Le Rubriche dell'Osservatorio

La Corte interviene per salvaguardare il giudicato costituzionale (3/2015)

Sentenza n. 169/2015 – giudizio di costituzionalità in via incidentale

Deposito del 16/07/2015; Pubblicazione in G. U. 22/07/2015, n. 29

Motivo della segnalazione

Con due ordinanze di analogo contenuto, il Tribunale ordinario di Napoli, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 136 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 23 maggio 2014, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015) [recte: dell’art.5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80 – come aggiunto dall’Allegato alla legge di conversione], secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23».

Dopo aver affermato l’applicabilità, ai procedimenti di convalida di sfratto oggetto dei giudizi a quibus, della disciplina di cui all’art. 3, commi 8 e 9, del citato d.lgs. n. 23 del 2011 – dichiarati costituzionalmente illegittimi, per eccesso di delega, con la sentenza n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014 –, il Giudice rimettente censura la circostanza che, successivamente alla richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale, il legislatore, con la disposizione denunciata, abbia introdotto la previsione di salvezza dei rapporti in corso sino al 31 dicembre 2015 «con la precipua finalità di garantire una sorta di ultrattività» di disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime.

La Corte ha dichiarato la questione fondata. Infatti, «come emerge dai lavori parlamentari e dalle dichiarazioni del relatore, la norma “salvaguarda fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si è trovata una soluzione che non mette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita”. Appare, dunque, palese che l’intento perseguito dal Parlamento era, per l’appunto, di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini. Appare, in  altri termini, del tutto evidente che il legislatore si è proposto non già di disciplinare medio tempore – o ex novo e a regime – la tematica degli affitti non registrati tempestivamente, magari attraverso un rimedio ai vizi additati da questa Corte; e neppure quello di “confermare” o di “riprodurre” pedissequamente il contenuto normativo di norme dichiarate costituzionalmente illegittime; ma semplicemente quello di impedire, sia pure temporaneamente, che la declaratoria di illegittimità costituzionale producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 Cost.)».

La Corte rammenta quindi come «sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost.», dalla sentenza n. 73 del 1963, alla sentenza n. 73 del 2013.

Quindi, se appare evidente «che una pronuncia di illegittimità costituzionale non possa, in linea di principio, determinare, a svantaggio del legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un “esproprio” della potestà legislativa sul punto – tenuto anche conto che una declaratoria di illegittimità ha contenuto, oggetto e occasio circoscritti dal “tema” normativo devoluto e dal “contesto” in cui la pronuncia demolitoria è chiamata ad iscriversi –, è del pari evidente, tuttavia, che questa non possa risultare pronunciata “inutilmente”, come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, perciò, certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, è senz’altro da escludere che possa legittimamente farlo – come avvenuto nella specie – limitandosi a “salvare”, e cioè a “mantenere in vita”, o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non sono più in grado di produrne. Il contrasto con l’art. 136 Cost. ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale», senza che si possa reputare «meritevole di pregio l’argomento speso dall’Avvocatura generale a proposito della circostanza che l’illegittimità costituzionale sia stata dichiarata per difetto di delega, che costituirebbe appena un vizio formale, [essendo] pacifico che una sentenza caducatoria produca i suoi previsti effetti quale che sia il parametro costituzionale in riferimento al quale il giudizio sia stato pronunciato, senza, perciò, che sia possibile differenziarne o quasi graduarne l’efficacia». 

 

Osservatorio sulle fonti

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