È costituzionalmente illegittimo l'automatismo legislativo che, in presenza di condanna per alcuni reati particolarmente lievi, osta al rinnovo del permesso di soggiorno, precludendo all’amministrazione l'esame (2/2023)

Titolo completo: È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. Immigrazione) in quanto costituisce una forma di automatismo legislativo che, in presenza di condanna per alcuni reati particolarmente lievi, osta al rinnovo del permesso di soggiorno, precludendo all’amministrazione l’esame sulla effettiva sussistenza di ragioni di sicurezza

Sent. n. 88/2023 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito dell’8 maggio 2023 – Pubblicazione in G.U. del 10/05/2023, n. 19

Motivo della segnalazione
La Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi su due questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Consiglio di Stato, relativamente all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui prevede che il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (spaccio di sostanze stupefacenti di “minore entità”), nonché il reato di cui all’art. 474 c.p. (commercio di prodotti con segni contraffatti) siano automaticamente ostativi al rilascio ovvero al rinnovo del permesso di soggiorno. Tale disposizione, ad opinione del rimettente, determinerebbe un automatismo legislativo che, in caso di condanna per reati di particolare tenuità, osta al rinnovo del permesso di soggiorno, in violazione dei canoni di proporzionalità e adeguatezza, così come ricavabili dagli art. 3 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.


Il suddetto automatismo troverebbe il proprio riferimento normativo nella riforma operata con la l. n. 189 del 2002, la quale avrebbe altresì sancito, per le due ipotesi, un automatismo espulsivo da accompagnarsi alla condanna.
La Corte costituzionale, precisate le questioni formali del caso (ad esempio, che la fattispecie dell’art. 474 c.p. osterebbe al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro), rileva – in via generale – che, al fine di verificare se una disposizione sia conforme a proporzionalità e ragionevolezza, deve essere sottoposta ad un “test” già formalizzato in diversi precedenti (sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018), il quale «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi».
Nel caso in questione, si porrebbe, quindi, l’esigenza di un bilanciamento tra le ragioni di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, che si connettono a misure “limitative” come quelle in oggetto, e il diritto del singolo che le subisce a non vedersi “sradicato” dal luogo in cui intrattiene la parte più significativa dei propri rapporti sociali e della propria vita.
È vero, rileva la Corte, che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella definizione degli strumenti più adeguati a far fronte alle esigenze di sicurezza, tuttavia, questa discrezionalità «non è assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino». In questo senso, non sono stati rari i casi in cui la Corte, già in passato, ha censurato disposizioni in materia di immigrazione che stabilivano automatismi contrastanti con i criteri di proporzionalità e ragionevolezza.
Inoltre, tali assunti troverebbero conferma nei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale ha stabilito che, al fine di valutare se le misure di “allontanamento” dello straniero siano necessarie e proporzionate, occorre tener conto della natura e serietà del reato commesso dallo straniero; della lunghezza del suo soggiorno sul territorio nazionale; del tempo trascorso dalla commissione del reato; della nazionalità delle persone coinvolte; della situazione familiare dello straniero che dovrebbe essere allontanato (Corte EDU, 27 settembre 2022, Otite c. Regno Unito).
La decisione si colloca nel solco di un orientamento definito, secondo il quale le presunzioni assolute devono reputarsi illegittime quando violano il principio di eguaglianza e siano irrazionali e arbitrarie, a maggior ragione ove riguardino la limitazione di diritti fondamentali.
L’irrazionalità della limitazione automatica sarebbe altresì dimostrata da una ragione di ordine sistematico, in particolare per quanto concerne la fattispecie delittuosa dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. Infatti, osserva il Giudice delle leggi, la medesima fattispecie si collocherebbe tra quelle per le quali l’art. 381 c.p.p. non prevede l’arresto obbligatorio in flagranza e, in tali ipotesi, la sentenza n. 172 del 2012 ha già avuto modo di rilevare l’irragionevolezza dell’automatico diniego del rilascio del permesso di soggiorno (in sede di “emersione” del lavoratore irregolare straniero) che ad esse si accompagnava.
Si avrebbe, così, una irrazionale differenziazione tra i due ambiti per cui, in presenza di una condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, sarebbe possibile ottenere il rilascio del permesso, ma il rinnovo del medesimo resterebbe tutt’oggi automaticamente precluso.
La misura sarebbe, inoltre, sproporzionata perché non consentirebbe di tenere in adeguato conto l’eventuale percorso di reinserimento sociale dello straniero, a maggior ragione se si considera che l’ipotesi concreta riguarda un rinnovo del permesso e non il primo rilascio. In tal senso, all’amministrazione procedente dovrebbe essere lasciato un margine di apprezzamento concreto sulla situazione personale dell’interessato, senza che ciò – in presenza di una condanna di natura penale – si traduca in un rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico dello Stato.
Vengono così superati quei precedenti di segno contrario (sentenza n. 148 del 2008) in cui la Corte, seppure sotto un quadro parametrico distinto, aveva ritenuto le misure in oggetto non contrastanti con il principio di ragionevolezza, pervenendosi all’accoglimento delle questioni con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale.

 

Osservatorio sulle fonti

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