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Sindacato sulle norme provvedimentali: rilevanza e necessaria verifica della «causa ultima» o «razionalità oggettiva della disposizione censurata» (3/2020)

Sentenza n. 168 del 2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale
Deposito del 27/07/2020 – Pubblicazione in G. U. 29/07/2020

Motivo della segnalazione

La decisione merita di essere segnalata per via di alcune precisazioni in essa contenute, relative alle modalità con cui deve svolgersi il sindacato di costituzionalità sulle norme provvedimentali, e per le implicazioni che ne discendono nel caso di specie. L’occasione per esprimere tali precisazioni è data da alcune questioni di legittimità costituzionale riguardanti il  d.l. n. 109 del 2018 (c.d. “decreto Genova”): nel loro esame, la Corte muove infatti dall’assunto, espresso dai giudici rimettenti (TAR Liguria, con diverse ordinanze), che l’atto impugnato ha carattere provvedimentale, in quanto contiene previsioni «di contenuto particolare e concreto» che incidono «su un numero limitato di destinatari, attraendo alla sfera legislativa quanto normalmente affidato all’autorità amministrativa» (sentenza n. 114 del 2017). 

Essa osserva quindi innanzitutto che a ciò «segue la necessità, pienamente conforme alla giurisprudenza di questa Corte, di uno scrutinio di costituzionalità stretto, ovvero particolarmente severo, poiché in norme siffatte è insito il pericolo di un arbitrio, connesso alla potenziale deviazione, in danno di determinati soggetti, dal comune trattamento riservato dalla legge a tutti i consociati (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2017 e n. 64 del 2014)»;  per sottolineare subito dopo che «non si accorda, viceversa, alla giurisprudenza costituzionale la conseguenza che i rimettenti traggono da questa corretta premessa, ossia che l’accertamento della violazione dei principi che presiedono all’attività amministrativa possa essere integralmente invocata anche in caso di leggi provvedimento, conducendo ad un sindacato equipollente, nei criteri e nei modi, a quello al quale è soggetto l’esercizio della discrezionalità amministrativa» (considerato n. 15).

Più nel dettaglio, si argomenta: «che il legislatore attragga a sé una materia che, in caso contrario, sarebbe stata rimessa alla autorità amministrativa comporta, infatti, che la legge si sostituisca all’atto provvedimentale, ma non che ne mutui con ciò anche i tratti costitutivi»; e «ciò ha una evidente ricaduta sui criteri con i quali questa Corte è chiamata a porre in essere il proprio controllo di legalità costituzionale, con riferimento, in particolare, alla verifica sulla eventuale motivazione che accompagni l’intervento legislativo». A questo proposito, si ricorda, in primo luogo, che «benché, in linea di principio, il legislatore non abbia l’obbligo di motivare le proprie scelte (sentenza n. 14 del 1964), ugualmente ciò non gli è affatto precluso (sentenza n. 379 del 2004), ed anzi, specie a fronte di un intervento normativo provvedimentale, può proficuamente contribuire a porne in luce le ragioni giustificatrici, agevolando l’interprete e orientando, in prima battuta, il sindacato di legittimità costituzionale»; per poi puntualizzare che tuttavia, la Corte, come essa ha già avvertito accadere nel conflitto tra poteri vertenti su un atto motivato, «non può limitarsi a verificare la validità o la congruità delle motivazioni» (sentenza n. 10 del 2000), ovvero – si specifica qui ulteriormente –  «del corredo lessicale con cui si esprime la ragione della scelta, ma deve piuttosto accertare se la norma esprima interessi affidati alla discrezionalità legislativa, e regolati in forma compatibile con la Costituzione». Ne consegue «che con penetrazione assai più incisiva di quella limitata al percorso motivazionale esplicito, la Corte è tenuta a individuare la causa ultima della norma, quale componente razionalmente coordinata nel più vasto insieme dell’ordinamento»: ciò anche in considerazione del fatto che il “tessuto normativo” presenta «una “motivazione” obiettivata nel sistema, che si manifesta come entità tipizzante del tutto avulsa dai “motivi”, storicamente contingenti» (sentenza n. 89 del 1996), e – si precisa ulteriormente nella decisione in commento –  «eventualmente, ulteriore rispetto alla formula verbale con cui il legislatore storico cerca di esprimerla». Ne segue, in definitiva, che «il sindacato di costituzionalità sulla norma provvedimentale diviene davvero effettivo solo se attinge alla razionalità oggettiva della disposizione censurata, per come essa vive nell’ordinamento e per gli effetti che vi produce» (considerato n. 15.1). Pertanto, «non può essere seguito l’approccio dei rimettenti, volto a rendere causa immediata di illegittimità costituzionale ogni eventuale inadeguatezza della motivazione esplicitata dal legislatore»: al contrario, è «necessario accertare in maniera stringente se siano identificabili interessi in grado di giustificare la legge, desumibili anche in via interpretativa (sentenza n. 270 del 2010), perché devono risultare i criteri che ispirano le scelte realizzate, nonché le relative modalità di attuazione attraverso l’individuazione degli interessi oggetto di tutela (sentenze n. 182 del 2017 e n. 137 del 2009)» (considerato n. 15.2). In altri termini, dal ragionamento della Corte complessivamente si evince che nel controllo della legittimità costituzionale delle norme provvedimentali deve tenersi conto della loro motivazione oggettiva ed eventualmente implicita, e pertanto che l’illegittimità di tali norme debba in concreto escludersi qualora sia possibile riconoscere, quale ratio delle stesse, la tutela di un interesse costituzionalmente rilevante identificabile dalla Corte, al di là della motivazione che sia stata eventualmente data dal legislatore in forma esplicita.

Coerentemente con tali precisazioni, nel caso di specie, sono rigettate le questioni di legittimità costituzionale avanzate nei confronti delle disposizioni del “decreto Genova”, convertite in legge, che hanno determinato l'estromissione di Autostrade per l'Italia dall'opera di demolizione,  ricostruzione e ripristino del c.d. Ponte Morandi crollato il 14 agosto 2018. La Corte, dopo aver rilevato che tale estromissione si è compiuta attraverso «due passaggi giuridicamente distinti», ed entrambi oggetto delle censure dei rimettenti (posto che, con le norme impugnate, il legislatore ha previsto che il concedente non attivasse la convenzione di cui il concessionario è parte, e dunque non obbligasse quest’ultimo a fornire la prestazione, nonostante ASPI ne avesse la volontà»; mentre «in seguito, e per conseguenza logica, si è precluso al commissario straordinario di avviare la procedura negoziata senza pubblicazione con il concessionario»), ha infatti ritenuto che  «ciascuno dei due passaggi si fonda[sse] su ragioni obiettive, congruenti o connesse con quelle esplicitate, sia pure in modo non sempre limpido, nella stessa normativa in esame». Per un verso, infatti, «la decisione di non attivare la convenzione è dipesa sia dall’urgenza di avviare i lavori per ripristinare tempestivamente un tratto autostradale essenziale per i collegamenti nella regione, sia dai dubbi insorti sull’affidabilità del concessionario, alla luce della gravità dell’evento verificatosi e delle risultanze delle prime indagini amministrative». Per altro verso, «l’esclusione dello stesso concessionario dalla procedura negoziata, poi, è la naturale conseguenza della decisione di cui sopra e, inoltre, è funzionale anche a determinare una maggiore apertura del settore autostradale alla concorrenza da parte di operatori diversi dai concessionari, ivi compresa ASPI alla quale fa capo [...] una porzione maggioritaria del mercato nazionale». L’esame approfondito svolto nel seguito della motivazione specifica meglio tali «ragioni obiettive» dell’intervento legislativo e conduce  concludere che «le medesime e solide ragioni di eccezionale gravità e urgenza, connesse alla tragedia di Genova e al conseguente deficit di fiducia incorso nei confronti del custode del bene perito» rendono infondate tutte le censure avanzate (considerato n. 23.1).

Osservatorio sulle fonti

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