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La UK Supreme Court dichiara che l’attivazione da parte del Governo britannico dell’art. 50 TUE debba basarsi sull’autorità di una primary legislation adottata dal Parlamento (1/2017)

Miller & Anor, R (On the Application Of) v The Secretary of State for Exiting the European Union (Rev 1) [2016] EWHC 2768 (Admin) (03 November 2016)
Miller & Anor, R (on the application of) v Secretary of State for Exiting the European Union (Rev 3) [2017] UKSC 5 (24 January 2017)

Motivi della segnalazione
Con le sentenze del novembre 2016 e del gennaio 2017, rispettivamente la High Court e la Supreme Court hanno negato che il Governo britannico possa attivare la procedura di cui all’art. 50 TUE per l’uscita del Regno Unito dalla Unione europea (c.d. Brexit) mediante prerogative powers, riconoscendo dunque come, di converso, sia necessario a tal fine un previo intervento parlamentare mediante primary legislation.


Il ragionamento della High Court si fonda innanzitutto sulla constatazione che lo European Communities Act 1972 sia un constitutional statute e vada interpretato in modo conforme ai principi costituzionali (para. 82-85). Alla luce di questi ultimi, al Governo («the Crown – acting through the executive government of the day») è sì riconosciuto il potere di sottoscrivere/recedere da trattati mediante prerogative powers ma è precluso il potere di modificare attraverso questi ultimi la legislazione interna. Sarebbe dunque sorprendente che il Parlamento, organo sovrano, abbia voluto con la legge del 1972 rimettere in capo al Governo la decisione sulla cessazione (attraverso un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea) della vigenza dei diritti fatti entrare nella legislazione interna attraverso quella stessa legge (para. 86-88): dall’interpretazione dello European Communities Act 1972, infatti, non emerge alcun elemento da cui risulti che il Parlamento abbia voluto ciò (para. 92-94). Quanto al valore del referendum popolare del 23 giugno 2016, esso deve intendersi come meramente advisory, dato che nel Referendum Act 2015 non era espressamente disposto il contrario. La Corte non nega peraltro il valore del referendum dal punto di vista politico ma sottolinea che, in quanto tale, esso non possa essere preso in considerazione in sede giudiziale (para. 105-108).
Non dissimili le più approfondite motivazioni della Supreme Court, di fronte alla quale la sentenza della High Court era stata appellata dal Governo. Anche la Supreme Court riconosce infatti la centralità del principio di sovranità parlamentare nel sistema costituzionale britannico (para. 40-46), l’impossibilità per il Governo di modificare la legislazione interna attraverso prerogative powers, salvo la legislazione primaria non lo consenta, (para. 47-59) e la natura costituzionale allo European Communities Act 1972 (para. 60-68). Ebbene, un ritiro del Regno Unito dall’Unione europea comporterebbe un cambiamento di natura costituzionale ai diritti, doveri e regole contenuti nella legislazione dell’Unione europea che non potrebbe essere avviato dal Governo se non sulla base dell’autorità della legislazione primaria adottata dal Parlamento (para. 69-93). Quanto al referendum popolare del 23 giugno 2016, anche in questo caso la Supreme Court riconosce che nel Referendum Act 2015 non vi è alcuna espressa disposizione nel senso di qualificarne il risultato come vincolante: a meno di una “attuazione” da parte del Parlamento del risultato di quel referendum, dunque, il suo valore è meramente politico (para. 116-125). Nella sentenza della Supreme Court è altresì ampiamente affrontata un’ulteriore questione: quella della necessità o meno, alla luce della Sewel Convention, di un assenso da parte della Northern Ireland Assembly alla decisione del Parlamento britannico di uscire dall’Unione europea. Questione alla quale la Supreme Court risponde richiamando il valore meramente politico della sopra menzionata convention e negando quindi che la Northern Ireland Assembly (così come lo Scottish Parliament e la Welsh Assembly) abbiano la possibilità di esercitare un legal veto su tale decisione (para. 126-151).

Osservatorio sulle fonti

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