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AUTORITÀ DI REGOLAZIONE PER ENERGIA, RETI E AMBIENTE – ARERA (2/2018)

Il Consiglio di Stato esclude che l’ARERA possa esplicare l’intera gamma delle proprie attribuzioni nei territori delle Province autonome (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 1° marzo 2018, n. 1266)

 

Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 1° marzo 2018, n. 1266, in riforma delle sentenze del TAR Lombardia, Milano, Sez. II, nn. 2351 e 2352 del 2016, ha annullato, per l’effetto, la determinazione dirigenziale dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI, ora Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente – ARERA) n. 47/2014, di «definizione delle modalità operative di versamento del contributo all’onere per il funzionamento dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico, per l’anno 2014, da parte degli operatori nei settori dell’energia elettrica, del gas, e dei servizi idrici», nella parte in cui la determinazione stessa disponeva che «il versamento è dovuto anche dai soggetti esercenti servizi idrici nelle Regioni Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige» (punto 9). La fattispecie controversa era dunque costituita dall’obbligo di versamento del contributo di funzionamento dell’Autorità di regolazione, nella misura in cui l’applicazione di tale obbligo di contribuzione veniva estesa a soggetti esercenti i servizi idrici in territori ad autonomia speciale e, più precisamente, ai gestori del servizio idrico operanti nel territorio della Provincia autonoma di Trento (PAT), ricorrente nel giudizio di primo grado e appellante avverso le sopra citate sentenze del TAR Lombardia.
L’interesse della sentenza in esame risiede nel fatto che essa affronta la questione della portata delle funzioni e compiti regolatori (comprendenti anche attività normativa di rango secondario) dell’ARERA in materia di servizi idrici, in rapporto alla competenza primaria riconosciuta nella materia stessa ad enti di autonomia speciale, quali le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Al fine di meglio inquadrare la fattispecie da cui origina la decisione in esame, giova preliminarmente ricordare che le funzioni di regolazione e controllo intestate all’ARERA nel settore idrico rinvengono della soppressione dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua (mai divenuta operativa), disposta con il decreto-legge n. 201/2011 (c.d. “decreto Salva Italia”), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011.
In particolare, il decreto-legge n. 201/2011, nel suo art. 21 (comma 19), ha stabilito che, con riguardo alla suddetta Agenzia, sono trasferite all’ARERA «le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici», specificando che tali funzioni «vengono esercitate con i medesimi poteri attribuiti all’Autorità stessa dalla legge 14 novembre 1995, n. 481» (che, come noto, è la legge istitutiva dell’ARERA). La medesima disposizione, peraltro, ha demandato ad un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – avente, evidentemente, natura ricognitiva – l’individuazione delle funzioni oggetto di tale trasferimento.
Inoltre, il comma 19-bis del medesimo art. 21 ha stabilito che all’onere derivante dal funzionamento dell’ARERA, in relazione ai nuovi compiti di regolazione e controllo dei servizi idrici, si provveda mediante un contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio versato dai soggetti esercenti i servizi stessi; ciò secondo il meccanismo già previsto per i settori dell’energia elettrica e del gas, imperniato su di un completo autofinanziamento dell’Autorità stessa tramite un contributo fornito annualmente dagli operatori economici sottoposti all’attività di regolazione, a valere sui propri ricavi risultanti dall’ultimo esercizio (cfr. art. 2, comma 38, lett. b, legge n. 481/1995, e art. 1, comma 68-bis, legge n. 266/2005).
Bisogna altresì ricordare che, in attuazione del citato art. 21, comma 19, del decreto Salva Italia, è stato poi adottato il d.P.C.M. 20 luglio 2012, il quale, in particolare, al suo art. 3 ha operato l’individuazione delle funzioni di regolazione del servizio idrico integrato trasferite all’ARERA.
Peraltro, i contenuti del d.P.C.M. ora citato sono stati interessati da una pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 137 del 2014, con cui, in parziale accoglimento del ricorso per conflitto di attribuzione tra enti proposto dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, proprio in riferimento all’art. 3 del d.P.C.M. medesimo, è stato dichiarato che non spettava allo Stato attribuire poteri, compiti e funzioni all’ARERA in relazione al servizio idrico, nei confronti delle Province autonome di Trento e di Bolzano e, per l’effetto, sono state annullate le lettere e) ed o) del comma 1 del predetto art. 3, nella parte in cui si riferivano anche a tali Province autonome, impingendo letteralmente sulle competenze delle stesse. Vale con l’occasione rammentare che, nell’art. 3, comma 1, del d.P.C.M. 20 luglio 2012, le lettere e) ed o), dopo che nell’alinea del medesimo comma 1 si afferma che l’ARERA «esercita, secondo i principi indicati, le seguenti funzioni di regolazione e controllo del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono:», recitavano così:
«e) verifica la corretta redazione del piano d’ambito, acquisita la valutazione già effettuata dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano sulla coerenza dei piani d’ambito con la pianificazione regionale e provinciale di settore, esprimendo osservazioni, rilievi e impartendo, a pena d’inefficacia, prescrizioni sugli elementi tecnici ed economici e sulla necessità di modificare le clausole contrattuali e gli atti che regolano il rapporto tra le autorità competenti e i gestori del servizio idrico integrato ai sensi dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191;
o) d’intesa con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce ulteriori programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti, anche mediante la cooperazione con organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano».
Occorre evidenziare che le statuizioni contenute nella citata sentenza della Corte costituzionale n. 137/2014 assumono rilievo dirimente ai fini della decisione del Consiglio di Stato; sicché è il caso di riportare almeno quelle che lo stesso Giudice amministrativo espressamente considera «risolutive»:

- "Sulla base delle […] norme statutarie e di attuazione statutaria, questa Corte ha riconosciuto, fin dalla sentenza n. 412 del 1994, l’esistenza di una competenza provinciale in materia di organizzazione del servizio idrico, nell’esercizio della quale detta Provincia ha delineato minuziosamente il quadro organizzatorio del servizio idrico integrato provinciale. Essa «non si limita alla sola organizzazione e programmazione del servizio, ma comprende anche l’individuazione dei criteri di determinazione delle tariffe ad esso inerenti, le quali ultime costituiscono il “corrispettivo del predetto servizio” (sentenza n. 335 del 2008)» (sentenza n. 233 del 2013). Si tratta, in sostanza, della competenza, che lo statuto di autonomia riserva alla Provincia autonoma di Trento, a regolare integralmente il servizio idrico, la quale «non è stata sostituita dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente, a seguito della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, considerato che la suddetta riforma, in forza del principio ricavabile dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, non restringe la sfera di autonomia già spettante alla Provincia autonoma (sentenza n. 357 del 2010)» (sentenza n. 233 del 2013)"

- "Si tratta essenzialmente di funzioni e compiti che, come sostenuto dalla ricorrente, presuppongono un sistema territoriale e organizzativo del servizio che non trova riscontro nella Provincia autonoma di Trento e che costituiscono espressione di poteri regolatori anche in materia tariffaria, di vigilanza e sanzionatori che non possono ritenersi legittimamente esercitabili nei confronti delle Province autonome, sulla base delle richiamate competenze provinciali e di attuazione in tema di servizio idrico";

- "D’altro canto, questa Corte ha già rilevato che, «in coerenza con detti principi, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, recante l’individuazione delle funzioni dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici, all’art. 4 è stabilito che “Sono in ogni caso fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione”» (sentenza n. 233 del 2013)".

Da tali arresti del Giudice delle leggi, il Consiglio di Stato ricava che, relativamente ai territori delle Province autonome ed ai soggetti ivi operanti nella filiera del servizio idrico, «di sicuro le attribuzioni dell’Autorità non vigono né si esplicano con la corrispondente latitudine apprezzabile, invece, negli altri àmbiti del territorio nazionale». 

Ad avviso del Giudice amministrativo, pertanto, deve convenirsi sul fatto che, nei territori delle Province autonome, «l’Autorità non esplica l’intero insieme delle proprie attribuzioni», ovvero, in altri e simili termini, sul fatto che, in questi territori, «l’Autorità non esercita la pienezza delle sue attribuzioni». Da ciò si deve allora dedurre che, sempre relativamente a tali territori, «non si realizza la pienezza del presupposto contributivo che, solo, legittima per legge la pretesa creditoria dell’Autorità».
In quest’ottica, perde drasticamente di rilevanza la questione – pur controversa – della natura giuridica della pretesa impositiva dell’Autorità (se di natura fiscale o meno e, nel primo caso, se riconducibile alla categoria dell’imposta, della tassa ovvero di altra figura di parafiscalità).
Per il Consiglio di Stato, infatti, il punto risolutivo non sta nella individuazione della corretta qualificazione della natura della prestazione (che, comunque, è certamente imposta, in quanto prevista per legge ed applicata in base ad essa); esso sta, piuttosto, «nella non eludibile constatazione che, a prescindere da una tale qualificazione, per certo il presupposto della prestazione imposta non coincide, per l’Autorità, riguardo al territorio delle Province autonome rispetto a quello residuo del Paese».
In carenza di identità di presupposto (o, meglio, di identità di consistenza e latitudine di tale presupposto), «non è allora plausibile affermare che all’Autorità, nei confronti degli esercenti il servizio idrico nel territorio della PAT, possa competere una contribuzione di misura esattamente pari a quella esigibile nei riguardi di analoghi esercenti aventi però sede in aree territoriali diverse del Paese».
Secondo lo stesso Giudice amministrativo, sostenere l’opposto «equivarrebbe a legittimare una locupletazione proporzionalmente indebita da parte dell’Autorità, a fronte di servizi da essa obiettivamente non resi nei riguardi del territorio della PAT».
Ad ogni buon conto, appare importante evidenziare come il Consiglio di Stato non escluda in radice la legittimazione dell’ARERA ad imporre un obbligo di contribuzione per il proprio funzionamento (anche) a carico dei gestori del servizio idrico dislocati nel territorio della PAT; esso, piuttosto, in applicazione di un principio di proporzionalità e sembrando qualificare l’attività di regolazione dell’ARERA più in termini di “servizio” che di “funzione”, richiede che tale contribuzione sia commisurata alla “quota” di competenze effettivamente esercitate dall’Autorità medesima nei confronti dei suddetti gestori, in ragione del fatto che tali competenze non sono suscettibili di esplicarsi nei territori delle Province autonome con la stessa pienezza con cui si esplicano, invece, nelle altre aree territoriali del Paese.
Su questo punto, peraltro, la sentenza contiene un singolare “invito”, rivolto nei confronti delle parti del giudizio (segnatamente, la PAT e l’ARERA), a stabilire «in confronto fra loro e in spirito di reciproca leale collaborazione, […] la minor quota di contributo […] che spetta all’Autorità in rapporto alla minor quota residua di sue competenze (che le parti dovranno comunque fra loro accertare, quale residuo presupposto contributivo) nei confronti dei gestori operanti nel territorio della PAT».

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