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AUTORITÀ DI REGOLAZIONE PER ENERGIA, RETI E AMBIENTE – ARERA (2/2021)

Il Consiglio di Stato, determinando in senso espansivo la portata dell’effetto abrogante del c.d. “referendum sull’acqua pubblica”, si esprime nel senso della legittimità del provvedimento con cui l’ARERA ha previsto la restituzione agli utenti finali di una componente tariffaria del servizio idrico integrato abrogata in esito a tale referendum (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14 maggio 2021, n. 3809).

 

Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza n. 3809 del 14 maggio 2021, ha confermato la sentenza del TAR Lombardia n. 1275 del 2014 (appellata, in via principale, dall’ARERA e, in via incidentale, dal gestore del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale di Genova), che aveva annullato la deliberazione dell’ARERA 273/2013/R/idr del 25 giugno 2013, in tema di “Restituzione agli utenti finali della componente tariffaria del servizio idrico integrato relativa alla remunerazione del capitale, abrogata in esito al referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, con riferimento al periodo 21 luglio – 31 dicembre 2011, non coperto dal metodo tariffario transitorio”.
La decisione del Consiglio di Stato interviene all’esito di un corposo contenzioso “seriale”, scaturito dalla deliberazione 585/2012/R/idr, con cui l’ARERA, in forza del trasferimento delle funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici (previsto dall’art. 21 del d.l. n. 201/2011), aveva introdotto il Metodo Tariffario Transitorio (MTT) per la determinazione delle tariffe del servizio idrico integrato (SII) negli anni 2012 e 2013.
Ai fini della comprensione della questione controversa nel giudizio definito con la pronunzia in rassegna – questione di particolare complessità e riguardante, in estrema sintesi, la delimitazione temporale, alla luce degli esiti del referendum del 2011 c.d. “sull’acqua pubblica”, dei poteri regolatori in materia di tariffe del SII attribuiti all’ARERA dal citato d.l. n. 201/2011 – è il caso di riassumere per sommi capi la normativa attualmente vigente in tale materia.
Al riguardo, la fonte normativa principale è costituita dal d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. “Codice dell’ambiente”), che, all’art. 141, definisce il SII quale insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue.
Quanto alla tariffa da corrispondersi da parte degli utenti del servizio, assume rilevanza centrale l’art. 154, comma 1, del Codice dell’ambiente, il cui testo è stato modificato a seguito dell’esito positivo (accoglimento) del referendum abrogativo di parte del comma medesimo (referendum c.d. “sull’acqua pubblica”, svoltosi in data 12 e 13 giugno 2011).
Con specifico riferimento ai criteri da seguire nella determinazione della tariffa del SII, l’art. 154, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, nel testo precedente il referendum popolare del 2011, disponeva qunto segue: «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».
Gli esiti della richiamata consultazione referendaria sono stati proclamati con il d.P.R. 18 luglio 2011, n. 116, che ha determinato l’abrogazione parziale dell’art. 154, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, a far data dal 21 luglio 2011. Più in dettaglio, il comma 1 dell’art. 154 è stato abrogato nella parte in cui prevedeva, tra i criteri per la determinazione della tariffa per il servizio idrico integrato, “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Giova rammentare che il comma 2 del medesimo art. 154 demandava l’attuazione di tali criteri tariffari ad un apposito decreto ministeriale (mai adottato), disponendo quanto segue: «Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua».
L’art. 170, comma 3, lett. l), del d.lgs. n. 152/2006, stabilisce infine che “fino all’emanazione del decreto di cui all’art. 154, comma 2, continua ad applicarsi il D.M. 1° agosto 1996”.
Il D.M. 1° agosto 1996, recante il “Metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo e la determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato”, ed emanato in attuazione della normativa-quadro all’epoca vigente (art. 13, legge n. 36 del 1994, c.d. “legge Galli”), prevedeva espressamente che la tariffa di riferimento del SII fosse costituita, in uno ad altre componenti, dalla “remunerazione del capitale investito”.
Orbene, per effetto della mancata adozione del decreto ministeriale previsto dall’art. 154, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, ha continuato a trovare applicazione (anche per un periodo successivo agli effetti dell’esito referendario), in forza di quanto disposto dalla norma transitoria dettata dall’art. 170 dello stesso provvedimento legislativo, il D.M. 1° agosto 1996, che del criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” faceva per l’appunto applicazione.
Con un apposito quesito, formulato il 23 ottobre 2012, l’ARERA ha chiesto al Consiglio di Stato se già a far data dal 21 luglio 2011 – ossia dalla data in cui ha avuto effetto l’intervenuta abrogazione referendaria parziale dell’art. 154, comma 1, d.lgs. n. 152/2006 – essa dovesse attendere all’adeguamento della componente remunerativa degli investimenti riconosciuti ai gestori, con espunzione dalla tariffa, quindi, a partire dalla data suindicata, della parte relativa all’“adeguata remunerazione del capitale investito”.
Successivamente all’espressione da parte del Consiglio di Stato del parere n. 267 in data 25 gennaio 2013 (su cui v. infra), l’ARERA ha avviato il procedimento, con delibera 38/2013/R/idr del 31 gennaio 2013, per la restituzione agli utenti finali della componente tariffaria del servizio idrico integrato relativa alla “remunerazione del capitale investito”. Tale procedimento si è concluso con la citata deliberazione 273/2013/R/idr, con cui l’Autorità, all’art. 2, comma 2, ha indicato i criteri per la determinazione dell’importo da restituire, prevedendo che questo dovesse essere pari all’importo previsto in ciascun Piano di Ambito, dedotte esclusivamente le seguenti voci di costo: i) gli oneri fiscali in ragione dell’imposta effettivamente pagata, ii) gli oneri finanziari effettivamente sostenuti e documentati dal gestore, iii) gli accantonamenti per la svalutazione crediti, nella misura ritenuta efficiente da parte dell’Ente d’Ambito o del soggetto competente.
Nel giudizio definito con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3809/2021, il gestore del SII appellante (in via incidentale) contestava in radice (nell’an) la legittimità dell’obbligo di restituzione agli utenti finali della componente tariffaria relativa alla remunerazione del capitale, in esito al referendum popolare del giugno 2011. In particolare, secondo il gestore del SII, sarebbe stato erroneo sostenere che, dall’abrogazione parziale dell’art. 154, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, conseguisse un obbligo di scomputare la componente della remunerazione del capitale investito, non soltanto in merito al futuro metodo tariffario, bensì anche in ordine alle tariffe pregresse. Ciò, in quanto: da un lato, il referendum ha abrogato la voce dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito dal costrutto del citato art. 154, il quale rimandava tuttavia per la sua applicazione ad un futuro decreto ancora non emanato all’epoca di indizione e svolgimento della consultazione referendaria; dall’altro lato, l’art. 170 dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che prevedeva la sopravvivenza del metodo normalizzato del 1996 fino all’emanazione del nuovo decreto, non era stato toccato dall’abrogazione del referendum.
Ai fini della decisione del giudizio di appello, assumeva quindi rilievo decisivo la esatta determinazione della portata da riconoscere all’effetto abrogante prodottosi in conseguenza del referendum del 12 e 13 giugno 2011.
Sul punto, invero, il Consiglio di Stato si era già pronunciato in sede consultiva, con il sopra citato parere n. 267 del 2013, chiarendo, in particolare, in che termini l’intervenuta abrogazione referendaria dell’art. 154, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, limitatamente alla parte in cui lo stesso aveva riguardo al parametro della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, avesse inciso sul riferimento che allo stesso parametro era contenuto nel D.M. 1° agosto 1996.
Al riguardo, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che l’applicazione fatta dello stesso decreto 1° agosto 1996 a far data dal giorno (21 luglio 2011,) in cui il referendum del 12 e 13 giugno del 2011 ha prodotto effetti, non fosse stata coerente – nei limiti in cui quel decreto contemplava e applicava, per la determinazione della tariffa, il criterio della adeguata remunerazione del capitale investito – con il quadro normativo risultante dalla consultazione referendaria.
A tale conclusione il Consiglio di Stato era pervenuto sulla scorta della riconosciuta valenza espansiva del referendum abrogativo rispetto alle disposizioni legislative non coinvolte in maniera espressa dal quesito referendario, ma comunque incompatibili con la volontà manifestata dagli elettori, affermando che, malgrado la legge n. 352 del 1970, nulla disponga in merito, deve ritenersi che il positivo esito referendario incida anche su tali ulteriori norme.
Ricollegandosi espressamente al parere n. 267 del 2013, il Consiglio di Stato, nella sentenza in rassegna, ha ribadito la valenza espansiva abrogazione referendaria, precisando che, nel caso di norme non esplicitamente indicate nel quesito referendario ma in contrasto con la volontà popolare espressa sul quesito stesso, si è al cospetto di “un’abrogazione tacita conseguente al contrasto tra contenuti normativi che si susseguono nel tempo”.
In altri termini, l’abrogazione espressa dichiarata in esito all’accoglimento della domanda referendaria può produrre effetti con riguardo a quelle discipline legislative che, ancorché non oggetto del quesito, siano tuttavia strettamente connesse ad esso in quanto recanti norme contrastanti con la volontà abrogativa popolare.
Alla stregua di tali considerazioni, pertanto, il Giudice dell’appello amministrativo ha ritenuto che gli effetti propri del referendum del 2011 debbano estendersi anche alla norma transitoria, di cui all’art. 170, comma 3, lettera l), del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui «fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 154, comma 2, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 1 agosto 1996»: decreto quest’ultimo che, per la determinazione della tariffa, applicava – come si è visto – il criterio della adeguata remunerazione del capitale investito (oggetto del quesito referendario).
D’altra parte, il Consiglio di Stato, richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale secondo cui «il tema del quesito sottoposto agli elettori non è tanto formato […] dalla serie delle singole disposizioni da abrogare, quanto dal comune principio che se ne ricava» (Corte cost., sent. n. 16/1978), ha ulteriormente osservato che «al referendum abrogativo […] deve riconoscersi una “forza” politica peculiare – in quanto attraverso di esso il popolo esprime una volontà preminente su ogni altra –, idonea a dilatare le potenzialità espansive dello strumento in modo tale da trascendere anche i connotati legati alla efficacia della legge formale».
Il che porta il Consiglio di Stato a concludere che “la diversa opinione che avesse ritenuto la nuova formulazione del citato art. 154 applicabile solo alle nuove convenzioni, con esclusione di quelle in essere, avrebbe comportato evidentemente la radicale vanificazione degli effetti del referendum del 2011, soprattutto tenuto conto della lunga durata delle convenzioni in essere”.
In tale quadro, dunque, era l’Amministrazione investita della funzione regolatoria del servizio del servizio idrico “a dover garantire prima di chiunque altro il risultato referendario e a costruire le condizioni più idonee per la sua attuazione”. Ponendosi il D.M. 1° agosto 1996 ‒ nel periodo compreso tra il 21 luglio e il 31 dicembre 2011 ‒ in contrasto con il quadro normativo delineatosi a seguito del referendum del 12 e 13 giugno del 2011, l’ARERA, quindi, «ben poteva ‒ e anzi doveva ‒ ripristinare ‘ora per allora’ la legalità violata, avviando il procedimento per la restituzione agli utenti della componente tariffaria corrispondente alla remunerazione del capitale per il suddetto periodo successivo alla celebrazione del referendum e rimasto regolato da una disciplina che non ne aveva “introiettato” gli esiti».
In definitiva, per i Giudici di Palazzo Spada, l’intervento del Regolatore volto alla restituzione di quanto pagato a titolo di remunerazione del capitale nel periodo 21 luglio - 31 dicembre 2011, pur incidendo su situazioni pregresse, è pienamente giustificato dalla necessità di ristabilire l’ordine giuridico violato a causa dell’applicazione, in detto periodo, di una disciplina in contrasto con gli effetti del referendum del 12 e 13 giugno del 2011.
Il Consiglio di Stato ha comunque escluso che l’intervento di restituzione abbia prodotto effetti retroattivi “in senso proprio”, con ciò escludendo, quindi, che esso sia stato posto in violazione dei principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento.
Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, «l’effetto abrogativo discendente dal referendum ha sì inciso sui contratti già stipulati, ma con decorrenza successiva alla sua entrata in vigore, ovvero con esclusivo riguardo alle prestazioni (al momento della definizione dell’esito referendario) non ancora eseguite. Si tratta pertanto di un caso di retroattività c.d. “impropria”: la norma (abrogativa) ha prodotto effetti solo ex nunc, anche se con riferimento a fatti compiuti nel passato (i contratti “vigenti”)».
Da questo punto di vista, dunque, “la deliberazione n. 273 del 2013 ha semplicemente applicato la disciplina tariffaria vigente ratione temporis, ossia in vigore a partire da quando hanno prodotto effetti gli esiti referendari”.

 

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