La Corte di Giustizia, confermando la decisione della Commissione di registrare la proposta di iniziativa dei cittadini europei «Minority SafePack», precisa il rapporto tra valori e competenze dell’Unione (1/2022)

Sentenza della Corte di Giustizia del 20 gennaio 2022, Romania/ Commissione, C-899/19 P

La Corte di Giustizia, pronunciandosi sull’impugnazione della sentenza con cui il Tribunale aveva confermato la decisione della Commissione di registrare la proposta di iniziativa dei cittadini europei «Minority SafePack», ha precisato che, pur nel rispetto del principio di attribuzione delle competenze dell’Unione e a condizione che siano basati su una corretta base giuridica, gli atti dell’Unione possono essere diretti al rispetto dei valori su cui questa si fonda. Inoltre, in riferimento all’obbligo di motivare la decisione di registrare una proposta di iniziativa dei cittadini europei, la Corte ha chiarito che, in presenza delle condizioni richieste dal diritto dell’Unione ai fini della registrazione - tra cui in particolare la circostanza che la suddetta proposta non esuli manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto legislativo - , la Commissione è tenuta a procedere alla registrazione e non è titolare di un ampio potere discrezionale al riguardo.

 

Con la sentenza in oggetto, la Corte di Giustizia si è pronunciata in relazione alla proposta «Minority SafePack – One million signatures for diversity in Europe», una proposta di iniziativa dei cittadini europei (di seguito «ICE»), finalizzata a migliorare la protezione delle persone appartenenti alle minoranze nazionali e linguistiche e a rafforzare la diversità culturale e linguistica nell'Unione. L’istituto della proposta di ICE, introdotto dal Trattato di Lisbona, è disciplinato dall’articolo 11, par. 4, TUE[1], e dal Regolamento 2019/788[2] che è andato ad abrogare il precedente Regolamento 211/2011[3]. L’ICE è finalizzata a invitare la Commissione a presentare una proposta su cui i cittadini ritengono necessario un atto legislativo dell’Unione. Essa deve essere presentata da almeno un milione di cittadini europei appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri e ha origine dall’iniziativa di un «gruppo di organizzatori» («comitato» nel linguaggio del Regolamento 211/2011) composto da almeno 7 cittadini, residenti in almeno 7 diversi Stati membri. Affinché si apra il periodo - non superiore a 12 mesi - di raccolta delle firme necessarie, il gruppo di organizzatori deve presentare alla Commissione una richiesta di registrazione della proposta di ICE. Prima di procedere a tale registrazione, la Commissione verifica il rispetto di alcune condizioni procedurali e sostanziali; in particolare, è necessario che l’iniziativa non esuli «manifestamente» dalla propria competenza a presentare una proposta di atto legislativo

[4].

I fatti all’origine della sentenza qui commentata risalgono al 15 luglio 2013 quando un comitato di cittadini europei ha presentato alla Commissione la richiesta di registrare la proposta di ICE «Minority SafePack». Tale richiesta fu, inizialmente, respinta dalla Commissione poiché ritenuta manifestamente al di fuori della propria competenza a presentare una proposta di atto legislativo[5]. Avverso la suddetta decisione, gli organizzatori dell’ICE hanno presentato un ricorso in annullamento davanti al Tribunale dell’UE il quale, con sentenza del 3 febbraio 2017, ha disposto l’annullamento della decisione ritenendo che la Commissione avesse violato l’obbligo di motivare il proprio rifiuto[6]. Conseguentemente, la Commissione ha nuovamente esaminato la proposta «Minority SafePack» e, con la decisione 2017/652, ne ha disposto la registrazione limitatamente a nove degli undici atti originariamente proposti nell’ambito dell’ICE. Tali atti hanno, in particolare, ad oggetto le lingue regionali e le minoranze, l’istruzione e la cultura, la politica regionale, la parità di trattamento, il diritto d’autore, i contenuti audiovisivi, i Fondi strutturali e i programmi di finanziamento[7].

La decisione di registrazione è stata, a sua volta, oggetto di un nuovo ricorso in annullamento presentato dalla Romania la quale asseriva, in primo luogo, che le proposte registrate esulassero manifestamente dalla competenza della Commissione di proporre atti legislativi, in violazione di quanto previsto dall’allora vigente Regolamento 211/2011 (articolo 4, par. 2, lett. b) e dal principio di attribuzione delle competenze (articolo 5, par. 2, TUE[8]). In secondo luogo, lo Stato ricorrente sosteneva che la Commissione avesse violato l’obbligo di motivazione degli atti di cui all’articolo 296, par. 2, TFUE, per non aver adeguatamente motivato le ragioni secondo cui essa sarebbe stata competente a proporre gli atti oggetto dell’ICE. Con sentenza del 24 settembre 2019, il Tribunale ha respinto il ricorso ritenendo infondati entrambi i motivi[9].

Tale sentenza è stata, quindi, impugnata dalla Romania con il ricorso all’origine della sentenza qui commentata e fondato su tre motivi. Con il primo motivo lo Stato ricorrente lamentava che il Tribunale, statuendo che le proposte oggetto dell’ICE non esulassero in modo manifesto dalla competenza della Commissione a proporre atti legislativi, fosse incorso in un errore di diritto nell’interpretazione delle disposizioni dei Trattati relative alle competenze dell’UE. Con il secondo motivo, la Romania affermava che il Tribunale, ritenendo che la Commissione avesse esaustivamente indicato i motivi a fondamento della propria decisione di registrare la proposta, avesse erroneamente interpretato l’obbligo di motivazione degli atti giuridici di cui all’articolo 296, par. 2, TFUE. Da ultimo, con il terzo motivo, il ricorrente lamentava alcune irregolarità procedurali nella fase orale del procedimento.

Per quanto concerne il primo motivo, la Romania sosteneva, in particolare, che il Tribunale avesse assimilato i valori dell’Unione ai suoi obiettivi specifici, comportando una estensione «de jure» delle competenze dell’UE tale da riconoscere alla Commissione la legittimazione a presentare proposte di atti finalizzati a «completare l’azione dell’UE al fine di garantire il rispetto dei valori» di cui all’articolo 2 TUE (punto 30). Ne consegue che, ad avviso dello Stato ricorrente, il Tribunale avrebbe violato il principio di attribuzione delle competenze e i criteri relativi alla corretta individuazione della base giuridica degli atti dell’Unione. Con riferimento a quest’ultimo profilo, la Romania aveva, nello specifico, sostenuto che le basi giuridiche indicate dal Tribunale per l’adozione degli atti legislativi proposti non risultavano rilevanti rispetto ai reali obiettivi della proposta di ICE. Tali obiettivi erano da individuarsi nella protezione dei diritti dei membri delle minoranze nazionali e linguistiche, rispetto al quale l’Unione non ha alcuna competenza e, dunque, non è possibile individuare una valida base giuridica, e nel rafforzamento della diversità culturale e linguistica dell’UE. Per quanto concerne questo secondo obiettivo, la Romania evidenziava che, nonostante l’Unione disponga, in forza dell’articolo 167, parr. 1 e 4 TFUE, di competenze di sostegno in relazione al rafforzamento della diversità culturale, tale disposizione non può fungere da base giuridica per l’adozione di un atto giuridico avente quale obiettivo esclusivo o principale la diversità culturale.

Al fine di esaminare questo primo motivo di ricorso, la Corte ha, innanzitutto, richiamato la propria giurisprudenza in materia di proposta di ICE in cui ha affermato che la disposizione del Regolamento secondo cui la registrazione della proposta è subordinata alla condizione che essa non esuli manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto legislativo, deve essere interpretata e applicata dalla Commissione stessa «in modo da assicurare una facile accessibilità all’ICE» (punto 44)[10].

In seguito, la Corte ha richiamato alcune delle conclusioni del Tribunale contestate dal ricorrente per, al contrario, confermarne la legittimità. Il Tribunale aveva affermato che, con la decisione relativa alla registrazione della proposta di ICE, la Commissione non aveva attribuito all’UE una competenza legislativa generale nel settore della tutela dei diritti dei membri delle minoranze nazionale, ma si era limitata a riconoscere che il rispetto dei diritti delle minoranze e il rafforzamento della diversità culturale e linguistica, essendo valori e obiettivi dell’Unione, devono «essere presi in considerazione» in relazione alle azioni dell’Unione nei settori oggetto di una proposta di ICE. Da ciò deriva che, come affermato dal Tribunale, nulla impedisce alla Commissione di presentare proposte di atti legislativi che - come nel caso delle proposte di ICE qui in analisi - «sono destinati a completare l’azione dell’Unione nei settori di competenza di quest’ultima al fine di garantire il rispetto dei valori enunciati all’articolo 2 TUE e la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica» qualificata tra gli obiettivi dell’UE all’articolo 3, par. 3, co. 4, TUE[11].

Ad avviso della Corte, tali conclusioni non hanno condotto il Tribunale a una assimilazione tra i valori e gli obiettivi dell’UE e a un ampliamento delle sue competenze. Al contrario, il Tribunale ha correttamente dichiarato che «purché essi siano validamente fondati su una base giuridica, gli atti dell’Unione possono altresì essere diretti al rispetto dei valori dell’Unione, quali il rispetto dei diritti delle minoranze nonché della diversità culturale e linguistica» (punto 55). In altre parole, la Corte, nel solco di quanto già affermato dal Tribunale, ha mantenuto saldo il principio di attribuzione delle competenze, ma ha chiarito il ruolo svolto dai valori dell’Unione nell’esercizio della propria attività legislativa: essi non danno origine a nuove competenze, ma ne devono orientare l’esercizio.

Per quanto riguarda l’argomentazione relativa all’inesatta individuazione della base giuridica, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza[12] secondo cui, in sede di valutazione della domanda di registrazione di una proposta di ICE, la Commissione deve limitarsi a esaminare se «da un punto di vista oggettivo, siffatte misure, previste in astratto, possano essere adottate sul fondamento dei trattati» ai fini della valutazione dell’esistenza delle condizioni di registrazione (punto 46). Ne consegue che l’analisi svolta dalla Commissione in tale sede non pregiudica in alcun modo la scelta della base giuridica dell’atto, eventualmente adottato su proposta della Commissione in seguito a una proposta di ICE.

Il secondo motivo di ricorso relativo all’obbligo di motivazione si fonda, innanzitutto, sull’argomentazione della Romania secondo cui il Tribunale, ritenendo che la Commissione non disponga di un ampio potere discrezionale ai fini della decisione di registrare una proposta, avrebbe erroneamente definito la portata dell’obbligo di motivazione gravante sulla Commissione. La Corte ha ritenuto che il Tribunale non avesse commesso errori di diritto al riguardo poiché, in presenza delle condizioni di registrazione previste dal Regolamento 211/2011 (art. 4, par. 2, corrispondente all’art. 6, par. 3 del Regolamento 2019/788), deve ritenersi che la Commissione sia «tenuta a procedere» alla registrazione e, pertanto, «non [sia] investita di un ampio potere discrezionale quanto alla registrazione di una proposta di ICE». La Corte è giunta a tale conclusione richiamando l’elenco delle condizioni di registrazione previste dal Regolamento e facendo riferimento alla formulazione di tale disposizione in cui - utilizzando il presente indicativo - si afferma che la Commissione «registra» la proposta di ICE qualora essa risulti non esultare manifestamente dalla propria competenza a presentare un atto giuridico e, invece, la «rifiuta» qualora tale condizione non sia integrata.

A sostegno del secondo motivo di ricorso, la Romania argomentava, inoltre, che il generico richiamo, operato dalla Commissione, ai settori in cui possono essere adottati atti legislativi dell’UE e alla circostanza che gli atti oggetto della proposta di ICE fossero ad essi riconducibili non potesse considerarsi sufficiente – come invece ritenuto dal Tribunale – per concludere che la proposta non esulasse manifestamente dalla competenza della Commissione a presentare atti legislativi. La Corte ha respinto l’argomentazione del ricorrente sostenendo che la motivazione addotta dalla Commissione, attraverso il richiamo ai settori rilevanti, dovesse considerarsi sufficiente a individuare le ragioni per le quali essa ha ritenuto che la proposta potesse rientrare nella sua competenza a proporre atti legislativi. A questo proposito, come evidenziato dalla Corte richiamando nuovamente la propria giurisprudenza al riguardo[13], occorre ricordare che, a fronte di una domanda di registrazione di una proposta di ICE, alla Commissione non è richiesto di verificare «se la prova di tutti gli elementi di fatto invocati sia fornita né se la motivazione sottesa alla proposta e alle misure proposte sia sufficiente»; essa deve piuttosto limitarsi a esaminare, ai fini della valutazione dell’esistenza delle condizioni di registrazione, se «da un punto di vista oggettivo» le misure proposte possano essere adottate sulla base dei trattati (punto 76).

Per quanto concerne, da ultimo, il terzo motivo relativo all’esistenza di irregolarità procedurali nella fase orale del procedimento, la Romania sosteneva che, in questa fase, le parti non avessero discusso in contraddittorio numerosi aspetti relativi al merito del ricorso su cui si fondava la sentenza oggetto dell’impugnazione. La Corte ha tuttavia ritenuto che il Tribunale si fosse pronunciato esclusivamente sui motivi sollevati dalla Romania e su cui le parti avevano potuto discutere in contraddittorio tanto nella fase scritta quanto in quella orale e, pertanto, non ha ravvisato una violazione del principio del contraddittorio. Peraltro, in sede di ricorso, la Romania non aveva individuato alcun elemento essenziale di cui non avesse potuto avere conoscenza e su cui le fosse stato precluso di prendere posizione.

Non accogliendo nessuno dei motivi presentati, la Corte ha pertanto respinto integralmente l’impugnazione.

     

 

[1] Articolo 11, par. 4 TUE: «Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l'iniziativa d'invitare la Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati».

[2] Regolamento (UE) 2019/788 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, riguardante l'iniziativa dei cittadini europei (Testo rilevante ai fini del SEE), PE/92/2018/REV/1, OJ L 130, 17.5.2019, p. 55-81.

[3] Regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011 , riguardante l’iniziativa dei cittadini, OJ L 65, 11.3.2011, p. 1–22; alcune delle disposizioni di tale Regolamento continuano ad applicarsi alle iniziative - quale quella oggetto della sentenza qui commentata - registrate anteriormente al 1° gennaio 2020.

[4] È opportuno aggiungere che, qualora l’ICE sia registrata e ottenga il numero di firme necessario, la Commissione è tenuta a esaminarla e a definire «le sue conclusioni giuridiche e politiche relative all'iniziativa, l'azione che intende eventualmente intraprendere e i suoi motivi per intervenire o meno», ma mantiene un «potere discrezionale»; cfr. al riguardo, Corte di Giustizia, sentenza del 19 dicembre 2019, Puppinck e a./ Commissione, causa C-418/18 P, punto 62.

[5] Decisione C(2013) 5969 final della Commissione, del 13 settembre 2013, recante rigetto della domanda di registrazione della proposta d’iniziativa dei cittadini europei intitolata «Minority SafePack – one million signatures for diversity in Europe».

[6] Tribunale dell’UE, sentenza del 3 febbraio 2017, T-646/13, Minority SafePack - one million signatures for diversity in Europe / Commissione; si veda al riguardo il commento di N. Lazzerini su questa Rivista.

[7] Decisione (UE) 2017/652 della Commissione, del 29 marzo 2017, sulla proposta di iniziativa dei cittadini intitolata «Minority SafePack - un milione di firme per la diversità in Europa», OJ L 92, 6.4.2017, p. 100–104; la decisione ha previsto, in particolare, la registrazione delle seguenti proposte: una raccomandazione del Consiglio «sulla protezione e sulla promozione della diversità culturale e linguistica nell'Unione»; una decisione o un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio avente la finalità di adeguare «i programmi di finanziamento rendendoli accessibili per le piccole comunità linguistiche regionali e minoritarie»; una decisione o un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio avente la finalità di creare un centro per la diversità linguistica che rafforzerà la consapevolezza dell'importanza delle lingue regionali e minoritarie e promuoverà la diversità a tutti i livelli, finanziato principalmente dall'Unione europea; un regolamento che modifica le disposizioni generali applicabili ai compiti, agli obiettivi prioritari e all'organizzazione dei Fondi strutturali, in modo da tener conto della protezione delle minoranze e della promozione della diversità culturale e linguistica, a condizione che le azioni da finanziare portino al rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale dell'Unione; un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio avente la finalità di modificare il regolamento relativo al programma «Orizzonte 2020» ai fini del miglioramento della ricerca sul valore aggiunto che le minoranze nazionali e la diversità culturale e linguistica possono apportare allo sviluppo sociale ed economico delle regioni dell'UE; la modifica della legislazione dell'UE al fine di garantire grosso modo parità di trattamento per gli apolidi e i cittadini dell'Unione; un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio avente la finalità di introdurre un diritto d'autore unitario in modo che tutta l'UE possa essere considerata un mercato interno nel settore dei diritti d'autore; una modifica della direttiva 2010/13/UE al fine di garantire la libera prestazione dei servizi e la ricezione di contenuti audiovisivi in regioni in cui risiedono le minoranze nazionali; un regolamento o una decisione del Consiglio avente la finalità di concedere un'esenzione per categoria dalla procedura di cui all'articolo 108, paragrafo 2, del TFUE, per i progetti che promuovono le minoranze nazionali e la loro cultura.

[8] Articolo 5, par. 2, TUE: «In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri».

[9] Tribunale dell’UE, sentenza del 24 settembre 2019, T-391/17, Romania/ Commissione.

[10] La Corte ha, in particolare, richiamato quanto affermato nelle proprie sentenze del 12 settembre 2017, C‑589/15 P, Anagnostakis/Commissione, punto 49, e del 7 marzo 2019, C‑420/16 P, Izsák e Dabis/Commissione, punto 53.

[11] Tribunale dell’UE, Romania/ Commissione, cit., punto 56.

[12] Corte di Giustizia, Izsák e Dabis/ Commissione, cit., punto 62.

[13] Ibidem.

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