta "...la materia delle liti attive e passive, delle rinunce e delle transazioni, previo motivato parere del dirigente responsabile del servizio", pur riconoscendo al Sindaco il potere di rappresentanza dell'ente comunale - art. 28 -.

La CTR ha, quindi, erroneamente escluso che ai fini della validità della costituzione in giudizio di primo grado del Comune la necessità della Delib. di Giunta. La CTR, peraltro, in sede di rinvio dovrà verificare l'esistenza di atti deliberativi della Giunta comunale idonei a sanare l'assenza in primo grado - Cass. n. 2210/2012 -.

 


Scheda n. 3 - -Rispetto del principio di parità di genere nella composizione della Giunta comunale e norme statutarie.

TAR SARDEGNA, Cagliari, 24.11.2015, n. 1145.

Non rileva il rilievo che tale principio di parità di genere non sia stato ancora formalmente recepito nello statuto comunale.

L’attuazione del generale principio ordinamentale del rispetto delle c.d. quote rosa, infatti, non può essere condizionata dall'omissione o ritardo del Consiglio comunale nel provvedere in tal senso alla modifica dello statuto.

Il ricorso merita dunque accoglimento in ragione del mancato rispetto della percentuale del 40% di componenti del genere femminile nella giunta comunale di Selargius imposta dall’art. 1, comma 137, l. n. 56/2014.

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Scheda n. 4 - Rispetto del principio di parità di genere nella composizione della Giunta comunale e norme statutarie.

TAR LOMBARDIA, Brescia, 26.11.2015, n. 1595.

La nuova versione dell’art. 36, comma 2 dello Statuto del Comune di Carpenedolo si limita, in modo del tutto generico, ad attribuire al Sindaco il potere di nominare “uno o più assessori tra i candidati non eletti della lista di maggioranza”. Tale disposizione è “asessuata”, in quanto non introduce alcuna disparità di genere, ma, al contrario, potrebbe anche rappresentare uno strumento idoneo a consentire al Sindaco di riequilibrare eventuali carenze di rappresentanza, pur limitando la ricerca dei possibili aspiranti assessori all’interno di una ristretta cerchia di soggetti.

Ciò è comunque sufficiente per escludere che possa anche solo ipotizzarsi una disapplicazione della norma statutaria per procedere ad una eterointegrazione dello Statuto stesso con i principi di non discriminazione e tutela della rappresentanza di genere ricavabili dal d. lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), dall’art. 46, comma 2 del d. lgs. 267/2000 e dall’art. 1, comma 137 della legge n. 56/2014.

Come chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza sez. V, 18 dicembre 2013, n. 6073, “L'attuazione del suddetto principio non può essere condizionata dall'omissione o ritardo del Consiglio comunale nel provvedere alla modifica dello statuto” tanto che, nell’ottica di imporre il cambiamento negli enti locali, il legislatore ha affermato, con l’art. 1, comma 137 della legge n. 56/2014, che “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.

La giurisprudenza riconosce valore cogente e precettivo alla percentuale indicata (Cons. Stato, 5 ottobre 2015, n. 4626, T.A.R. Campania, I, 13 maggio 2015, n. 2655, T.A.R. Calabria, Catanzaro, 12 febbraio 2015 n. 278), ma non si può trascurare che l’art. 47, comma quattro, del TUEL stabilisce che, nei Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, l’apertura ai c.d. assessori esterni è rimessa alla discrezionale opzione degli Statuti.

Il Comune di Carpenedolo, che in tale categoria rientra, ha optato per una parziale apertura, ammettendo la possibilità della nomina ad assessore anche di candidati non eletti, purchè appartenenti alla lista di maggioranza.

Il significato politico di tale apertura limitata, che va nel segno della governabilità e della condivisione del programma elettorale del Sindaco, appare piuttosto evidente, ma non risulta contrastare con i suddetti principi posti a tutela della parità di genere, in considerazione della facile constatazione dell’assoluta assenza di contenuto discriminatorio di genere.

Nel caso, dunque, la norma che impone un’adeguata presenza, in Giunta, di entrambi i sessi, è stata applicata tenendo conto, a seguito dell’accertata indisponibilità delle donne elette nella maggioranza, della possibilità di nominare assessori “esterni” solo attingendo alla lista dei candidati non eletti tra i sostenitori del Sindaco, ottenendo, anche in questo caso, un risultato negativo in termini di disponibilità di donne a ricoprire il ruolo di assessore.

Ne risulta dimostrata la conformità dell’attività posta in essere rispetto al dettato della norma, così come chiarito dalla circolare interpretativa del Ministero degli Interni del 24 aprile 2014, con l’obiettivo di attribuire una lettura costituzionalmente orientata ad una disposizione che, se interpretata nel senso di non ammettere deroghe, presenterebbe non pochi profili di incostituzionalità. In essa si afferma, con riferimento al rispetto della percentuale che fissa al 40 per cento la presenza minima di entrambi i sessi nella Giunta, che “laddove non sia possibile occorre un’adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità”.

Il tentativo esperito dal Sindaco di rispettare, per la composizione della propria Giunta, l’obbligo della presenza di membri donne nella percentuale del 40 per cento (pari a 2 componenti su di una Giunta di 5 Assessori più il Sindaco), attingendo alle sole possibili aspiranti assessore tra le donne e cioè alle candidate di maggioranza risultate non elette, rappresenta, dunque, quella “adeguata motivazione” ora richiamata.

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Scheda n. 5 - Rispetto del principio della parità di genere nella composizione della Giunta provinciale e assenza di specifiche norme statutarie.

TAR CALABRIA, Reggio Calabria, 26.01.2016, n. 70.

Il ricorso ha ad oggetto tre decreti presidenziali di nomina di componenti della Giunta della Provincia di Reggio Calabria, relativi a componenti di sesso maschile che andavano ad integrare una Giunta già integralmente composta da uomini.

Il Tar esamina, in particolare, la dettotta violazione dei dei principi espressi nella Legge 215 del 2012 e 56 del 2014.

Tali norme prevedono che:

- “Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti” (art. 6, comma 3, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, come modificato dall'art. 1, comma 1, della legge 23 novembre 2012, n. 215);

- “Il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione” (art. 46, comma 1, del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), della legge 23 novembre 2012, n. 215);

- “Nelle liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento del numero dei candidati, con arrotondamento all'unità superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi” (cfr. art. 1, comma 27, della legge 7 aprile 2014 n. 56 in tema di elezione dei consigli metropolitani ed il successivo comma 71 in materia di elezione del consiglio provinciale);

- “Nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico” (art. 1, comma 137, della legge 56/2014).

Il quadro normativo integra la presenza di un complesso di previsioni che, in quanto attuative dei fondamentali precetti di cui agli artt. 3 e 51 Cost., promuove un deciso superamento degli orientamenti che, sulla base del previgente sistema normativo, hanno ritenuto “insindacabile”, “in assenza di norme statutarie che prevedano una quota di riserva, … il provvedimento di nomina di una Giunta provinciale che preveda solo un assessore di sesso femminile in quanto, ai fini della verifica della legittimità del detto provvedimento, pur rilevando il principio della "pari opportunità", l'interprete non può sostituirsi alla sede normativa determinando egli stesso, estemporaneamente e arbitrariamente, il numero di minimo di componenti di ciascun sesso, né può affermarsi che la giusta percentuale relativa alla presenza di un sesso venga fissata in un terzo, per analogia con norme relative ad altri organi collegiali (cfr. Cons. Stato, sez. I, 16 marzo 2012 n. 1263).

L’esigenza della presenza di entrambi i generi integra, infatti, una fondamentale coordinata ordinamentale di diretta attuazione degli indicati precetti costituzionali, la cui ineludibile attuazione consente di apprezzare la fondatezza delle argomentazioni esplicitate dalla parte ricorrente, sia pure nei limiti infra precisati.

In assenza, infatti, di un preciso criterio percentuale in atto riferibile alla composizione di genere all’interno della Giunta provinciale (diversamente dal rapporto percentuale che caratterizza ex lege 56/2014, la composizione della Giunta nei Comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti), la presenza di un solo rappresentante del genere di minoranza non può essere ritenuta satisfattiva del criterio della pari opportunità, in quanto avente valenza meramente “simbolica”, e non già direttamente concludente al fine di garantire il soddisfacimento dell’interesse – legislativamente contemplato – ad una “reale” e “congrua” rappresentanza di genere in seno agli organismi elettivi e di governo degli Enti locali.

Ritiene il Collegio che i principi contenuti nelle leggi citate debbano trovare applicazione anche nel caso di specie, nonostante le operazioni elettorali si siano svolte in epoca anteriore alla loro entrata in vigore.

Nella specie, invero, non si tratta di dare applicazione retroattiva ad una norma di legge, bensì di individuare la regola iuris di composizione e di funzionamento dell’organo collegiale, in ragione dell’immanenza – e, con essa, della immediata applicabilità – di disposizioni aventi primario referente costituzionale e volte, come si è visto, a garantire la presenza di genere negli organismi rappresentativi degli Enti locali.

In tal senso, del resto, si è espressa anche la più recente giurisprudenza, laddove è stato ritenuto che “tutti gli atti di nomina delle giunte municipali debbono essere adottati nel rispetto di quanto previsto” dal citato comma 137 dell’art. 1 della legge 56/2014; “nè l’attuazione della norma stessa può essere condizionata dall’omissione o ritardo del Consiglio comunale nel provvedere alla modifica dello statuto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 ottobre 2015 n. 4626)

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Scheda n. 6 - Interpretazione autentica del regolamento del Consiglio comunale. Inammissibilità dell’applicazione retroattiva di una nuova disciplina sostanziale.

Ord. TAR LOMBARDIA, Brescia, 7.12.2015, n. 2188.

Il Tar Lombardia giudicando, tra l’altro, sulla legittimità deliberazione del Consiglio comunale di Orio al Serio n. 20 del 3 agosto 2015, con la quale è stata formulata un’interpretazione autentica del regolamento del consiglio comunale, afferma che non è ammissibile, neppure sotto forma di interpretazione autentica, l’applicazione retroattiva di una nuova disciplina sostanziale riguardante la decadenza dalla carica. L’interpretazione è autentica nel senso che proviene dall’organo che ha deliberato le norme interpretate, ma se riferita a episodi pregressi equivale a una nuova regolamentazione della fattispecie, e dunque non può essere applicata in malam partem.

Nello specifico, quello che è presentato come un chiarimento dell’art. 31 comma 2 del regolamento del consiglio è un’innovazione sostanzialmente abrogativa del secondo periodo. Il capogruppo diventa infatti il semplice messo che fa pervenire al protocollo comunale la giustificazione scritta, compito che in realtà potrebbe essere svolto da chiunque, e non richiede alcuna codificazione.

In definitiva, l’interpretazione data all’art. 31 comma 2 del regolamento del consiglio vale soltanto per il futuro, e determinerà la decadenza dei consiglieri che omettano di presentare giustificazioni scritte per le assenze verificatesi dopo il 3 agosto 2015.

 


Scheda n. 7 - Illegittimità del regolamento comunale che prevede l’imposizione di installare il sistema GPS a bordo dei natanti esercenti servizio di taxi e n.c.c. acquei per violazione delle previsioni della legge regionale.

TAR VENETO, Venezia, 12.02.2016, n. 140.

Per il Comune di Venezia l’imposizione di installare il sistema GPS a bordo dei natanti esercenti servizio di taxi e n.c.c. acquei, troverebbe il proprio fondamento normativo nell’art 36, commi 2 e 3, del Regolamento comunale di attuazione della legge regionale n. 63 del 1993, nella parte in cui dispone che “l’Amministrazione Comunale individuerà entro un anno dall’entrata in vigore del presente Regolamento, un sistema per il controllo della velocità. I natanti adibiti ai servizi di cui al presente Regolamento dovranno dotarsi delle apparecchiature necessarie ed integrate al succitato sistema.

I costi relativi all’acquisto ed all’installazione delle apparecchiature di cui al comma precedente, saranno a totale carico del titolare della licenza o autorizzazione”.

Ad avviso del TAR Veneto, invece, detta disposizione regolamentare appare violativa dell’ambito delle attribuzioni spettanti all’Amministrazione comunale e, quindi, l’Amministrazione stessa non potrebbe, sulla base della medesima disposizione, introdurre un sistema di controllo della velocità, quale quello in contestazione, che si pone in evidente contrasto con la normativa primaria di cui alla legge regionale n. 63 del 1993.

Nell’individuare i poteri in materia di funzioni amministrative relative ai servizi di trasporto non di linea, la citata legge regionale limita, infatti, le competenze comunali, in ordine ai “criteri riguardanti le caratteristiche dei natanti in relazione al servizio svolto, quali: anzianità massima del mezzo, dimensioni e caratteristiche della scritta che individua in servizio, interno dei natanti, posizione del tassametro, potenza dei motori installati, conformazione degli scafi e stazza” (cfr, art. 12 legge 63/1992), ovvero all’introduzione per i natanti a motore di “prescrizioni particolari relative alla potenza dei mezzi di propulsione installati, alla conformazione degli scafi e ad ogni altro accorgimento tecnico finalizzato alla riduzione dei livelli d’inquinamento del moto ondoso” (art. 9, comma 3), ossia in ordine ad elementi che riguardano specificatamente il servizio di trasporto e le caratteristiche tecniche dei natanti, e non è pertanto idonea a fornire copertura normativa ad un meccanismo di controllo della velocità che, come quello in questione, è stato adottato al fine di garantire un maggior livello di sicurezza della navigazione, da attuarsi attraverso il controllo in tempo reale della velocità delle imbarcazioni e del loro percorso e inerisce pertanto i poteri di polizia e di sicurezza di cui all’art. 517 del Regolamento attuativo del Codice della navigazione e all’art. 11 del d. lgs. n. 422 del 1997.

Per quanto precede, è accolta la domanda di annullamento della disposizione dirigenziale del direttore della Direzione Mobilità e Trasporti del Comune di Venezia del 19 maggio 2014, pg 2014/0208877, dei pareri successivamente emessi in ordine alla medesima disposizione e dell’art. 36, commi 2 e 3 del Regolamento comunale di attuazione della legge regionale n. 63 del 1993.

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Scheda n. 8 - Ambiti di normazione comunale relativi all’ installazione di stazioni radio-base.

TAR BOLZANO, 26.01.2016, n. 24; TAR BOLZANO, 26.01.2016, n. 25; TAR BOLZANO, 26.01.2016, n. 27; TAR BOLZANO, 26.01.2016, n. 28; TAR BOLZANO, 26.01.2016, n. 29. 

L’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 prevede che i comuni possano adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.

Analogamente il D.P.P. n. 24 del 2009 dispone(va), all’art. 21, che i comuni possono approvare un regolamento per assicurare la corretta distribuzione urbanistica e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi magnetici, nel rispetto dei limiti e delle competenze di cui alla legislazione vigente e nel rispetto dei limiti e delle competenze di cui alla legislazione vigente e nel rispetto dei principi del piano di settore. Ora, l’art. 4 del D.P.P. n. 36 del 2013, che ha sostituito il D.P.P. n. 24 del 2009 appena citato, prevede che, nel rispetto dei limiti e delle competenze di cui alla legislazione vigente, i comuni possano emanare norme volte ad assicurare il corretto inserimento urbanistico degli impianti e a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, mentre l’art. 3 del medesimo regolamento precisa, al comma 2, che nella realizzazione e nell’esercizio delle infrastrutture per le comunicazioni devono essere rispettate le esigenze di salvaguardia della salute, di sicurezza, di tutela della natura e del paesaggio e delle aree protette, tenendo conto della copertura del territorio e della qualità del servizio offerto.

Le norme citate attribuiscono ai comuni la potestà di dettare norme di natura urbanistica, finalizzate alla corretta distribuzione degli impianti sul territorio comunale, tenendo conto dell’obiettivo di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, ma non consentono ai nominati enti locali di stabilire livelli di esposizione diversi da quelli fissati dalla normativa nazionale, perseguendo finalità radioprotezionistiche sottratte alla loro competenza. Il descritto potere regolamentare deve inoltre essere esercitato compatibilmente con l’esigenza di creare la rete infrastrutturale necessaria a un efficiente servizio di telecomunicazione, che deve poter essere modernizzata per rimanere al passo con il progredire delle tecnologie.

I provvedimenti comunali impugnati si pongono in aperto contrasto con le norme sopra richiamate, che consentono al Comune di “adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non già di vietare i meri ammodernamenti della rete esistente”, come ha rilevato il Consiglio di Stato, Sez. III, nella sentenza 30 maggio 2013, n. 2945.

La possibilità di riconfigurazione ed adeguamento alle più recenti tecnologie non può essere impedita da norme regolamentari comunali, “in quanto, altrimenti, l'operatore di telefonia mobile, a seguito dell’imposizione di delocalizzazione che ne deriva…, sarebbe costretto a realizzare nuovi impianti, anziché intervenire su quelli preesistenti, con ciò frustrando gli stessi principi di mitigazione e di precauzione, mentre la sempre maggiore quantità di servizi che possono essere offerti mediante la rete di telefonia mobile impone ai gestori un costante aggiornamento tecnologico, favorito dallo stesso legislatore attraverso la realizzazione degli investimenti per il completamento della rete di banda larga”.

Pertanto, salvo il rigoroso rispetto dei limiti di esposizione fissati dalla normativa statale, cui spetta di tutelare, in modo unitario, su tutto il territorio nazionale, il diritto alla salute rispetto all’esposizione ai campi elettromagnetici, il potere - di natura urbanistica, poiché teso alla corretta distribuzione territoriale dell’infrastruttura di cui si tratta - attribuito ai comuni, che consente loro di dettare norme per il razionale inserimento degli impianti orientandosi al criterio della minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, non può spingersi sino all’introduzione di criteri rispettivamente divieti di localizzazione che impediscano l’ammodernamento di impianti già esistenti, traducendosi ciò in un impedimento allo sviluppo delle reti esistenti, che, nell’ottica dell’art. 86 del D. Lgs. n. 259 del 2003, sono equiparate alle opere di urbanizzazione primaria, e alle quali l’art. 90 riconosce il carattere di pubblica utilità.

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Scheda n. 9 - Ambiti di normazione comunale relativi all’installazione di stazioni radio-base.

TAR CALABRIA, Reggio Calabria, 25.02.2016, n. 232.

Il ricorrente lamentava che l’art. 7 del Regolamento Comunale imporrebbe illegittimamente il posizionamento di antenne su edifici non adibiti a civili abitazioni, dal che l’illegittimità consequenziale del provvedimento impugnato.

Invero, premesso che la previsione regolamentare può anche essere interpretata non già nel senso di un divieto bensì nel senso di un invito esortativo rivolto alle compagnie telefoniche, deve ritenersi sicuramente illegittima la previsione di un obbligo di installare gli impianti solo su edifici pubblici o comunque su edifici particolarmente individuati.

L’art. 86 del D.Lgs 259 del 2003, il quale si impone quale norma primaria su qualsivoglia regolamentazione subordinata, non contempla affatto alcuna discriminazione fra aree pubbliche e aree private; mentre i Comuni non possono introdurre attraverso i propri atti di pianificazione urbanistica divieti di urbanizzazione di ordine generale che interferiscano con la normativa primaria in subiecta materia.

Detto altrimenti, gli enti comunali non possono introdurre misure che siano surrettiziamente volte, non già alla tutela del territorio, bensì alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo.

Il potere regolamentare intestato ai Comuni deve pur sempre essere esercitato nel rispetto del superiore quadro normativo di riferimento, senza sovrapporre un ulteriore ed autonomo sistema di cautele alla normativa statale che ha fissato i limiti delle esposizioni.

I criteri concepiti dai Comuni nei regolamenti di localizzazione non possono divenire limitazioni inderogabili al posizionamento degli impianti, laddove non vengano in questione aspetti urbanistici o di tutela del territorio, ma solo opzioni derivanti dalla mera discrezionalità dell’Ente.

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Scheda n. 10 - Ambiti di normazione comunale relativi all’ installazione di stazioni radio-base.

TAR SICILIA, Catania, 11.02.2016, n. 407. 

Risulta fondata la censura che denuncia l’illegittimità della disposizione regolamentare che, in modo radicale, vieta l’istallazione di antenne per telefonia mobile o stazioni radio base in tutta la zona circostante il centro abitato del Comune.

Infatti, diffusa giurisprudenza (condivisa anche dal collegio giudicante) ha reiteratamente affermato che la potestà regolamentare riconosciuta agli enti locali dalla L. 36/2001 non può essere esercitata in modo da inibire in modo generalizzato ed illogico la diffusione di opere di urbanizzazione primaria quali sono le antenne di trasmissione di segnali telefonici. La regolamentazione spettante ai Comuni è indirizzata, invece, verso la tutela di valori urbanistici e territoriali, di guisa che le disposizioni regolamentari in materia possono essere orientate - sempre in misura ragionevole e coerente - alla esclusiva tutela dei predetti valori.

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Scheda n. 11 - Ambiti di normazione comunale relativi all’ installazione di stazioni radio-base.

TAR PIEMONTE, Torino, 26.02.2016, n. 223.

L’art. 28 delle N.T.A. di cui ha fatto applicazione il Comune Villanova Mondovì per negare alla ricorrente l’autorizzazione richiesta, deve considerarsi illegittimo.

Invero tale norma prevede che nelle zone c.d. R1, cioè nelle aree in cui esistono complessi storico-artistici-ambienali, v’è un divieto generalizzato di collocare tralicci per l’installazione di impianti per tele radiocomunicazione, salvo che siano collocati su edifici esistenti e la loro altezza non superi i 5 metri dal colmo dell’edificio.

La giurisprudenza è ormai consolidata nel senso di ritenere che per i Comuni la sede per introdurre limitazioni alla possibilità di allocare impianti di teleradiocomunicazione è quella della approvazione dei regolamenti comunali di cui all’art. 8 comma 1 lett. e) della L. 36/2001: essi devono però perseguire specifiche finalità, dovendo assicurare il “corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi magnetici”; é quindi evidente che la approvazione di siffatti regolamenti deve essere preceduta da una istruttoria mirata ad individuare quali siano le parti del territorio comunale che presentano criticità ai fini della tutela dei valori indicati dalla norma citata nonché ad individuare le soluzioni che meglio contemperano l’esigenza di garantire l’omogenea allocazione degli impianti di teleradiocomunicazione sul territorio comunale, l’esigenza di preservare il corretto assetto urbanistico, ed infine l’esigenza di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi magnetici. 

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Scheda n. 12 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR SICILIA, Palermo, 16.11.2015, n. 2923. 

È certamente nel potere del sindaco emanare ordinanze extra ordinem allorché si verifichino situazioni eccezionali, impreviste ed imprevedibili come tali autonomamente idonee a ledere o mettere in pericolo l'incolumità dei cittadini e la sicurezza pubblica (ivi compreso l'inquinamento acustico, o atmosferico, o ambientale), ma deve intendersi fermo il dovere-potere del Comune di tutelare e garantire la sicurezza urbana individuando, al fine, le misure più idonee ed adeguate; potere che si manifesta, in via "ordinaria", attraverso l'esercizio della potestà regolamentare che spetta interamente ed esclusivamente all'Organo consiliare. È pur vero che, in linea di principio, il presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile e urgente, ai sensi dell'art. 50 T.U. 18 agosto 2000 n. 267, è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l'incolumità pubblica, l'ordine pubblico e l'igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo; ma la considerazione della necessità di tutelare il bene della salute e della pubblica incolumità, può e deve orientare le scelte discrezionali della Pubblica amministrazione nel rispetto degli altri canoni fondamentali che governano l'azione amministrativa, tra i quali il principio di legalità e quello di proporzionalità, dovendo detta tutela essere assicurata all'interno dei normali procedimenti normativi e amministrativi e attraverso l'adozione di provvedimenti, tipici e nominati.

Il che sta a significare che la pur legittima regolazione extra ordinem di certe situazioni non può, dopo un certo limite temporale o una abusata reiterazione, sostituirsi, di fatto, alla regolazione "ordinaria" degli interessi di volta in volta considerati.

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Scheda n. 13 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

CONSIGLIO DI STATO, sezione V, 27.11.2015, n. 5377

Ai sensi dell'art. 38, l. 8 giugno 1990, n. 142, poi confluito nell'art. 54, d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, deve ritenersi corretta l'adozione da parte del Sindaco di un'ordinanzacontingibile ed urgente in materia di igiene e sanità, trattandosi di sua competenza esclusiva.

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Scheda n. 14  - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PUGLIA, Lecce, 17.12.2015, n. 3604

L'ordinanza sindacale contingibile e urgente, in quanto strumento extra ordinem, ha un carattere residuale e può essere esercitato solo in presenza di circostanze imprevedibili, produttive di emergenze igienico-sanitarie non risolvibili con i mezzi ordinari.

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Scheda n. 15 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PUGLIA, Lecce, 22.12.2015, n. 3673

L'adozione di un'ordinanza sindacale contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale, nella quale la contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi e l'urgenza come assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile.

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Scheda n. 16 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PIEMONTE, Torino, 04.12.2015, n. 1698.

Ai sensi dell'art. 18 Regolamento UE 28 gennaio 2002 n. 178, è legittima l'ordinanza sindacale contingibile e urgente recante l'ordine di distruzione di forme di formaggio da tavola messe in commercio senza bollo sanitario e sprovviste della necessaria documentazione attestante la provenienza e la tracciabilità del latte utilizzato, costituendo la loro mancanza una palese situazione di rischio per la salute pubblica.

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Scheda n. 17 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PIEMONTE, Torino, 04.12.2015, n. 1700.

Il Tar ritiene illegittima l'ordinanza sindacale di sospensione dei titoli, in formazione o già formati, abilitativi all'installazione di nuove antenne ed impianti di telefonia mobile in attesa dell'adozione di apposita disciplina regolamentare, ancorché il provvedimento abbia natura di ordinanza contingibile ed urgente, stante l'esorbitanza della misura sospensiva rispetto allo scopo perseguito; ciò tanto più in ragione della duplice circostanza che i compiti di tutela della salute non afferiscono alla sfera comunale e che le opere riguardanti la telefonia mobile hanno natura urgente ed indifferibile e sono assimilabili ope legis alle opere di urbanizzazione primaria.

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Scheda n. 18 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR PUGLIA, Lecce, 12.01.2016, n. 69 

L’ordinanza contingibile ed urgente prevista dagli artt. 50 e 54 del d.lvo 18 agosto 2000, n. 267 è espressione di un potere atipico e residuale, il cui presupposto per l'adozione è il pericolo per l’incolumità pubblica, dotato del carattere di eccezionalità tale da rendere indispensabile un intervento immediato ed indilazionabile. Presupposto indefettibile per l'adozione di siffatte ordinanze, quindi, è la necessità di intervenire urgentemente con misure eccezionali e imprevedibili di carattere provvisorio, non fronteggiabili con gli ordinari mezzi previsti dall'ordinamento giuridico e a condizione della temporaneità dei loro effetti (Corte Cost., sentenze 7 aprile 2011 n. 115 e 1 luglio 2009, n. 196).

Nel caso di specie l'ordinanza gravata risulta viziata atteso che non appaiono sussistere i presupposti dettati dalle disposizioni dell'art. 50 e dell'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000 in forza delle quali il Sindaco può adottare "con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini".

Come da consolidata giurisprudenza, un così incisivo potere di ordinanza (contingibile ed urgente) soggiace all'inderogabile disciplina di specie secondo la quale la motivazione deve operare una compiuta valutazione e ponderazione degli interessi in gioco, con riferimento puntuale alla sussistenza di tutti i suddetti elementi, da considerare presupposti indefettibili all'esercizio del potere straordinario attribuito al Sindaco.

Corollario logico della disciplina esaminata è l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto carente sotto il profilo della contingibilità ed urgenza atteso che il Sindaco ha assunto l'ordinanza dopo un anno dalla relazione tecnica e dal primo accertamento sommario dell'ARPA del 10.4.2014.

La motivazione è viziata da erroneità ed incompletezza dell'istruttoria, posto che la stessa avrebbe dovuto dar conto, innanzitutto, di rilievi e di accertamenti in base ai quali avrebbe potuto ritenersi sussistente un qualsivoglia pericolo per la pubblica incolumità. 

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Scheda n. 19 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

CONS. STATO, Sez. V., 22 febbraio 2016, n. 715. 

Il Consiglio di Stato conferma la sentenza di primo grado con cui il Tar Liguaria aveva accolto il ricorso avverso l’ordinanza adottata dal comune di Zoagli avente ad oggetto l’intimazione ad eseguire “i necessari interventi di consolidamento sugli immobili di proprietà”, argomentando che a fronte dell’indubbia necessità di porre rimedio alla situazione di pericolo, il Comune avrebbe dovuto previamente accertare, anche mediante la fattiva partecipazione al procedimento della ricorrente, il reale stato dei luoghi e della situazione di pericolo che, va ricordato, costituisce il principale ed imprescindibile presupposto, richiesto dalla legge (art. 54, comma 2, d.lgs. 267/2000), per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente.

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Scheda n. 20 - Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco.

TAR CAMPANIA, Napoli, 11.02.2016, n. 800. 

Non sono ravvisabili i presupposti per l’adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54 d. l.vo n. 267/2000 in relazione alle esigenze di tutela dell'ordine pubblico (espressamente, queste sole, richiamate dall’impugnato provvedimento, ancorchè sottoscritto, oltre che dal Sindaco, anche dal responsabile del settore urbanistica) motivate con riferimento alle rimostranze della popolazione, in quanto "le proteste, pur reiterate, da parte dei cittadini non integrano quel pericolo per l'ordine pubblico di cui all'art. 54 d.l.vo n. 267/2000” (Tar Campania, sezione settima, 9 dicembre 2013, n. 5640 e 11 ottobre 2012, n. 4070, sezione prima, 29 marzo 2004, n. 3251 e 12 luglio 2004, n. 10081). L’adozione di un’ordinanza sindacale contingibile e urgente ex art. 54 del d.l.vo n. 267/2000 presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un'istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, nel caso non avutesi, laddove contingibilità va intesa come impossibilità di fronteggiare l'emergenza con i rimedi ordinari, a causa dell'accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi (cfr., da ultimo, amplius, Tar Liguria, Genova, sez. II, 5 novembre 2015, n. 875).

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Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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