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Le leggi regionali siciliane (maggio – luglio 2020) (3/2020)

L’attività legislativa della Regione Siciliana nel periodo compreso tra maggio e luglio 2020 è consistita nella approvazione di otto leggi.

Due sono state oggetto di impugnazione da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione.

A queste deve aggiungersi il disegno di legge nn. 66 - 143 Bis/A recante “Norme relative al funzionamento della forma di governo regionale, alla nomina ed alla revoca degli Assessori, alla conclusione anticipata della legislatura, in attuazione degli articoli 9, 10, 41 bis e 8 bis dello Statuto della Regione”, approvato dall’Assemblea regionale il 10 giugno, pubblicata a fini notiziali il 10 luglio e, infine, decorso il termine di tre mesi senza che alcuna richiesta di referendum sia stata avanzata ai sensi dell’art. 17-bis dello Statuto, pubblicata nella GURS del 6 novembre con il numero 26 del 2020.

A tale legge è dedicato un commento nella specifica sezione della Rivista al quale si rinvia .

 

1. La prima legge impugnata è la legge regionale 12 maggio 2020, n. 9 “Legge di stabilità regionale 2020-2022, limitatamente all’articolo 10, comma 14 che prevede, per le imprese operanti in Sicilia alla data del 28 febbraio 2020, che assumono dipendenti a tempo indeterminato disoccupati, e qualora le assunzioni non siano state effettuate in sostituzione di lavoratori della stessa azienda, il riconoscimento di contributi sotto forma di sgravi dei contributi previdenziali ed assistenziali per l’anno 2020.

Secondo il Governo la disposizione presenterebbe due aspetti di contrasto con la Costituzione.

Innanzitutto, perché interviene in materia di previdenza e dell’ordinamento e organizzazione di enti pubblici nazionali, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dalle lettere g) e o) dell’articolo 117 della Costituzione. 

Inoltre, perché il riconoscimento di sgravi contributivi comporta minori entrate contributive per l’INPS, ente titolare a riconoscere gli sgravi sulla base della legislazione nazionale, e maggiori oneri per lo Stato.

E ciò confligge con la disciplina europea in tema di aiuti di Stato, ossia alla normativa comunitaria che vieta agli Stati membri di fornire alle imprese sovvenzioni che minacciano di avere effetti distorsivi della concorrenza e possono essere causa di potenziale discriminazione (107 e 108 del TFUE), determinando così indirettamente una violazione dell’art. 117, primo comma della Costituzione.

2. Sono inoltre oggetto di impugnazione alcune previsioni contenute nella legge regionale 20 luglio 2020, n. 16 recante “Norme per il funzionamento del Corpo Forestale della Regione siciliana. Disposizioni varie”.

Segnatamente, si tratta delle disposizioni dei commi 10 e 11 lett. b) dell’art. 1, che contrastano con norme costituzionali, eccedendo le competenze statuarie.

In particolare, il comma 10, aggiunge al comma 6 dell’articolo 1 della legge regionale n. 4/2007 il seguente periodo: “L’adeguamento della suddetta indennità mensile pensionabile, in analogia agli incrementi riconosciuti con decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2018, n. 39, al personale con qualifica non dirigenziale dei corpi di polizia ad ordinamento civile, è definito in sede di contrattazione collettiva”. 

La disposizione regionale in esame, secondo il Governo «demandando la definizione dell’adeguamento della predetta indennità mensile pensionabile alla contrattazione sindacale, non indica la relativa copertura finanziaria, tenuto anche conto che la sessione negoziale del personale del comparto della Regione siciliana relativa al triennio 2016-2018 si è già conclusa, e che gli oneri conseguenti producono effetti sia sulla spesa strutturale del personale, sia sui trattamenti pensionistici del medesimo. 

Conseguentemente, tale disposizione regionale, in assenza di indicazione sulle relative modalità di copertura finanziaria, si pone in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica. 

L’altra disposizione impugnata, l’articolo 1, comma 11, lett. b), prevede invece che il trattamento economico fondamentale del personale comandato di cui al comma 1 del provvedimento in esame rimanga a carico degli enti di provenienza. 

Tale disposizione regionale, secondo il Governo, «si pone in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in materia di ordinamento civile, nonché del terzo comma del predetto articolo 117, in materia di coordinamento della finanza pubblica, in relazione alle disposizioni del citato decreto legislativo n. 165/2001, cui le regioni, pur nel rispetto della loro autonomia, si devono uniformare. 

Quanto al primo parametro, si rileva il contrasto con le disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che rappresentano principi ai quali il legislatore regionale deve fare riferimento, e in particolare con quanto previsto dall’articolo 70, comma 12, il quale dispone che “In tutti i casi, anche se previsti da normative speciali, nei quali enti pubblici territoriali, enti pubblici non economici o altre amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia finanziaria sono tenute ad autorizzare l’utilizzazione da parte di altre pubbliche amministrazioni di proprio personale, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l’amministrazione che utilizza il personale rimborsa all’amministrazione di appartenenza l’onere relativo al trattamento fondamentale”. 

Quanto al secondo, «mancano nella disposizione in esame chiarimenti sul relativo ambito di applicazione, ciò che potrebbe determinare riflessi finanziari e nuovi e maggiori oneri a carico anche di pubbliche amministrazioni non rientranti tra gli enti direttamente dipendenti dalla Regione stessa».

3. Passando alla analisi delle leggi che non sono state oggetto di impugnazione, merita una particolare attenzione la legge regionale 7 luglio 2020, n. 13, “Disposizioni per l’accelerazione dei procedimenti amministrativi per la realizzazione di interventi infrastrutturali urgenti».

Essa, come si ricava anche dal titolo, si compone essenzialmente di due parti.

Da un canto l’art. 1, che introduce alcune modifiche alla legge 21 maggio 2019, n. 7 contenente “Disposizioni per i procedimenti amministrativi e la funzionalità dell’azione amministrativa”.

Dall’altro gli artt. 2, 3 e 4, che prevedono invece delle norme legate, a vario titolo, alla situazione di emergenza da pandemia, con interventi che non hanno, a differenza dei precedenti, carattere strutturale, ma temporaneo, o comunque connesso al verificarsi e al permanere di situazioni di emergenza sul territorio regionale.

Partendo dal primo ambito di intervento della legge, l’art. 1 modifica gli artt. 17 e 19 della legge n. 7 del 2019 in materia di conferenze di servizi.

Al primo aggiunge un comma 4 bis, a norma del quale «La convocazione e la partecipazione alla conferenza costituiscono modalità di lavoro ordinario e obbligo di servizio, la cui violazione rileva ai fini della valutazione della dirigenza». Per l’effetto, si aggiunge che tale violazione «comporta l’applicazione delle sanzioni previste dai contratti collettivi, anche con riferimento al personale eventualmente delegato alla partecipazione alla conferenza».

All’art. 19 aggiunge, invece, il comma 5 bis del seguente tenore: «L’amministrazione regionale o locale ha l’obbligo di comunicare sempre la mancata partecipazione alle riunioni della conferenza almeno tre giorni prima della data fissata per la stessa, motivando l’assenza dell’amministrazione e indicando le proprie determinazioni relative all’oggetto della conferenza. La mancata comunicazione e/o la mancata indicazione delle determinazioni assunte costituiscono responsabilità dirigenziale ed assumono rilevanza agli effetti di cui all’articolo 2, comma 8, sempre che l’amministrazione non abbia partecipato alla conferenza».

Ambedue le previsioni mirano, all’evidenza, a rafforzare il rispetto della disciplina in materia di conferenza, accompagnando agli effetti della mancata partecipazione, già previsti sul piano del procedimento amministrativo al comma 6 dell’art. 19 della legge n. 7 del 2019 – («Si considera acquisito l’assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alla riunione ovvero non abbia espresso un dissenso motivato») – anche delle sanzioni dirette a colpire coloro ai quali tali comportamenti dilatori o ostruzionistici siano individualmente riconducibili.

Sempre in materia di conferenza di servizi, lo stesso art. 1 introduce poi un nuovo art. 19 bis, rubricato Conferenza di servizi obbligatoria in via telematica. In realtà essa prevede l’obbligatorietà della convocazione in via telematica «tranne i casi di obiettiva impossibilità, con modalità tali da garantire l’integrità del contenuto, l’invio e l’avvenuta consegna» (comma 1).

Il comma 2 prevede la possibilità di svolgere la conferenza in modalità telematica, con l’obbligo comunque di videoregistrazione.

Il comma 3 affida, invece, alle Regioni il compito di promuovere presso le autonomie locali, secondo i principi di sussidiarietà e di adeguatezza, lo svolgimento delle conferenze con modalità tecnologicamente avanzate.

 Infine, un’ulteriore novità è introdotta con riguardo alla disciplina del silenzio-assenso, attraverso l’aggiunta all’art. 29 del comma 5 bis, in forza del quale «decorso il termine di conclusione del procedimento, su richiesta dell’interessato l’amministrazione competente è comunque tenuta a notificare, entro quindici giorni, un provvedimento di accertamento dell’intervenuta formazione del silenzio-assenso».

4. Tra le disposizioni introdotte dalla legge regionale n. 13 del 2020 per far fronte alla situazione di emergenza sanitaria meritano particolare attenzione quelle contenute negli artt. 2 e 3.

Il primo riconosce al Presidente della Regione, entro il termine di trenta giorni dall’entrata in vigore delle legge e per un termine massimo di 18 mesi, e comunque previa delibera della Giunta regionale, il potere di nominare come commissari straordinari i sindaci dei comuni interessati per le opere di interesse comunale e per gli interventi sugli edifici scolastici comunali, e i sindaci metropolitani nonché i Presidenti del liberi consorzi comunali per quelli di interesse sovracomunale e per gli interventi sugli edifici scolastici delle ex province.

Tale intervento da parte del Presidente della Regione sarebbe tuttavia subordinato ad alcune condizioni.

Dovrebbe, innanzitutto, riguardare interventi «straordinari necessari a seguito dell’emergenza Covid 19», essere realizzato «al fine di sostenere la ripresa economica della Regione e di assicurare l’accelerazione delle procedure ordinarie per la realizzazione di opere infrastrutturali nonché al fine di assicurare la riqualificazione, l’adeguamento e la messa in sicurezza di edifici scolastici di proprietà degli enti locali»; e, comunque, avvenire «nelle more dell’intervento legislativo statale che assicuri un quadro unitario di misure di semplificazione dei procedimenti amministrativi».

L’art. 3 rubricato Dichiarazione dello stato di crisi e di emergenza nel territorio della Regione Siciliana contiene, invece, una disciplina piuttosto articolata che mira a regolare i poteri di intervento della Giunta regionale e del Presidente della Regione nei casi di «emergenze connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che per loro natura o estensione comportano l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni, e debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri  straordinari  da impiegare  durante  limitati  e   predefiniti   periodi   di   tempo, disciplinati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nell’esercizio della rispettiva potestà legislativa» di cui all’art. 7, comma 1, lett. b) del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile).

Laddove gli eventi indicati colpiscano o minaccino di colpire il territorio o la popolazione regionale, e richiedano per la natura e l’estensione la necessaria e immediata risposta della Regione, la Giunta regionale, su proposta del Presidente della Regione e sentito il dipartimento regionale di protezione civile, decreta lo stato di crisi e di emergenza regionale, determinandone durata ed estensione territoriale. Di tale decisione deve essere data immediata comunicazione all’Assemblea regionale siciliana.

Quanto alla durata dello stato di crisi e di emergenza regionale esso è limitato a 12 mesi, prorogabile per non più di ulteriori 12.

La dichiarazione stessa può coesistere con analoga dichiarazione di emergenza di rilievo nazionale di cui all’art. 24 del d.lgs.vo n. 1 del 2018, precedente o successivo, purché sia giustificato da un evento diverso da quello che abbia determinato l’adozione di quest’ultimo provvedimento.

È tuttavia prevista una sorta di clausola di prevalenza del livello nazionale laddove si precisa che in caso di coesistenza dei due provvedimenti, quelli «adottati ai sensi del presente articolo non possono comunque essere in contrasto con i provvedimenti di gestione della concomitante emergenza di rilievo nazionale».

Sul presupposto della dichiarazione dello stato di crisi e di emergenza e «limitatamente al perdurare» dello stesso, i commi 3 e 4 individuano i poteri che spettano, rispettivamente, alla Giunta regionale e al Presidente della Regione.

Il primo, innanzitutto, attribuisce al Giunta il compito di individuare gli interventi «necessari per affrontare, gestire e superare lo stato di crisi e di emergenza, tra l’ampio strumentario previsto dall’art. 25, c. 2 del Codice della protezione civile»; inoltre, le affida la definizione di «appositi atti di indirizzo, obiettivi e programmi da attuare, specificando il fabbisogno di risorse finanziarie e strumentali necessarie».

Al Presidente spetta, invece, il «coordinamento istituzionale dell’attuazione delle attività finalizzate a superare lo stato di crisi e di emergenza regionale».

Ed ancora, ad esso è affidato il compito di provvedere alla realizzazione degli interventi individuati dalla Giunta attraverso la nomina di «appositi commissari delegati, da individuare fra i dipendenti regionali»; tale obiettivo può essere realizzato – e si tratta della misura di maggiore impatto sul sistema della disciplina dello stato di crisi – «anche a mezzo di ordinanze motivate  in deroga alle disposizioni regionali vigenti e nel rispetto del diritto dell’Unione europea, della Costituzione, dello Statuto speciale della Regione, delle leggi dello Stato e dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico».

 Il comma 7, infine, nel definire le modalità di intervento da parte dei commissari delegati, rinvia alla legge regionale n. 7 del 2019; segnatamente, all’art. 30 in materia di silenzio-assenso, dimezzando però i termini per la formazione dello stesso, e prevedendo l’obbligo di ricorso alla conferenza di servizi decisoria di cui all’art. 17, c.2 «solo in caso di dissenso espresso da parte di una delle amministrazioni interpellate».

L’art. 4 completa il quadro delle misure adottabili per far fronte alla situazione di emergenza prevedendo che, «per gli interventi di interesse strategico regionale», individuati con deliberazione della Giunta regionale e già finanziati e per un termine massimo di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, «il Presidente della Regione, con proprio decreto, nomina un commissario straordinario unico per l’accelerazione dei relativi procedimenti di competenza regionale».

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