Fonti delle Regioni ordinarie

Cure palliative e lotta al dolore dei malati terminali nella Regione Veneto

Con legge n. 7 del 19 marzo 2009 la Regione Veneto ha implementato la tutela dei diritti dei malati terminali grazie alla quale viene garantito, sin dal 1998[1], un sistema di prestazioni sanitarie dedicate nel territorio.

Giova premettere che l’assistenza dei malati terminali è stata ricompresa - seppur in modo generico e limitato se confrontata con l’esperienza degli altri paesi[2]- tra i livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) nel 2001.

In tale sede, tuttavia, sono stati contemplati solamente gli “interventi assistenziali di tipo residenziale nella fase terminale della vita” e si è, quindi, persa l’occasione di attribuire una configurazione autonoma alle “cure palliative”.

La distinzione non è di poco conto perché costituisce, anche per il legislatore, il punto di partenza della disciplina.

Invero per cure palliative si intende il complesso delle attività assistenziali che coprono tutti i bisogni del malato in fase terminale, volte ad intervenire, contemporaneamente, nella dimensione biologica, psichica, sociale e spirituale dell’individuo.

La visione multidimensionale della definizione ben fa comprendere come, parlare di “assistenza sanitaria ai malati terminali” - anche nei testi normativi - sia limitativo, perché rischia di circoscrivere l’oggetto dell’intervento del legislatore alle disfunzioni organiche del paziente e a configurare, di conseguenza, il rapporto con il medico unicamente in funzione delle stesse [3]; circostanza questa che, all’evidenza, stride con il concetto sopra descritto.

Ciò premesso, il carattere residenziale che qualificava l’assistenza offerta ai malati terminali nel 2001 ha determinato una forte differenziazione nello sviluppo dei programmi di sostegno sanitario all’interno delle diverse Regioni.

Alcune, infatti, - come la Lombardia - hanno preferito disciplinare la materia nel complesso della rete socio-sanitaria altre, invece (come il Piemonte), l’hanno integrata nel contesto dell’offerta sanitaria propriamente intesa [4].

E’ per tale ragione che, onde scongiurare un manifesto ed ingiusto divario tra regione a regione, è intervenuto il DM del 22 febbraio 2007 che, con l’obiettivo di uniformare l’assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale, ha fissato i requisiti minimi dell’erogazione in termini di quantità, qualità e struttura [5].

Il definitivo inserimento delle cure palliative tra i LEA giunge con il DPCM dell’Aprile 2008 in base al quale il Servizio Sanitario Nazionale garantisce un approccio multidisciplinare e personalizzato ai malati terminali, sia nelle cure domiciliari che in Hospice[6].

Per quanto la mancata copertura finanziaria di tale provvedimento abbia, di fatto, impedito l’operatività dei Livelli di Assistenza da ultimo delineati, la Regione Veneto ha fatto propri i requisiti minimi stabiliti in materia, sancendo la priorità del servizio sociosanitario dedicato alla salvaguardia del diritto dell’individuo a vivere senza sofferenze inutili.

Con la legge in commento, infatti, la Regione Veneto si propone di sviluppare la rete di assistenza, triplicando la capacità di accoglienza degli hospice onde raggiungere il target di, almeno, duecentoventicinque posti letto nel territorio [7].

A tal fine ciascuna azienda sanitaria deve dotarsi di almeno una struttura residenziale in cui ospitare i malati terminali (i.e. hospice) che costituisca, di fatto, un’alternativa non solo strutturale ma - nel più profondo e completo senso del termine - assistenziale all’ospedale.

L’unità sanitaria deve, inoltre, disporre di un servizio dedicato alle prestazioni a domicilio da garantire in via preferenziale, nell’ottica di ridurre al minimo il ricovero ospedaliero [8].

Invero, lo sviluppo di una sì fatta organizzazione permetterebbe alla Regione un rilevante risparmio sui costi di ospedalizzazione dei malati terminali e, quindi, un’accorta riqualificazione delle risorse oggi disponibili [9].

Con tale finalità, la legge incentiva le ULSS a sviluppare programmi di conversione delle risorse ospedaliere verso le cure domiciliari atte a ridurre il numero dei ricoveri negli ultimi mesi di vita del malato [10].

Come da ultimo stabilito nella conferenza permanente Stato-Regioni, dedicata alla realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per il 2009 [11], l’approccio del testo regionale è multidisciplinare.

Ciascun nucleo operativo deve, infatti, essere formato da professionisti con diversa specializzazione (medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, riabilitatori, educatori ecc..), i quali sono chiamati ad adottare un trattamento terapeutico delineato ad hoc secondo le esigenze ed i desideri del paziente e della sua famiglia.

In tal modo il legislatore regionale dimostra di aver recepito le osservazioni manifestate dalla comunità scientifica in materia, fondamentali per comprendere il significato di un più adeguato intervento normativo.

Garantire cure palliative ai malati terminali - e, a maggior ragione, contemplarle in modo efficace all’interno dei LEA - equivale ad erogare un servizio terapeutico nuovo e diverso rispetto a quello tradizionalmente offerto dal servizio sanitario nazionale, in quanto orientato non alla cura della patologia ma al miglioramento delle condizioni di vita di un soggetto non più curabile.

Invero, è oramai assodato in medicina che il dolore è un’esperienza del tutto soggettiva, che si estende all’intera sfera psico-fisica e obbliga ad un intervento diverso a seconda del caso [12].

E’ per tale ragione che, all’interno del nucleo operativo, la legge regionale individua un c.d. “case-manager” con il compito di agire in qualità di referente e organizzatore principale delle prestazioni destinate al paziente [13].

A dimostrazione del nuovo approccio del legislatore soccorre l’esplicito riconoscimento del diritto del malato di dichiarare il proprio dolore e di ricevere le informazioni necessarie ed inerenti il servizio offerto [14].

Si tratta, all’evidenza, dell’enunciazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento (art. 2 Cost.) e dei criteri base per la disciplina dei servizi sanitari destinati ai malati terminali che, come tali, devono garantire la pienezza dei diritti della personalità.

Nel caso di specie si tratta, in particolare, di assicurare il “total care” del paziente onde sostenere appieno la qualità della vita anche nella fase terminale della sua esistenza, valorizzandone l’autonomia residua [15].

Tali principi, proprio perché posti a fondamento di una meditata riorganizzazione del sistema di assistenza sanitaria regionale [16], sembrano scongiurare il rischio di una mera proclamazione di diritto e, si auspica per tale ragione, non siano destinati a rimanere lettera morta.

 

 


[1] Il modello assistenziale regionale veniva tracciato con la DGR n. 5273 del 1998 con la quale si definiva l’assetto complessivo del sistema delle cure domiciliari (la c.d. “Assistenza Domiciliare Integrata”), con particolare attenzione alle esigenze dei malati terminali. Nel 2000 con DGR n. 2989 venivano, quindi, definite le linee di indirizzo regionale in materia, con specificazione dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi degli hospice (intra ed extra ospedalieri) tali da garantire continuità e qualità del servizio.

[2] La nascita della medicina palliativa viene fatta coincidere con l’Hospice Movement dovuto a Suor Mary Aikenheard in Irlanda nel 1846. Nei paesi occidentali (Usa, Inghilterra, Canada ecc..) i programmi di cure palliative sono già da tempo sviluppati. In USA le cure palliative fanno addirittura parte del sistema sanitario nazionale. In Italia i primi segnali della presa in carico del problema sono iniziati solo alla fine degli anni ’90, quando sono stati approvati testi legislativi volti ad agevolare l’uso di farmaci oppiacei (l. 12/2001) ed al contestuale stanziamento di fondi per la realizzazione dei servizi e delle strutture dedicate. Per un excursus in merito v. Cendon, “I malati terminali e i loro diritti”, Giuffrè, pag. 64 e ss., il quale sottolinea l’arretratezza della cultura giuridica italiana nel percepire il problema, sebbene il diritto a morire con dignità (inteso come diritto a ricevere le prestazioni necessarie ad alleviare il dolore) rientri a pieno titolo tra i principi fondamentali della nostra Costituzione. Ciò spiega il fatto che, secondo l’Autore, i fondi stanziati e le strutture realizzate sono ancora pochi. Vedi in merito anche Zaninetta, Zucco, “Libro Italiano di Cure Palliative”, Poletto Editore, pag. 438 e ss.

[3]Cendon, cit., pag. 78 e ss.

[4] Vedi in tal senso Zucco (Presidente del Comitato Scientifico del XV Congresso SICP; Direttore Unità di Cure Palliative, Hospice e Ospedalizzazione domiciliare, Azienda Ospedaliera “G. Salvini”, Garbagnate-Milano), “Il percorso delle cure Palliative dalle origini ai Lea”, il quale rileva come negli ultimi anni ogni Regione abbia sviluppato un proprio modello di assistenza domiciliare ai malati terminali.

[5] Si tratta, peraltro, dei primi Lea per i quali sono stati definiti degli standard (o indicatori) con la funzione di misurare l’effettiva tutela delle prestazioni sanitarie apprestata dalle Regioni. Resta da vedere, adesso, come l’eventuale mancato rispetto degli stessi verrà trattato dalle istituzioni centrali. V. a tal proposito Zucco, cit.

[6] Cfr. artt. 22, 23 e 31.

[7] Stando alla relazione sugli hospice redatta dal Ministero della Salute, gli hospice operativi in Veneto al Dicembre 2006 erano 126 e superavano la media nazionale dei posti letto disponibili. Il target prefissato dalla legge appare, quindi, ancora ridotto se si considera che, stando alle statistiche, solo nel Veneto i decessi dei malati terminali sono più di tredicimila l’anno. Vedi in tal senso la Relazione alla legge in commento del consigliere regionale Regina Bertipaglia che sottolinea come la maggior parte dei malati oncologici continua a morire negli ospedali e solo il 35% accede ai servizi di assistenza dedicati.

[8] Nel piano di riorganizzazione la legge informa il sistema anche con specifico riguardo alle cure palliative per i minori in fase terminale, stabilendo quale criterio generale la funzione di riferimento svolta dal Centro per le cure palliative e terapia antalgica pediatrica, istituito presso l’Azienda Ospedaliera di Padova con deliberazione della Giunta n. 4029 del 19/12/2003 e che, peraltro, rappresenta la prima iniziativa dedicata ai minori in fase terminale a livello nazionale.

[9] Cfr. Bertipaglia, cit..

[10] Cfr. art. 7.

[11] V. Conferenza Stato-Regioni del 26/03/09, in occasione della quale si rilevavano le enormi lacune della risposta assistenziale in materia di cure palliative, soprattutto a livello pediatrico ed il prevalente limite dell’offerta ai malati oncologici. Si proponeva di riorganizzare il sistema in tre livelli di assistenza: i centri di riferimento per la terapia del dolore, l’ambulatorio di terapia antalgica e il presidio ambulatoriale territoriale

[12] V. Cendon, cit., pag. 72 e ss.

[13] Cfr. artt. 6 e 8.

[14] Cfr. art. 8.

[15] Lo scopo dell’intervento è quello di offrire un approccio umanizzato della cura che sia in grado di migliorare l’esistenza del malato nella fase terminale della propria vita, supportandolo con adeguati sevizi tecnici.

[16] V. in particolare la potestà regolamentare per la definizione degli standard strutturali e di formazione e dotazione del personale coinvolto di cui all’art. 4.

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

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