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Le raccomandazioni regionali non arginano più la recrudescenza di morbillo et similia: salve le disposizioni (direttamente precettive e vertenti prevalentemente in materia concorrente) del Decreto Lorenzin sulle vaccinazioni obbligatorie (1/2018)

Sentenza n. 5/2018 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 18 gennaio 2018 – Pubblicazione in G.U. del 24/01/2018, n. 4

Motivo della segnalazione
La pronuncia verte sul tema dei presupposti di necessità ed urgenza del decreto-legge n. 73 del 2017 sui vaccini, c.d. Lorenzin, che prevede, per i soggetti infra-sedicenni, dodici vaccinazioni obbligatorie e gratuite, otto delle quali (anti-pertosse, Haemophilus influenzae di tipo B, meningococcica di tipo B e C, morbillo, rosolia, parotite e varicella) non già previste dalla normativa vigente, risalente agli Anni Trenta (difterite), Sessanta (tetano e poliomielite) e Novanta (epatite virale B) del Novecento, allo scopo, dichiarato in sede di relazione di accompagnamento de disegno di legge di conversione e di circolare applicativa del 12 giugno 2017 (di cinque giorni successiva all’entrata in vigore del decreto), di tornare a raggiungere, dopo le flessioni risultanti in corso dal 2013, la soglia del 95% di copertura vaccinale contro malattie a rischio epidemico, ritenuta oggetto di raccomandazione da parte dell’O.M.S. quale “soglia critica” valida per tutte le malattie in parola.

La pronuncia, naturalmente, interseca altresì, stante la tipologia di giudizio in cui sorge, l’assetto delle competenze legislative in materia di tutela della salute con riferimento al settore della medicina preventiva, nonché il tema del rapporto tra i due volti della salute parallelamente tracciati dall’art. 32 Cost., come diritto fondamentale ma anche come interesse della collettività (il cui equilibrio è affermato come presupposto decisivo in materia di vaccini proprio dalla Corte costituzionale, ad es. con le sentt. nn. 258 del 1994 e 118 del 1996), non senza coinvolgimenti giuridicamente consistenti di ordine sovranazionale e riferimenti a profili di carente copertura finanziaria.
La Regione Veneto aveva elevato ricorso, inclusivo di domanda cautelare ex art. 35 della legge 87/1985, assumendo l’assenza dei richiesti presupposti di necessità ed urgenza con riferimento al proprio territorio, con conseguente irragionevole travolgimento del programma vaccinale ivi in vigore; quest’ultimo (anche con riguardo ai vaccini già obbligatori, stante la sospensione dell’obbligo previsto dalla legge regionale n. 7 del 2007 secondo le possibilità concordate in Conferenza Stato-regioni nel Nuovo piano nazionale vaccini 2005-2007) era basato sul principio dell’alleanza terapeutica, e dunque sul consenso informato dei genitori, tutori o affidatari dei minori eventualmente vaccinandi, criterio non di extrema ratio (come è quello dell’obbligo legale, adottato dal decreto-legge impugnato) che nel caso concreto era asserito come più che sufficiente sulla scorta di una lettura del concetto, internazionalmente raccomandato (dall’O.M.S.), di herd immunity/“immunità di gregge” (ossia quell’immunità o resistenza collettiva opposta ad un certo agente patogeno da una comunità o popolazione umana) diversa da quella incarnata dal decreto-legge n. 73, sia per intensità sia per ambito d’applicazione (circostanze entrambe negate dal resistente). In particolare, il ricorrente si duole che il decreto-legge stia coartando l’autonomia regionale (“allargando” i principi fondamentali di legislazione concorrente, per di più mediante disposizioni direttamente precettive inclusive di un apparato sanzionatorio amministrativo e del divieto di accesso ai servizi educativi per l’infanzia) in vista di scopi ben ulteriori a quelli raccomandati dall’O.M.S., volendo esso raggiungere non la soglia critica (da declinarsi percentualmente malattia per malattia secondo il rispettivo andamento epidemiologico sulla base del contesto biologico, ambientale e socio-economico di riferimento), bensì quella ottimale (l’unica appunto indicata seccamente nel 95% della copertura tanto dall’O.M.S. quanto, da ultimo, dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) 2017-2019, oggetto di intesa in Conferenza Stato-regioni del 19 gennaio 2017) e con riferimento a malattie ben ulteriori a quelle di interesse della stessa Organizzazione (difterite, tetano e pertosse) come del citato PNPV 2017-2019 (meningite, rosolia, varicella e papilloma virus).
Le risposte della Corte costituzionale, con riguardo alle questioni su cui non sia dichiarata l’inammissibilità o la cessazione della materia del contendere, non presentano, sotto il profilo dei limiti del sindacato costituzionale in materia di decretazione ex art. 77 Cost., novità sul piano ricostruttivo, circoscrivendosi per mezzo dei noti e ormai tradizionali principi di diritto di cui alle sentt. nn. 29/1995 (rilevanza della necessità ed urgenza quali presupposti di legittimità) e 171/2007 (sulla rilevanza a tali fini della sola evidente carenza di tali presupposti). La loro applicazione va nel senso dell’infondatezza e risulta di rilievo per almeno due ragioni.
In primo luogo, sul piano dell’istruttoria giurisdizionale, in cui i rilevanti legislative facts trascendono in autentici adjucative facts, sotto più aspetti: un uso decisivo delle risultanze statistiche in materia epidemiologica nella valutazione delle politiche vaccinali per come (ragionevolmente se non doverosamente) corroborate dal decreto-legge impugnato sostiene, infatti, le statuizioni della Corte, che altresì dà conto che a partire dagli ultimi mesi del 2016 alcune Autonomie territoriali hanno condizionato all’assolvimento dell’obbligo vaccinale l’accesso ai servizi educativi della prima infanzia, così legando alla tutela della salute (dichiarati prevalenti, ossia più rilevanti) anche altri ambiti di competenza sempre concorrente, quali l’istruzione (ma non secondo la Corte, che ravvisa la prevalenza del titolo statale in materia di norme generali sull’istruzione ex art. 117, secondo comma, lettera n), Cost.) e la tutela del lavoro. Si valorizza inoltre l’istruttoria legislativa (rectius, quella parte di essa dotata di formalizzazione parlamentare) svolta nella fase della conversione in legge dalla 12a Commissione permanente del Senato - Igiene e sanità, nel cui seno non solo sono stati oggetto di acquisizione, analisi e discussione i necessari dati tecnici (che attestano tanto il calo delle coperture vaccinali negli ultimi anni quanto la ripresentazione epidemica di malattie prevenibili come il morbillo, da ultimo proprio nel 2017, con un’epidemia evidenziata dall’Istituto Superiore di Sanità tra PNPV 2017-2019 e emanazione del decreto-legge n. 73), ma è stato anche possibile ricevere dall’O.M.S. univoci input tecnico-politici in termini di formale conferma delle preoccupazioni a cui il decreto-legge aveva inteso dare conforto, costituenti precisazioni specifiche ed attuali circa il proprio orientamento in materia vaccinale. Non soltanto da queste ultime, comunque, esce destituita di fondamento la distinzione tra soglia critica e soglia ottimale asserita da parte ricorrente, trattandosi del nucleo di una questione concettuale di stampo sovranazionale comunque assorbita dalla “decisiva […] considerazione che gli obiettivi mancati corrispondono a quelli previsti dai diversi piani vaccinali adottati in Italia nel corso degli anni e, da ultimo, dal PNPV 2017-2019”.
In secondo luogo, è rilevante sottolineare quanto osservato in merito alla diretta precettività delle prescrizioni impugnate: se il ricorrente ne ravvisava la carenza (facendo discendere dall’inidoneità dei mezzi rispetto ai fini e la povertà sul piano della necessità ed urgenza), il Governo resistente e la Corte ne argomentano la presenza, non senza che quest’ultima ricordi come da anche recente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 16 del 2017) risulti che «la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito». In ordine a tale affermazione di principio merita osservare, per un verso, l’impellenza di un’applicazione caso per caso assai attenta, e per altro verso che essa risulta pressoché necessitata ai fini dell’affermazione della legittimità costituzionale in caso di decretazione d’urgenza vertente, come nel caso di specie, su materie di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., risultando astrattamente al più alternativa (ma nel caso di specie cumulativa) alla possibilità di vedere tra la disposizione statale direttamente precettiva e il principio fondamentale a cui essa dovrebbe normalmente limitarsi un «rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione», che nel corso degli anni è passato a dover risultare «evidente» (v. sentt. nn. 99 del 1987 e 355 del 1994, oltre alle sentt. nn. 192 del 2017, 301 del 2013, 79 del 2012, 108 del 2010, 63 del 2006 e 361 del 2003 citate dalla Corte).

Osservatorio sulle fonti

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