La Corte e l’“effetto diretto”: inammissibili questioni relative alle norme sull’assegno per il nucleo familiare in contrasto con il principio, direttamente efficace, della parità di trattamento in tema di accesso alle prestazioni sociali (2/2022)

Sent. n. 67/2022 – giudizio di costituzionalità in via incidentale

Deposito del 11/03/2022 – Pubblicazione in G. U. 16/03/2022 n. 11

 

Motivi della segnalazione
A venire in rilievo nella decisione in esame sono questioni sollevate dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, in merito a disposizioni collocate all’interno della disciplina dell’assegno per il nucleo familiare e, in particolare, dell’art. 2, comma 6-bis, del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, il quale statuisce che «non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge, i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che lo Stato di cui lo straniero è cittadino riservi un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia». Tale disposizione è reputata in contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., con l’interposizione delle direttive sulla parità di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale degli stranieri lungosoggiornanti di Paesi terzi o con permesso di soggiorno per lavoro (direttive 2003/109/CE e UE 2011/98).


Nessuna delle due ordinanze del giudice a quo evoca la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e in particolare l’art. 34 (cosa che avrebbe potuto far emergere il tema della rilevanza dell’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla sent. n. 269/2017, per quanto successivamente “corretto”). Le stesse richiamano, nell’ambito del loro percorso argomentativo sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, le quali si erano espresse nel senso dell’incompatibilità della disciplina sull’assegno per il nucleo familiare con il principio di parità quanto all’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale tra cittadini italiani e cittadini stranieri lungosoggiornanti o in possesso di permesso di soggiorno per lavoro (salvo deroga espressa ad opera del legislatore, consentita dalla direttiva e non operata dall’Italia, non potendosi considerare tale quella introdotta da una normativa antecedente rispetto alla direttiva). In particolare la normativa italiana prevedeva, solo per i familiari di cittadini stranieri, che non rientrassero nel nucleo familiare, ai fini dell’accesso alla misura, i familiari non residenti in Italia.
Lo snodo decisivo del percorso argomentativo del giudice rimettente, che lo aveva condotto a sollevare le questioni di costituzionalità era costituito dall’assunto di non poter dare attuazione al diritto dell’Unione, come interpretato nelle sentenze rese dalla Corte di giustizia in risposta al duplice rinvio pregiudiziale da essa stessa disposto. Dopo avere escluso il ricorso allo strumento dell’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea delle previsioni interne, in ragione l’univoco contenuto delle stesse, «la Corte di cassazione ritiene di non poter procedere alla disapplicazione della disposizione citata poiché, con riferimento alla prestazione sociale in oggetto, il diritto europeo non detta una disciplina in sé compiuta, da applicare in luogo di quella dichiarata incompatibile».
A fronte di ciò, la Corte costituzionale, previa ricostruzione generale del significato del principio del primato del diritto dell’Unione europea (oltre che dei principi di uguaglianza tra Stati membri e leale cooperazione tra Stati membri e Unione,) rigetta la prospettazione operata dalla Corte rimettente. Il giudice delle leggi afferma infatti che, nella prospettiva del primato del diritto dell’Unione alle rilevanti norme di diritto europeo contenute nelle direttive 2003/109/CE e 2011/98/UE, il cui oggetto non è la disciplina delle prestazioni sociali (la quale, come ribadito dalla Corte di giustizia, rientra nelle competenze degli Stati membri), ma l’obbligo di parità di trattamento, deve riconoscersi effetto diretto nella parte in cui prescrivono appunto l’obbligo di parità di trattamento tra le categorie di cittadini di paesi terzi individuate dalle medesime direttive e i cittadini dello Stato membro in cui costoro soggiornano.
Si tratta di un obbligo cui corrisponde il diritto del cittadino di paese terzo –rispettivamente titolare di permesso di lungo soggiorno e titolare di un permesso unico di soggiorno e di lavoro – a ricevere le prestazioni sociali alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro. Nel caso di specie, la tutela e l’azionabilità del diritto si fondano sulla sussistenza delle condizioni che la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, sin dalla sentenza Francovich, individua come presupposti dell’efficacia diretta delle norme euro-unitarie fondative di un diritto, cioè di un obbligo imposto dalle direttive richiamate in modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale dotato di effetto diretto.
Alla luce di questo ragionamento, la Corte costituzionale riconosce, in contrassto con quanto asserito dal giudice rimettente, la sussistenza delle condizioni necessarie per procedere alla disapplicazione delle norme interne incompatibili con norme euro-unitarie dotate di effetto diretto, conseguendone la dichiarazione di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

 

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