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La doppia estensione del termine ex art. 50 TUE nella procedura di recesso del Regno Unito dall’Unione europea (1/2019)

Sintesi dei principali passaggi istituzionali, degli scenari giuridici aperti, e delle integrazioni all’art. 50 TUE derivanti dalla prassi

All’alba del 1° aprile 2019 il Regno Unito si è svegliato ancora Stato membro, a pieno titolo, dell’Unione europea. Il termine di due anni dalla notifica dell’intenzione di recedere previsto dall’art. 50, par. 3, TUE come spartiacque tra le opzioni dell’uscita con e senza accordo di recesso è stato infatti prorogato: non una, ma ormai due volte. Per effetto della seconda estensione il nuovo termine è il 31 ottobre 2019; al contempo, è stata prevista la possibilità di un’uscita “anticipata” del Regno Unito senza accordo (no deal) il 1° giugno 2019, laddove tale Stato non ratifichi l’accordo di recesso entro il 22 maggio 2019 né ottemperi all’obbligo di tenere le elezioni del Parlamento europeo il 23-26 maggio prossimi.

La scheda ripercorre i principali passaggi istituzionali che si sono succeduti tra l’approvazione da parte del Consiglio europeo, il 25 novembre 2018, del progetto di accordo di recesso negoziato con il Regno Unito e la decisione della stessa istituzione, il 10 aprile 2019, di accordare una seconda proroga del termine ex art. 50, par. 3, TUE1. Vengono poi delineati gli scenari giuridici aperti in virtù della seconda estensione, in termini di uscita ovvero di permanenza del Regno Unito nell’Unione, nonché le principali integrazioni alla disciplina del recesso prevista dall’art. 50 TUE quali emergono da tali recenti passaggi istituzionali.

 

Preliminarmente, giova ricordare che, a seguito della consultazione referendaria sull’uscita dall’Unione europea del 23 giugno 2016, che ha visto una maggioranza di voti di poco inferiore al 52% a favore dell’opzione “leave”, il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato al Consiglio europeo l'intenzione di recedere dall'Unione europea, ai sensi dell’art. 50, par. 1, TUE . Conformemente all'art. 50, par. 3, TUE, i Trattati dell’Unione cessano di essere applicabili allo Stato uscente a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica al Consiglio europeo dell’intenzione di recedere. Nel caso del Regno Unito, in applicazione della regola ora ricordata, la scadenza del termine ex art. 50 TUE era stata dunque inizialmente fissata il 29 marzo 2019.
Tuttavia, lo stesso art. 50, par. 3, TUE prevede la possibilità che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare il termine dei due anni.
Merita altresì ricordare che, secondo quanto previsto dall’art. 50, par. 4, TUE, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro uscente non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che riguardano il recesso. Inoltre, ai sensi dell’art. 235 TFUE, l'astensione di membri presenti o rappresentati nel Consiglio europeo non osta all'adozione delle deliberazioni dello stesso per le quali è richiesta l'unanimità (tra cui, appunto, la decisione sulla proroga del termine ex art. 50, par. 3, TUE).
Dopo un lungo e faticoso negoziato, il 25 novembre 2018 il Consiglio europeo ha approvato il progetto di accordo di recesso negoziato con il Regno Unito, nonché la dichiarazione politica che definisce il quadro delle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito. In base all’art. 50, par. 2, TUE, l’ulteriore passaggio necessario a livello dell’Unione è la decisione del Consiglio dell’Unione sulla conclusione dell’accordo, da adottarsi a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo (quindi, si tratta, più correttamente, di due passaggi, con il coinvolgimento di due istituzioni rappresentative di interessi diversi, quelli degli Stati membri e quelli dei cittadini europei). A tal proposito, l’11 gennaio scorso il Consiglio ha adottato una decisione relativa alla firma dell'accordo di recesso, e ha inoltre approvato un progetto di decisione relativa alla conclusione dell'accordo di recesso, che è stato trasmesso al Parlamento europeo per l’approvazione. Un mese esatto prima, nella sentenza Wightman, la Corte di giustizia europea, adita in via pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 50 TUE, aveva chiarito – nel silenzio di tale disposizione al riguardo – che lo Stato membro uscente può revocare unilateralmente la notifica dell’intenzione di recedere, mediante comunicazione scritta al Consiglio europeo, fintantoché non sia entrato in vigore l’accordo di recesso o, in mancanza di siffatto accordo, fino a quando non sia scaduto il termine di due anni previsto dall’art. 50, par. 3, TUE, eventualmente prorogato; tale notifica pone fine alla procedura di recesso2.
Imprescindibile ai fini dell’uscita con accordo è, ovviamente, l’approvazione dello stesso anche da parte dello Stato membro uscente, secondo le proprie procedure interne. Come noto, è su questo punto che il processo ha subito una battuta d’arresto e si trova attualmente in una fase di stallo. Per due volte, infatti, il governo di Theresa May è stato battuto nella House of Commons, con 432 voti su 635 contro l’accordo di recesso il 15 gennaio 2019, e 391 voti contrari su 634 il 12 marzo 2019. La richiesta di un terzo voto non è stata accolta dallo speaker della House of Commons in mancanza di modifiche significative al testo dell’accordo di recesso.
  La prima richiesta di proroga del termine ex art. 50, par. 3, TUE è stata avanzata dal premier Theresa May il 20 marzo 2019 , proponendo la data del 30 giugno 2019 . Come già ricordato, la concessione della proroga è subordinata a una decisione all’unanimità in seno al Consiglio europeo, senza partecipazione del rappresentante dello Stato membro uscente. Nella riunione del 21 marzo scorso, il Consiglio europeo ha acconsentito alla richiesta di proroga , ma, d’intesa con il Regno Unito, è stato stabilito un termine diverso da quello proposto da quest’ultimo . Invero, sono stati indicati due termini: la decisione del Consiglio europeo del 22 marzo, che ha formalizzato la proroga, ha infatti previsto un’estensione del termine fino al 22 maggio 2019 nel caso di approvazione dell'accordo di recesso da parte della House of Commons entro il 29 marzo 2019; nell’evenienza che ciò non avvenisse, l’estensione veniva limitata al 12 aprile 2019, con invito al Regno Unito di indicare prima di quella data (e dell’altrimenti inevitabile no deal) il percorso da seguire, in vista del suo esame . Quest’ultima precisazione sembrava dunque aprire alla possibilità di un’ulteriore estensione, in assenza di ogni riferimento, nel testo dell’art. 50 TUE, in tal senso (o in senso contrario).
Si noti altresì che la data del 22 maggio corrisponde al giorno precedente il periodo delle elezioni europee (23-26 maggio); come più evidente nella decisione del Consiglio europeo sulla seconda estensione, infatti, gli Stati membri si sono determinati nel senso dell’impossibilità per il Regno Unito di essere ancora membro dell’Unione in quel periodo senza partecipare alle elezioni.
La condizione prevista per beneficiare della proroga fino al 22 maggio non si è tuttavia verificata; al contempo, la House of Commons si è espressa contro lo scenario del no deal. Pertanto, il 5 aprile 2019 il premier May ha presentato una richiesta di ulteriore proroga al Consiglio europeo, riproponendo la data del 30 giugno 2019 . Nuovamente, il Consiglio europeo, riunitosi nel vertice straordinario del 10 aprile, ha acconsentito alla seconda estensione , fissando ancora una volta due termini, entrambi diversi dalla proposta del Regno Unito e coerenti con l’idea, già anticipata, che detto Stato non possa essere esonerato dall’obbligo di tenere le elezioni per il Parlamento europeo ove sia ancora membro dell’Unione alla data di svolgimento delle stesse3. Come anticipato, nella decisione sulla seconda proroga, formalmente adottata dal Consiglio europeo l’11 aprile 2019, è stata prevista un’estensione fino al 31 ottobre 2019 (ossia, l’ultimo giorno in cui rimarrà in carica la Commissione Juncker); tuttavia, il Regno Unito uscirà senza accordo (no deal) il 1° giugno 2019 laddove l’accordo di recesso non sia stato ratificato entro il 22 maggio 2019 e ciononostante il Regno Unito non ottemperi all’obbligo di tenere le elezioni europee del 23-26 maggio prossimi.
Tenendo conto anche delle indicazioni inserite nel preambolo di quest’ultima decisione, si possono ricostruire alcuni scenari alternativi.
In linea teorica, il Regno Unito potrebbe ratificare l’accordo di recesso entro il 22 maggio e, in tal caso, non parteciperebbe alle elezioni del Parlamento europeo. Viceversa, se non ratificasse l’accordo entro tale data e nello Stato non si tenessero le elezioni per il Parlamento europeo, il recesso avrebbe effetto dal 1° giugno 2019, secondo lo scenario del no deal. Entrambe queste due ipotesi sembrano tuttavia poco realistiche: l’una per il limitato tempo a disposizione per gli adempimenti necessari (e, soprattutto, la mancanza di una maggioranza a favore dell’accordo nella House of Commons); l’altra alla luce della decisione del Regno Unito di fissare lo svolgimento delle elezioni per il Parlamento europeo il 23 maggio prossimo.
Più probabili sono dunque le altre alternative. Tra queste vi è l’uscita con accordo dopo le elezioni del Parlamento europeo, nel primo giorno del mese successivo al completamento delle procedure di ratifica oppure, se precedente, il 1° novembre 2019, secondo quanto si legge nel preambolo della decisione del Consiglio europeo dell’11 aprile scorso.
Al riguardo, si ricorda che la partecipazione del Regno Unito alle elezioni del Parlamento europeo implica che il numero di europarlamentari eletti da ciascuno Stato membro per la legislatura 2019-2024 rimarrà lo stesso della legislatura corrente, fino a che il recesso del Regno Unito non avrà preso effetto; a partire da quella data, il numero sarà ridotto da 751 a 705 membri, e i seggi saranno distribuiti secondo quanto stabilito dall’apposita decisione adottata dal Consiglio europeo in vista delle prossime elezioni .
Inoltre, per tutta la durata del termine prorogato, il Regno Unito rimarrà a pieno titolo Stato membro dell’Unione europea, con il limite della non partecipazione del rappresentante di tale Stato alle riunioni del Consiglio e del Consiglio europeo che riguardano la Brexit. Un limite ulteriore sembra essere configurato dal preambolo della decisione dell’11 aprile sulla seconda proroga, dove si legge che il Consiglio europeo:
“prende atto dell'impegno del Regno Unito a comportarsi in modo costruttivo e responsabile durante tutto il periodo di proroga, come richiede il dovere di leale cooperazione, e si attende che il Regno Unito ottemperi a questo impegno e obbligo previsto dal trattato secondo modalità che rispecchino il suo status di Stato membro in fase di recesso. A tal fine il Regno Unito deve facilitare all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione, in particolare quando partecipa al processo decisionale dell'Unione”.
Si tratta di un compromesso rispetto alla posizione del Presidente francese Macron, che avrebbe voluto subordinare la concessione dell’ulteriore proroga a limiti precisi a talune prerogative dello status di Stato membro, in particolare con riguardo al diritto di voto nel Consiglio europeo e nel Consiglio (su questioni diverse ed ulteriori a quelle relative alla Brexit). Tuttavia, sia la terminologia utilizzata sia la collocazione nel preambolo della decisione suggeriscono che non si è in presenza di un limite analogo a quello previsto dall’art. 50, par. 4, TUE.
In mancanza di accordo nei termini previsti dalla seconda decisione di proroga rimane aperto lo scenario del no deal, con effetto dal 1° novembre 2019. Ci si può chiedere se sia possibile una proroga ulteriore del termine ex art. 50, par. 3, TUE; in effetti, alcuni Stati membri (tra cui la Germania) e lo stesso Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk erano favorevoli a una proroga più lunga di quella poi fissata (fino alla fine dell’anno o addirittura fino a marzo 2020). In un tale scenario, si porrebbe tuttavia il problema della composizione della nuova Commissione europea, che dovrebbe insediarsi dal 1° novembre 2019, considerato che attualmente il numero dei commissari è pari a quello degli Stati membri.
Un’alternativa che invece resta senz’altro aperta è quella della revoca da parte del Regno Unito della notifica dell’intenzione di recedere: secondo quanto già ricordato, la Corte di giustizia ha chiarito che ciò è possibile anche nel periodo di proroga del termine ex art. 50, par. 3, TUE, fino all’entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza, alla scadenza del termine prorogato. Trattandosi di revoca unilaterale, la procedura di recesso si chiuderebbe.

In attesa di conoscere gli ulteriori sviluppi, lo svolgimento degli eventi sopra descritti consente di evidenziare alcuni aspetti di particolare interesse sul piano delle fonti. Nel silenzio dell’art. 50 TUE al riguardo, infatti, gli Stati membri riuniti all’interno del Consiglio europeo si sono orientati nel senso della possibilità di prorogare più di una volta il termine di due anni previsto dall’art. 50, par. 3, TUE, nonché di condizionare la proroga al verificarsi di alcune circostanze (di tipo giuridico) e, al contempo, di stabilire una proroga di durata variabile, in connessione all’avverarsi o meno delle stesse circostanze. Inoltre, la Corte di giustizia ha chiarito che lo Stato membro uscente può porre fine in modo unilaterale alla procedura di recesso, fintantoché l’accordo di recesso non sia entrato in vigore, ovvero non sia spirato il termine ex art. 50, par. 3, TUE, eventualmente prorogato.


1 Una cronistoria completa del negoziato sulla Brexit, corredata dai relativi documenti ufficiali, è disponibile a questo link.

2 Sent. 10 dicembre 2018, causa C-621/18, Wightman, EU:C:2018:999. Una sintesi della sentenza è disponibile nel fascicolo 3-2018 di questo Osservatorio a questo link.

3 Sulla legittimità di un nuovo Parlamento europeo non votato dai cittadini europei residenti nel Regno Unito (quindi, sia cittadini del Regno Unito sia cittadini di altri Stati membri) sono state espresse posizioni diverse: cfr. C. BARNARD, S. WEATHERILL, Extension and elections: We need to talk about Article 50, in EU Law Analysis, 14 marzo 2019, e E. SPAVENTA, Of extension of UK membership and basic democratic principles: why the UK will need to hold EP elections if its membership of the EU is prolonged beyond the 22nd of May, ibid., 17 marzo 2019.

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