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La Corte di Giustizia e la conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell'UE (3/2021)

Titolo completo: La Corte di Giustizia, pronunciandosi sulla conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE, riconosce l’ammissibilità del raggiungimento, prima dell’adozione della decisione di conclusione da parte del Consiglio, di un “comune accordo” degli Stati membri a esserne vincolati

Parere della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 6 ottobre 2021, Convenzione di Istanbul, parere 1/19

La Corte di Giustizia, nel parere adottato sulla conclusione da parte dell’UE della Convenzione relativa alla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ha precisato che i Trattati vietano al Consiglio di subordinare l’adozione della decisione relativa alla conclusione di tale Convenzione al previo accertamento di un “comune accordo” tra gli Stati membri a esserne vincolati, nelle materie rientranti nella loro competenza. Tuttavia, i Trattati non vietano al Consiglio di attendere, prima dell’adozione della decisione di conclusione, il raggiungimento del suddetto “comune accordo” tra gli Stati membri. La Corte ha, inoltre, individuato negli articoli 78 TFUE (politica di asilo e non respingimento), 82, par. 2, 84 TFUE (cooperazione giudiziaria in materia penale) e 336 TFUE (statuto dei funzionari) le basi giuridiche sostanziali della decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione.

Con il parere 1/19, adottato il 6 ottobre 2021, la Corte di Giustizia si è pronunciata, ai sensi dell’articolo 218, par. 11, TFUE[1], su tre questioni sollevate dal Parlamento europeo in relazione alla conclusione, da parte dell’UE, della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul). Tale Convenzione, avendo ad oggetto materie che rientrano sia nella competenza dell’UE che in quella degli Stati membri, è qualificabile come un accordo misto.

Il 4 marzo 2016, la Commissione europea ha adottato sia la proposta di decisione sulla firma della Convenzione che la proposta di decisione sulla conclusione; entrambe avevano come base giuridica sostanziale gli articoli 82, par. 2[2], e 84 TFUE[3] relativi alla cooperazione giudiziaria in materia penale. Per quanto concerne la decisione sulla firma, il Consiglio ha deciso di modificare le basi giuridiche sostanziali indicate nella proposta della Commissione e di adottare due decisioni distinte: la decisione 2017/865, relativa alla firma della Convenzione in relazione alla cooperazione giudiziaria in materia penale e basata sugli articoli 82, par. 2, e 83, par. 1[4], TFUE e la decisione 2017/866 relativa alla firma della Convenzione per quanto concerne l’asilo e il non-respingimento basata, invece, sull’articolo 78, par. 2, TFUE[5]. L’adozione di due decisioni distinte è stata motivata dalla necessità di assicurare il rispetto dei Protocolli 21 e 22 relativi alla posizione, rispettivamente, dell’Irlanda e della Danimarca in relazione allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia[6]. In particolare, l’Irlanda, in conformità a quanto previsto dal richiamato Protocollo, aveva notificato la propria volontà di partecipare solo alla conclusione, da parte dell’Unione, delle disposizioni della Convenzione di Istanbul relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale e non, invece, a quelle in materia di asilo e non respingimento.

Tali decisioni hanno permesso di giungere, il 13 giugno 2017, alla firma della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE; la decisione sulla conclusione della Convenzione, invece, non è ancora stata adottata poiché il Consiglio sembra voler subordinare tale decisione al raggiungimento di un “comune accordo” tra gli Stati membri a vincolarsi alla Convenzione nelle materie rientranti nella loro competenza.

Nella domanda di parere, il Parlamento ha innanzitutto chiesto alla Corte di pronunciarsi circa le basi giuridiche appropriate per la decisione relativa alla conclusione della Convenzione da parte dell’UE e riguardo alla necessità o possibilità di scindere in due atti le decisioni relative alla firma e alla conclusione. Nella seconda questione, il Parlamento ha domandato alla Corte di valutare se i trattati permettono o impongono al Consiglio di attendere, prima di adottare la decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione, l’esistenza di un “comune accordo” tra tutti gli Stati membri a essere vincolati dalla suddetta Convenzione.

Richiamando la finalità della procedura di consultazione prevista dall’articolo 218, par. 11, TFUE, la quale è segnatamente volta a evitare che, successivamente alla conclusione di un accordo internazionale da parte dell’UE, se ne accerti l’incompabilità con le disposizioni dei Trattati, la Corte ha ritenuto irricevibile la prima questione sottopostale nella parte in cui essa si riferiva alla decisione sulla firma. La finalità preventiva della procedura non poteva, infatti, dirsi esistente in relazione a tale aspetto, in ragione del fatto che la firma della Convenzione era già avvenuta al momento del deposito della domanda di parere.

La Corte ha, quindi, proceduto a esaminare per prima la seconda questione posta dal Parlamento. Essa ha, innanzitutto, costatato che l’articolo 218 TFUE, nel disciplinare la decisione di concludere accordi internazionali a nome dell’UE, non riconosce alcuna competenza agli Stati membri. Più precisamente, la richiamata disposizione, al par. 8, primo comma, prevede che la decisione relativa alla conclusione a nome dell’UE di un accordo quale la Convenzione di Istanbul deve essere oggetto di una delibera a maggioranza qualificata del Consiglio, previa approvazione del Parlamento[7]. Come evidenziato dalla Corte, qualora l’esistenza di un “comune accordo” tra gli Stati membri a essere vincolati, in relazione ai settori di propria competenza, a un accordo misto venga a costituire una condizione necessaria per dare avvio alla procedura di conclusione di un accordo internazionale da parte dell’UE, si verrebbe a istituire un «processo decisionale ibrido» (par. 246) in cui, nell’ambito della procedura definita dall’articolo 218, parr. 2, 6 e 8 TFUE, verrebbe ad aggiungersi una fase ulteriore. La suddetta fase sarebbe, peraltro, in contrasto con quanto previsto dal Trattato e con la giurisprudenza della Corte secondo la quale le disposizioni dei Trattati relative alle modalità di formazione della volontà dell’UE in materia di accordi internazionali «non sono a disposizione» degli Stati membri (par. 232)[8]. Appare, infatti, evidente che, affermando la necessaria esistenza di un “comune accordo” tra gli Stati membri, la possibilità per l’UE di concludere un accordo misto «dipenderebbe interamente dalla volontà di ciascuno Stato membro di essere vincolato da un tale accordo nelle materie che rientrano nelle sue competenze e, di conseguenza, dalle scelte che gli Stati membri fanno in modo sovrano in tali materie» (par. 247). Conseguentemente, la circostanza che il Consiglio subordini l’avvio della procedura di conclusione della Convenzione di Istanbul al previo raggiungimento di “comune accordo” tra gli Stati membri ad esserne vincolato, non solo non risulta oggetto di un obbligo previsto dai Trattati, ma deve ritenersi addirittura vietato.

Ciò detto, la Corte ha precisato che, stante la necessità di adottare la decisione di conclusione dell’accordo a maggioranza qualificata e in ragione dell’assenza di qualsiasi indicazione da parte dei Trattati di un termine entro il quale il Consiglio sia tenuto ad adottare tale decisione, la scelta se dare o meno seguito alla proposta di decisione relativa alla conclusione di un accordo e l’individuazione del momento in cui avviare la procedura rientrano nell’ambito della discrezionalità politica del Consiglio. Ne consegue che, fatta salva la necessità di assicurare il rispetto del proprio regolamento interno e di garantire piena efficacia all’articolo 218, parr. 2, 6 e 8 TFUE, al Consiglio non è preclusa la possibilità di «prorogare il dibattito al suo interno» per raggiungere la maggioranza qualificata necessaria per l’adozione della decisione di conclusione, nonché «nel caso di accordi misti, una più stretta cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione nel processo di conclusione, il che può comportare l’attesa di un “comune accordo” degli Stati membri» (par. 253). Come precisato dalla Corte, l’esercizio di una tale discrezionalità politica avviene, conformemente all’articolo 218, par. 8, a maggioranza qualificata; pertanto, tale maggioranza potrebbe imporre, in qualsiasi momento e conformemente al regolamento interno del Consiglio che, tra l’altro, prevede il diritto della Commissione e di qualsiasi Stato membro di chiedere l’apertura di una procedura di voto, la chiusura del suddetto dibattito e l’adozione della decisione relativa alla conclusione dell’accordo internazionale.

Con riferimento, invece, alla prima questione posta dal Parlamento, la Corte ha, innanzitutto, richiamato che secondo una giurisprudenza consolidata la scelta della base giuridica dell’atto adottato dall’UE per la conclusione di un accordo internazionale, così come di qualsiasi altro atto, deve fondarsi su elementi oggettivi, suscettibili di essere oggetto di sindacato giurisdizionale[9]. Inoltre, qualora un atto persegua contestualmente più finalità e nessuna di esse appaia accessoria rispetto all’altra, è eccezionalmente ammissibile che tale atto si fondi su basi giuridiche plurime. In particolare, in relazione a un accordo internazionale, la Corte ha affermato che l’esistenza di basi giuridiche plurime per l’atto relativo alla decisione di firma o di conclusione di un accordo internazionale non è giustificata qualora le disposizioni dell’accordo che perseguono una finalità determinata o che costituiscono una componente di esso, «siano il corollario indispensabile del carattere effettivo delle disposizioni di detto accordo che perseguono altre finalità o costituiscono altre componenti, oppure se esse rivestano una “portata estremamente limitata”»[10] (par. 286).

Svolte tali premesse, la Corte è partita dal presupposto che l’atto di conclusione della Convenzione di Istanbul avrà esclusivamente ad oggetto le disposizioni di essa relative alla cooperazione giudiziaria in materia penale, all’asilo e al non respingimento e agli obblighi incombenti alle istituzioni e alla pubblica amministrazione dell’UE. Benché le decisioni sulla firma non facciano riferimento a quest’ultimo profilo, il Consiglio ha precisato di prevedere che l’atto di conclusione verta anche su tale parte.

In primo luogo, la Corte ha affermato che una pluralità di disposizioni della Convenzione di Istanbul ricadono nella competenza dell’UE prevista dall’articolo 82, par. 2, TFUE, in forza del quale l’Unione, al fine di facilitare il reciproco riconoscimento delle sentenze e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, può stabilire norme minime in relazione, tra le altre, all’ammissibilità delle prove tra gli Stati membri, ai diritti delle persone nei procedimenti penali e ai diritti delle vittime della criminalità. A tal proposito, la Corte ha richiamato le disposizioni della Convenzione in materia di giurisdizione per il perseguimento dei reati da essa previsti (art. 44), presa in considerazione delle condanne pronunciate sul territorio di un altro Stato contraente (art. 47), divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti e di misure alternative alle pene obbligatorie (art. 48), necessità di assicurare indagini e procedimenti giudiziari efficaci e rapidi, d’ufficio o su istanza di parte (art. 55), tenendo conto dei diritti della vittima, assicurandole una protezione adeguata e immediata (artt. 49 e 50) e il diritto ad essere ascoltata e garantendo adeguata protezione ai testimoni (art. 52). Rilevano altresì le disposizioni della Convenzione di Istanbul relative alla ammissibilità delle prove (art. 54), prescrizione dei reati (art. 58), assistenza legale della vittima e accesso al gratuito patrocinio (art. 57), cooperazione in materia penale al fine di prevenire, combattere e perseguire tutte le forme di violenza previste dalla Convenzione, proteggere e assistere le vittime, condurre indagini o procedimenti per i reati da essa previsti ed eseguire le sentenze penali, assicurare alle vittime di un reato commesso sul territorio di uno Stato contraente la possibilità di presentare denuncia alle autorità competenti del proprio Stato di residenza, assistenza tra gli Stati parte in materia penale, promozione dell’estradizione e dell’esecuzione di sentenze penali tra le parti (art. 62), scambio di informazioni relative all’esistenza del rischio immediato di atti di violenza nei confronti di una persona che si trova nel territorio di uno degli Stati parte (art. 63), nonché delle informazioni che consentano di prevenire la criminalità, avviare e continuare le indagini (art. 64) e protezione dei dati (art. 65).

In ragione del «numero e della portata di queste disposizioni» (par. 296), la Corte ha ritenuto che l’articolo 82, par. 2, TFUE deve essere qualificato come una delle basi giuridiche dell’atto relativo alla conclusione della Convenzione.

In secondo luogo, ad avviso della Corte, molteplici disposizioni della Convenzione di Istanbul ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 84 TFUE che fonda la competenza dell’UE a definire misure volte a promuovere e sostenere l'azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità. A questo proposito, la Corte ha richiamato le disposizioni della Convenzione in materia di promozione di politiche relative alla parità di genere (art. 7) e politiche nazionali efficaci, globali e coordinate, volte alla prevenzione e lotta di ogni forma di violenza oggetto della Convenzione (art. 8), istituzione di organismi ufficiali responsabili del coordinamento, dell’attuazione, del monitoraggio e della valutazione delle politiche di prevenzione della violenza di genere (art. 10), nonché della raccolta dei dati ad essa relativi e del sostegno della ricerca sulle cause e gli effetti della stessa (art. 11), promozione dei cambiamenti necessari a sradicare tutte le pratiche basate sull’idea di un’inferiorità delle donne e su modelli stereotipati dei ruoli di uomini e donne, adozione di tutte le misure necessarie a prevenire ogni forma di violenza prevista dalla Convenzione, ad assicurare che la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto «onore» non siano qualificati come giustificazioni degli atti di violenza (art. 12), realizzazione dei programmi di sensibilizzazione (art. 13) ed educazione (art. 14) formazione delle figure professionali a contatto con le vittime o gli autori degli atti di violenza (art. 15), implementazione dei programmi destinati agli autori di violenze domestiche (art. 16), adozione di tutte le misure necessarie per proteggere le vittime da nuovi atti di violenza (art. 18), garanzie di accesso tempestivo a informazioni adeguate sui servizi di sostegno e sulle misure legali disponibili (art. 19), alla consulenza legale e psicologica, all’assistenza finanziaria, all’alloggio e all’istruzione (art. 20), ai meccanismi regionali e internazionali disponibili per le denunce individuali o collettive (art. 21), a servizi di supporto immediato specializzati (art. 22). Rilevano al riguardo anche le disposizioni relative alla predisposizione di case rifugio (art. 23), di linee telefoniche di sostegno (art. 24) e di centri di prima assistenza per le vittime di stupri e di violenze sessuali (art. 25), adozione delle misure di protezione e sostegno a favore dei bambini testimoni degli atti di violenza (art. 26), promozione della segnalazione da parte di ogni persona di atti di violenza in essere o già compiuti (art. 27) e assicurazione che le norme sulla riservatezza imposte dalla legislazione nazionale non precludono la segnalazione di tali atti da parte di certe figure professionali (art. 28), previsione di misure operative preventive volte a valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti (art. 51), predisposizione di una legislazione che consenta l’adozione di misure urgenti di allontanamento nei confronti degli autori di violenza domestica (art. 52) e di ordinanze di divieto e di ingiunzione (art. 53), rafforzamento della cooperazione in materia penale allo scopo di prevenire, combattere e perseguire tutte le forme di violenza, a proteggere e assistere le vittime, a condurre indagini o procedere penalmente per i reati e dare applicazione alle sentenze adottate dagli altri Stati contraenti, promuovere lo scambio di informazioni tra gli Stati parte volte ad agevolare la prevenzione dei reati, ad avviare e proseguire indagini penali (art. 62) relative all’esistenza del rischio immediato di atti di violenza nei confronti di una persona che si trova nel territorio di uno di essi (art. 63).

In ragione del numero e della portata di tali disposizioni, la Corte ha ritenuto che esse pongano obblighi «autonomi» e non meramente «accessori» (par. 298) rispetto a quelli che ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 82, par. 2, TFUE; pertanto, essa ha ravvisato anche nell’articolo 84 TFUE una base giuridica della decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul.

Per quanto concerne, invece, l’articolo 83, par. 1, TFUE che attribuisce all’UE competenza a definire norme minime relativamente alla definizione dei reati e delle sanzioni nell’ambito, tra l’altro, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento sessuale di donne e minori, la Corte ha ritenuto che esso non dovesse essere incluso tra le basi giuridiche della decisione relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul. Benché tale Convenzione sancisca l’obbligo delle parti di qualificare come reati penali la commissione, il tentativo, la complicità e il favoreggiamento degli atti di violenza fisica, sessuale e psicologica, stalking, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto e sterilizzazioni forzati e molestie sessuali (artt. da 33 a 36), la Corte ha, infatti, ritenuto che la sovrapposizione tra tali obblighi sanciti dalla Convenzione e l’ambito di azione attribuito all’UE dall’articolo 83, par. 1, TFUE, sia estremamente «puntuale» e, dunque, gli obblighi convenzionali rientranti nell’ambito di azione dell’UE devono considerarsi di importanza «estremamente limitata» per l’UE.

In terzo luogo, per quanto riguarda la materia dell’asilo e del non respingimento, la Corte ha rilevato che alcune disposizioni della Convenzione definiscono obblighi relativi alla concessione di permessi di soggiorno autonomi e rinnovabili e al recupero dello status di residente perso a seguito dello scioglimento del matrimonio forzato, alla sospensione delle procedure di espulsione (art. 59), al riconoscimento di una protezione sussidiaria e all’applicazione di un’interpretazione sensibile al genere dei motivi di riconoscimento dello status di rifugiato previsti dalla Convenzione sullo status dei rifugiati (art. 60) e al rispetto del principio di non respingimento (art. 61). Al riguardo, la Corte ha rilevato che i suddetti obblighi ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 78 TFUE, il quale deve costituire base giuridica dell’atto di conclusione della Convenzione di Istanbul. Gli obblighi richiamati non sono, infatti, stati considerati dalla Corte avere rilevanza meramente accessoria o portata «estremamente limitata», poiché essi rappresentano, al contrario, «obblighi precisi e sostanziali» che definiscono un capitolo separato della Convenzione (par. 304).

Da ultimo, la Corte ha ritenuto che da alcune delle sopra richiamate disposizioni della Convenzione di Istanbul riconducibili alla competenza prevista dall’art. 82, par. 2, e 84 TFUE, nonché dall’articolo 30 della Convenzione, relativo al pagamento di un adeguato risarcimento alle vittime di violenza, sorgano obblighi vincolanti per l’Unione anche in relazione al personale della sua amministrazione e al pubblico che visita i locali e gli edifici delle sue istituzioni, organi e organismi. Pertanto, nel solco di quanto richiamato dall’Avvocato generale, la Corte ha affermato che, riguardo a tali obblighi, l’UE non deve limitarsi a stabilire prescrizioni minime o misure di sostegno, ma deve essa stessa garantirne il rispetto. Alla luce di tali considerazioni, tale aspetto della Convenzione non è stato considerato di natura accessoria o «estremamente limitata» e, dunque, anche l’articolo 366 TFUE, al cui ambito di applicazione sono riconducibili i suddetti obblighi, è stato qualificato come una base giuridica dell’atto relativo alla conclusione della Convenzione.

In conclusione, la Corte ha affermato che la decisione del Consiglio relativa alla conclusione della Convenzione di Istanbul da parte dell’UE, limitatamente alle parti dell’accordo che rientrano nella sua competenza, deve avere come basi giuridiche sostanziali gli articoli 78, par. 2, 82, par. 2, 84 e 336 TFUE.

Infine, rispondendo alla questione posta dal Parlamento riguardo alla necessità o possibilità di scindere in due distinte decisioni l’atto relativo alla conclusione da parte della UE della Convenzione di Istanbul, la Corte ha precisato che, qualora la decisione relativa alla conclusione di un accordo internazionale si fondi su più basi giuridiche e sia necessario tenere conto di quanto previsto dai Protocolli n. 21 e 22 relativamente alle posizioni dell’Irlanda e della Danimarca rispetto allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è ammissibile scindere l’atto di conclusione in due decisioni distinte. Tale esigenza sussiste nel caso di specie poiché la decisione di conclusione si fonda, tra le altre, sull’articolo 336 TFUE il quale non rientra nell’ambito di applicazione dei Protocolli n. 21 e 22. La Corte ha, tuttavia, precisato l’inammissibilità della scissione dell’atto in due decisioni qualora entrambe riguardino misure rientranti nell’ambito di applicazione dei suddetti Protocolli e dunque, al solo fine di consentire all’Irlanda di partecipare a una delle due decisioni e non, invece, all’altra.

 

[1] Articolo 218, par. 11, TFUE: «Uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parere negativo della Corte, l'accordo previsto non può entrare in vigore, salvo modifiche dello stesso o revisione dei trattati».

[2] Articolo 82, par. 2, TFUE: «Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Esse riguardano: a) l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; b) i diritti della persona nella procedura penale; c) i diritti delle vittime della criminalità; d) altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione; per adottare tale decisione il Consiglio delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo. L'adozione delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone».

[3] Articolo 84 TFUE: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure per incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri».

[4] Articolo 83, par. 1, TFUE: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata. In funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo».

[5] Articolo 78, par. 2, TFUE: «Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa: a) uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l'Unione; b) uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell'asilo europeo, necessitano di protezione internazionale; c) un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio; d) procedure comuni per l'ottenimento e la perdita dello status uniforme in materia di asilo o di protezione sussidiaria; e) criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo o di protezione sussidiaria; f) norme concernenti le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria; g) il partenariato e la cooperazione con paesi terzi per gestire i flussi di richiedenti asilo o protezione sussidiaria o temporanea».

[6] Protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell'Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al trattato UE e al trattato FUE e Protocollo (n. 22) sulla posizione della Danimarca.

[7] Articolo 218, par. 8 TFUE: «Nel corso dell'intera procedura, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. Tuttavia esso delibera all'unanimità quando l'accordo riguarda un settore per il quale è richiesta l'unanimità per l'adozione di un atto dell'Unione e per gli accordi di associazione e gli accordi di cui all'articolo 212 con gli Stati candidati all'adesione. Il Consiglio delibera all'unanimità anche per l’accordo sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; la decisione sulla conclusione di tale accordo entra in vigore previa approvazione degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali».

[8] Corte di Giustizia, sentenza 28 aprile 2015, Commissione/Consiglio, causa C-28/12.

[9] Corte di Giustizia, parere del 26 luglio 2017, Accordo PNR UE-Canada, parere 1/15.

[10] Corte di Giustizia, parere del 30 novembre 2009, Accordi di modifica degli elenchi di impegni specifici ai sensi del GATS, parere 1/08.

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