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Statuto comunale e disciplina degli istituti di partecipazione (1/2020)

T.A.R. CAMPANIA, Salerno, 28 gennaio 2020, n. 146
Il ricorso aveva ad oggetto alcune disposizioni del regolamento, approvato con delibera n. 35 del 16.9.2019, degli istituti di partecipazione che avevano inibito ai residenti da meno di cinque anni del Comune di Salerno, ancorché iscritti nelle liste elettorali dello stesso Comune, la possibilità di proporre istanze e petizioni (art. 3) ovvero di promuovere il referendum consultivo (artt. 9 e 13).

Il Tribunale muove dalla considerazione che la partecipazione popolare alla gestione politico-amministrativa della cosa pubblica è un diritto fondamentale, garantito dalla Costituzione, che, all’art. 3, co. 2, impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ad illuminare il senso di tale norma concorrono anche gli articoli 1 e 2 Cost., laddove il primo stabilisce che la sovranità ed il suo esercizio appartengono al “popolo” e il secondo esprime la centralità dei diritti della persona ed il loro completamento nelle formazioni sociali.
Il riconoscimento della peculiare importanza attribuita dal sistema alla partecipazione popolare, quale valore fondamentale e carattere della democrazia politica, ha trovato consacrazione anche a livello di legislazione ordinaria.
In particolare, l’art. 8 del TUEL (D.Lgs. 267/2000) delinea diversi istituti di partecipazione “popolare”, tra l’altro prevedendo “forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi” e “garanzie per il loro tempestivo esame”.
Lo stesso articolo contiene, quindi, la possibilità, per gli enti locali, di prevedere il referendum consultivo, su richiesta di un adeguato numero di “cittadini”, mentre agli statuti degli enti locali spetta disciplinare, nel dettaglio, “le forme di consultazione della popolazione, le procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte e l’eventuale referendum”.
Il diritto riconosciuto ai “cittadini” ha evidentemente la finalità di concorrere alla gestione politico-amministrativa della cosa pubblica, in funzione di controllo diffuso dell’operato delle istituzioni rappresentative.
Ai fini della corretta individuazione dei soggetti chiamati a partecipare alle “forme di consultazione della popolazione”, a livello di enti locali, occorre, dunque, preliminarmente definire il concetto di “popolazione”, che è costituita dalle “persone che compongono la comunità territoriale”, e dunque richiedendosi, di norma, la compresenza dei requisiti della cittadinanza e della residenza.
Le forme di partecipazione di cui ci si occupa sono dunque, in base al citato art. 8, terzo comma, del TUEL, aperte ai “cittadini residenti”.
Lo stesso art. 8, comma 5, del TUEL autorizza, poi, gli enti locali a promuovere “forme di partecipazione” sia per i cittadini UE che per gli stranieri “regolarmente soggiornanti”, disciplinandone il loro esercizio negli statuti, estendendo, quindi, la possibilità di partecipazione anche a chi, pur non essendo “cittadino”, comunque abbia uno stabile collegamento con il territorio, non irragionevolmente desunto, questo sì, dalla durata di tale “collegamento” di volta in volta stabilita.
Ma questo vale, come detto, per chi non possa vantare la condizione di “cittadino”.
Quest’ultimo, in quanto tale, gode di tutti di diritti discendenti dal proprio status, ivi compresa la possibilità di stabilire la sede dei propri affari e interessi in un qualsiasi luogo della Repubblica, acquistandone la residenza, che è situazione giuridicamente normata, e non automaticamente riconosciuta, cui la legge fa conseguire cospicue conseguenze (cfr. art. 43, comma 2, C.C. e segg.).
Dalla lettura coordinata delle due disposizioni sopra indicate contenute nell’art. 8 del TUEL, può dunque conclusivamente dirsi che, mentre la partecipazione popolare è normativamente riconosciuta ai “cittadini residenti”, la stessa può essere estesa anche agli “stranieri” residenti dallo statuto che ben può, in questo caso, disciplinare ulteriormente il “legame” degli stessi con il territorio.
Se dunque si tratta di un “diritto” riconosciuto ai “cittadini”, rinviare la possibilità di suo concreto esercizio ad un termine, collegato alla maturazione di un periodo ritenuto “congruo”, di “stabile collegamento sul territorio”, significa non altro che negare il diritto stesso, di fatto istituendo un indebito ostacolo al suo esercizio e una sorta di “graduatoria” degli aventi diritto, in evidente violazione dell’apicale principio di uguaglianza tra “cittadini” (ex art. 3 Cost.).
Del resto, lo stesso statuto riconosce il diritto di promuovere il referendum consultivo agli “elettori” del Comune stesso (art 54, comma 1, dello Statuto comunale), e tali sono i “residenti”, senza operare alcuna distinzione in base alla data di acquisizione della condizione legittimante (la residenza, appunto).
Posto, dunque, che il diritto è riconosciuto, senza limitazioni, anche dalla fonte statutaria, non può che concludersi che esula dal potere regolamentare la possibilità di comprimere il diritto civico di partecipazione, che resta, quindi, garantito a tutti i “cittadini” della comunità locale (dunque, ivi residenti) senza limitazioni temporali legate alla durata della condizione di cittadino residente.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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