Inammissibile il ricorso statale sulla legge sarda di riforma dell’assetto territoriale: contraddittorio e inidoneo allo scopo impugnare una sola disposizione di legge adottata in violazione di norma statutaria sul procedimento (2/2022)

Sent. n. 68/2022 – giudizio di costituzionalità in via principale

Deposito del 11/03/2022 – Pubblicazione in G. U. 16/03/2022, n. 11

 

Motivi della segnalazione
Oggetto di attenzione da parte della Corte è una questione sollevata in via principale dal Governo in riferimento all’art. 43, secondo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), l’art. 6 della legge della Regione autonoma Sardegna 12 aprile 2021, n. 7 (Riforma dell’assetto territoriale della Regione. Modifiche alla legge regionale n. 2 del 2016, alla legge regionale n. 9 del 2006 in materia di demanio marittimo e disposizioni urgenti in materia di svolgimento delle elezioni comunali). Ad essere impugnata è una disposizione che è parte integrante di una normativa che ha, con riferimento alla Sardegna, complessivamente ridefinito l’assetto degli enti di area vasta (Città metropolitane e Province), istituendone e sopprimendone taluni e modificando le relative circoscrizioni.

La riorganizzazione in parola è sancita all’art. 2, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021, che chiarisce come «[d]alla data di entrata in vigore della presente legge è riformato l’assetto territoriale complessivo» precedentemente in vigore, in particolare procedendo ad istituire nuove Province, a sopprimere le Province di Sassari e Sud Sardegna e, nella disposizione oggetto di impugnazione, a prevedere e disciplinare il procedimento per il distacco di Comuni dalla Città metropolitana o dalla Provincia in cui sono stati normativamente inclusi in vista dell’accorpamento ad altra Città metropolitana o Provincia limitrofa.
È importante notare che la legge sarda in esame prevede l’adozione di uno schema di riforma dell’assetto territoriale configurato come atto amministrativo con funzione “ricognitiva-integrativa” della legge regionale, il quale è oggetto del possibile procedimento di distacco di Comuni e il passaggio da una ad altra Provincia o Città metropolitana. Tale procedimento prevede, per l’«accertamento delle volontà dei territori interessati» prevede, sia iniziative dei singoli Comuni, che devono assumere la forma di delibere dei rispettivi Consigli, sia l’intervento delle popolazioni interessate tramite referendum. Quest’ultimo è obbligatorio se la delibera consiliare non ha raggiunto l’unanimità, mentre in tutti gli altri casi lo svolgimento del referendum è eventuale, svolgendosi soltanto se ne fa richiesta almeno un terzo degli elettori. Al termine del procedimento, eventualmente comprensivo di un referendum, la Giunta regionale riapprova, apportando le modifiche risultanti dal procedimento stesso, lo schema di riforma dell’assetto territoriale.
Mentre però il parametro statutario richiamato dal ricorrente, in ordine al quale sono sviluppate le argomentazioni adoperate nel ricorso, stabilisce che «[c]on legge regionale possono essere modificate le circoscrizioni e le funzioni delle province, in conformità alla volontà delle popolazioni di ciascuna delle province interessate espressa con referendum», la censura, secondo la Corte, si appunta, contraddittoriamente, soltanto sulla disposizione legislativa relativa al procedimento sul distacco di Comuni e non sulla legge del 2021 complessivamente considerata, la quale, in contrasto con il disposto statutario, non configura il referendum come fase necessaria del procedimento legislativo volto alla realizzazione delle variazioni territoriali, ma come referendum successivo all’entrata in vigore della riforma, assoggettandolo altresì a varie condizioni e limiti.
La Corte dichiara dunque inammissibile il ricorso per una ragione che «attiene al confronto tra le motivazioni poste a base della censura principale sviluppata nel ricorso stesso […] e l’oggetto cui l’impugnazione ha scelto di limitarsi», evidenziando altresì l’inidoneità dell’intervento invocato dal ricorrente a garantire la realizzazione del risultato a cui il medesimo mirava. Tale intervento, infatti, non potrebbe ripristinare la tutela dei principi statutari asseritamente lesi, potendosi, in ultima analisi, affermarsi una carenza dello stesso interesse all’impugnazione, per come è effettivamente coltivata dallo Stato.
La Corte precisa a tal proposito che, in caso di eventuale accoglimento della questione con riferimento al solo articolo impugnato, non sarebbe ipotizzabile il ricorso all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ai fini della declaratoria d’illegittimità costituzionale conseguenziale delle disposizioni della legge reg. Sardegna n. 7 del 2021 che hanno stabilito le variazioni territoriali in oggetto. La Corte nota infatti che l’istituto dell’illegittimità conseguenziale conosce, nell’ambito dei giudizi in via principale, limiti particolarmente ristretti, potendosi applicare in presenza di disposizioni non impugnate ma avvinte da «stretta ed esclusiva dipendenza funzionale» con quella (sola) censurata, oppure a norme accessorie, prive di autonomo rilievo. Nel caso specifico però – afferma la Corte – «si presenterebbe, invece, una situazione del tutto opposta, in cui l’illegittimità costituzionale della norma che disciplina le modalità di svolgimento del referendum – in tal senso “accessoria” rispetto alle scelte fondamentali circa le variazioni territoriali – dovrebbe comportare anche la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni, non impugnate, che tali variazioni hanno introdotto e che costituiscono pertanto presupposto della sola disposizione impugnata: ma, all’evidenza, non appartiene ai compiti di questa Corte né “completare” l’oggetto di un ricorso in via principale, né, in un caso del genere, estendere l’impugnativa o integrarla al di là dei termini in cui essa è proposta».

 

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